IL PREMIO URANIA FRANCESCA CAVALLERO, UNA STORIA DI SOSTANZA

E’ stata la seconda donna a vincere il prestigioso Premio Urania Mondadori. Si tratta di Francesca Cavallero (nella foto con Nicoletta Vallorani e Dario Tonani), autrice ligure, che con “Le ombre di Morjegrad” ha trionfato nell’edizione 2018. La prima scrittrice fu, nel lontano 1992, Nicoletta Vallorani.

Un riconoscimento a lungo desiderato quello di Francesca e meritato dopo anni di impegno dedicato alla scrittura, ma anche all’arte. Solido il suo background di studi, dopo la maturità classica ha conseguito la laurea in Scienze giuridiche e poi quella in Scienze dello spettacolo per acquisire, quindi, il Dottorato di ricerca in arti, spettacolo e tecnologie multimediali. Attualmente lavora, mettendo a frutto gli studi e la passione per l’arte, nell’ambito della comunicazione visiva come grafico freelance  occupandosi di pubblicità. Vive in una casa di campagna della Val Bormida, in provincia di Savona, con il marito e due gatte che la seguono “con attenzione” nelle sue attività creative stazionando sulla scrivania. Ama leggere tanto, sia fantascienza sia mainstream, ascolta la musica hard rock ed heavy metal “ma – specifica – se il singolo dell’estate mi piglia, mi lascio pigliare”. Inoltre disegna costantemente, fa outdoor e va in giro a fotografare la natura in ogni stagione dell’anno. Al momento dell’intervista a La Zona Morta ha ribadito che il suo percorso narrativo sta continuando nella direzione della fantascienza.

IL TUO FORTUNATO ROMANZO “LE OMBRE DI MORJEGRAD” E’ STATO PUBBLICATO NEL N. 1672 DEL NOVEMBRE 2019 DI URANIA MONDADORI. COSA HA SIGNIFICATO VINCERE IL PREMIO E VEDERSI PUBBLICATI NELLA PRESTIGIOSA E STORICA COLLANA?

Si è realizzato un sogno che accarezzavo da tanto tempo. Non ho mai partecipato, prima del 2018, perché non mi sentivo pronta. Fra i vincitori e i finalisti delle varie edizioni compaiono scrittori di altissimo livello, quindi sentivo fortemente la responsabilità di provare a onorare, nel mio piccolo, la tradizione del Premio. Ho tentato ed è andata bene! Uno dei momenti più belli in assoluto è stato quando ho visto per la prima volta la copertina del libro, realizzata da Franco Brambilla: è un grandissimo artista e mi ha regalato un’emozione che non dimenticherò mai.

COME NASCONO LE TUE STORIE? E DATO CHE SEI UNA GRAFICA, QUANTO RITIENI CHE LA TUA SCRITTURA INTERAGISCA CON LE IMMAGINI?

È un processo molto “selvaggio”: inizia con l’affiorare di un’immagine, un’atmosfera in cui sento il bisogno di immergermi e rimanere ad “ascoltare” che cosa sta succedendo. La potenza visiva per me è molto importante: sono una grafica e ragiono principalmente per immagini, complice un grande amore per l’arte che coltivo da… secoli? Scrivendo, cerco di creare una specie di “affresco” che si compone pian piano, con i personaggi che si presentano e vanno a occupare il loro ruolo. Quindi entro in sintonia con loro, immagino il loro background e capisco come possono reagire in una storia che si forma e mi trascina con sé. La struttura nasce e si rafforza in questa fase, quando capisco chi sono i personaggi e come voglio che evolvano.

COSA RAPPRESENTA PER TE LA SCIENCE FICTION?

È un mondo tutto da esplorare, plasmare, reinterpretare, creare. Amo le contaminazioni, e penso che questo, fra tutti, sia il genere che garantisce maggiore libertà creativa, lasciando anche spazio alla sperimentazione stilistica. È un territorio dove è possibile rileggere la realtà, sperimentare alternative, ma si rivela anche un contesto duttile quando si tratta di immaginare vicende più intime e raccolte, più “vicine”, in cui è possibile identificarsi.

A PROPOSITO DI IDENTIFICAZIONE, QUAL E’ LA FANTASCIENZA CUI FAI RIFERIMENTO E QUALI GLI AUTORI?

Proprio in virtù del mio amore per le contaminazioni, attualmente mi trovo in una fase di grande esplorazione. Non sono mai stata legata né a un solo genere (leggo davvero qualsiasi cosa!) né, all’interno di un genere, a un solo autore, declinazione o sfumatura. Nell’ambito della fantascienza, per esempio, posso citare Bradbury, Simmons, Dick, Orwell, Lovecraft, Wells e Gibson… ne sto dimenticando altri, di cui ho letto meno ma che mi propongo di approfondire. In questo periodo sto scoprendo tanti autori italiani fantastici, oltre a Nicoletta Vallorani e Valerio Evangelisti, che conoscevo già e apprezzo moltissimo.

COSA TI HA MAGGIORMENTE ISPIRATO NELLA STESURA DI “LE OMBRE DI MORJEGRAD”?

Non c’è una sola fonte di ispirazione, perché il romanzo ha una storia molto lunga. Per anni ho raccolto frammenti di impressioni, dialoghi, atmosfere sui quaderni che ho avuto sempre l’abitudine di tenere in borsa. Mi sono accorta che i vari personaggi stavano assumendo profili più netti e corposi perché stavano letteralmente crescendo con me. In questo lungo periodo le ispirazioni sono state tante, variegate, complesse. Per esempio, la lettura di saggi o testimonianze sui gulag e i campi di sterminio (Šalamov, Levi, Arendt); il modulo sulla fotografia di guerra per l’esame di storia contemporanea all’università; le notizie dal conflitto in ex-Jugoslavia che ascoltavo da ragazzina… potrei continuare a lungo.

E’ UN ROMANZO CHE  FA MOLTO RIFLETTERE?

Tendo a interiorizzare molto ciò che mi accade intorno, e l’unico modo che ho per affrontarlo è rielaborarlo sulla carta. In diverse occasioni mi è stato detto che “Le Ombre di Morjegrad” è un libro duro, ma io rispondo sempre che la realtà è dura. È una questione di onestà: cerco di esserlo il più possibile con i miei personaggi, con il loro contesto e con il lettore. Mi sono chiesta: se gli umani si dovessero trovare nelle condizioni di abbandonare la Terra, e potessero ricominciare da capo, che cosa farebbero? La risposta che mi sono data è che, per lo più, replicherebbero gli stessi comportamenti che li hanno portati alla rovina. Ma davvero tutto sarebbe perduto? Forse no. Sta ai singoli scegliere per che cosa combattere.

MI SEMBRA DI CAPIRE CHE ANCHE C’E’ UNA SORTA DI CRITICA AL POTERE…

Più che altro è una constatazione, un po’ pessimistica, lo ammetto, di uno stato di cose. A Morjegrad basta essere nati dalla parte sbagliata delle Mura per essere considerati alla stregua di oggetti. Nella realtà, basta nascere nella parte “sbagliata” del mondo per subire la stessa sorte. Sicuramente il tema della dicotomia fra benessere e povertà è ricorrente, così come quello della dimensione intima dell’individuo contrapposta a quella schiacciante della città/società, un sistema imperscrutabile che finisce per divorare anche se stesso. Mi spaventano l’assenza di empatia, il cinismo imperante, l’assenza di coscienza delle nostre responsabilità nel perpetrare uno stile di vita che percepiamo come ineluttabile, ma che nella sua semplicità e linearità contribuisce all’oppressione di intere popolazioni, o alla distruzione di interi ecosistemi. Anche di quello sotto casa!

QUINDI NEL TESTO VIENE ESPRESSO UN PRECISO MESSAGGIO?

L’unico modo per contrastare un meccanismo opprimente e abnorme come quello rappresentato dalla città di Morjegrad (nata da una grande speranza e poi tradita dai suoi stessi fondatori) è recuperare il valore degli affetti, la dimensione intima della nostra umanità. Ascoltandoci davvero, in questo modo, anche nelle situazioni più oscure rimane un filo di speranza, e la possibilità di poter cambiare il mondo. I miei protagonisti, quasi tutte donne, hanno una forza che ignorano all’inizio del loro cammino, ma nel corso della vicenda si accorgono di poter determinare il destino dell’intera città proprio grazie a quell’energia interiore. Attenzione, non è un concetto astratto, ma la reale presa di coscienza di sé e delle proprie possibilità.

ALLA LUCE DELLA DRAMMATICA EMERGENZA DOVUTA AL COVID-19, CHE STIAMO VIVENDO, ASSUME UN ULTERIORE SIGNIFICATO?

La crisi scatenata dal Covid-19 ci sta mettendo di fronte a noi stessi. I social, per esempio, sono una buona finestra da cui osservare la nostra società. A volte sembra di stare in mezzo a un’immensa riunione di condominio, in cui si urla, si giudica il prossimo, si creano gruppi e divisioni. Altre volte si è uniti in un grande e festoso abbraccio. Tralasciando le sacrosante questioni sanitarie, questo è un banco di prova anche per la gestione delle nostre solitudini. Siamo tutti “in pasto” ai post, mentre per la prima volta ci troviamo davvero a confrontarci con uno spettro che scivola in mezzo a noi: quello della vulnerabilità, vissuta in (non) contatto con altre vulnerabilità. Di nuovo, penso che sia la dimensione umana a dover assumere un ruolo da protagonista: guardiamoci in faccia, accettiamo la paura, proviamo a metterci nei panni del prossimo e non perdiamo l’abitudine a farlo. Siamo i personaggi di una distopia in corso: chi vogliamo diventare, quando tutto questo sarà finito?

NEL 2012 GIUNGESTI IN FINALE AL PREMIO STELLA DOPPIA, CON IL RACCONTO “COME POLVERE IN UNA CLESSIDRA ROTTA”. QUALE TEMA AFFRONTAVI?

Ero in un periodo di sperimentazione stilistica (perfino troppo!), così mi sono inventata questo viaggio onirico ed extra-dimensionale di una donna contaminata da una specie di parassita alieno. Era un racconto di atmosfera, dove cercavo di fondere lirica e fantascienza, “dipingendo” immagini evocative in un mondo insieme interiore ed extraterrestre.

ALBERTO MORAVIA SOSTENEVA CHE LA FORZA DI UN AUTORE E’ AVERE COSTANZA NELLA SCRITTURA. SCRIVI ABITUALMENTE?

Non potrei smettere di scrivere neanche volendo. È così che affronto le mie paure, mettendole sulla pagina e trasformandole in qualcosa che riesco a comprendere e a controllare. Sicuramente nasce come un processo più emotivo che tecnico: lo diventa nella seconda fase, quando scrivo rendendomi comprensibile anche al prossimo. Il fatto di avere dei lettori che ti contattano, ti danno i loro feedback, anche molto articolati, è bellissimo: migliori il tuo modo di comunicare, non rimani avvolto su te stesso. E fa bene anche a livello psicologico. Sono molto dura con me stessa, penso ci sia sempre margine per migliorare: amo mettermi in discussione, con spirito critico e autoironia, perché mi sto rendendo conto di come la scrittura sia condivisione di mondi, un lavoro che non cessa dopo la pubblicazione di un libro. Tu scrivi anche quando non lo stai facendo, anche quando parli con chi ti ha letto.

NEI GIORNI SCORSI SONO STATI PUBBLICATI I NOMI DEI DODICI CANDIDATI AL PREMIO STREGA 2020. CHI CONOSCI E AMI LEGGERE TRA LORO?

Mi piace Carofiglio, anche se non ho ancora letto “La misura del tempo”. La mia coda di lettura è lunghissima, ma fra i candidati ci sono alcuni titoli che mi attirano molto.

OK, CHIUDIAMO CON IL LIBRO CHE STAI LEGGENDO IN QUESTI GIORNI…

Ho appena iniziato “Se fosse tuo figlio” di Nicolò Govoni. Vorrei ringraziarti, Filippo, per questo spazio, e ringraziare i lettori che hanno voluto accompagnarci fin qui. È un periodo difficile, lo so, però penso che sia anche una buona occasione per fermarci e riflettere su ciò che conta davvero. Grazie infine a coloro che avranno voglia di avventurarsi fra le mie Ombre: sono fragili, arrabbiate, prese a pugni dal destino… ma non si arrendono. E voi?

GRAZIE A TE FRANCESCA. IL MESSAGGIO E’ CHIARO: LE BELLE STORIE, DI SOSTANZA, NUTRONO LA MENTE PER CUI SOSTENIAMOCI CON UN BUON LIBRO, CI AIUTERA’ A NON MOLLARE!

Filippo Radogna