DELIRIO ALL’ULTIMA PALLOTTOLA – TUTTO IL CINEMA DI MICHELE SOAVI 16

Il sangue dei vinti

Regia: Michele Soavi.

Soggetto: Dardano Sacchetti e Massimo Sebastiani.

Sceneggiatura: Dardano Sacchetti e Massimo Sebastiani con la collaborazione di Michele Soavi, tratta dall’opera letteraria “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa, edito dalla Sperling & Kupfer.

Direttore della fotografia: Giovanni Mammolotti.

Montaggio: Anna Napoli.

Scenografia: Andrea Crisanti.

Costumi: Sergio Ballo.

Make-up effects: Franco Casagni.

Suono in presa diretta: Filippo Porcari.

Direttore di produzione: Cristiano Di Meo.

Aiuto regista: Alessandro Casale.

Musiche originali: Carlo Siliotto.

Organizzatore generale: Marco Alfieri.

Produttore Rai: Fabrizio Zappi.

Prodotto da: Alessandro Fracassi per “Rai Fiction” – Media One S.p.a.

Anno: 2008.

Nazione: Italia.

Cast: Michele Placido, Barbora Bobulova, Alina Nedelea, Valerio Binasco, Massimo Poggio, Stefano Dionisi, Luigi Maria Burruano, Tony Sperandeo, Hary Prinz, Daniela Giordano (nel ruolo di Maria Rossini), Lele Vannoli, Vincenzo Crivello, Teresa Dossena (nel ruolo di Elisa bambina), Pierluigi Coppola, Tommaso Ramenghi, Flavio Parenti, Giovanna Ralli (nel ruolo della madre), Philippe Leroy (nel ruolo del padre), Ana Caterina Morariu, con la partecipazione di Alessandro Preziosi.

“L’Italia non è ancora un Paese pacificato perché chi allora vinse non ha raccontato fino in fondo cosa accadde durante e dopo la guerra civile. Il muro d’omertà dei vincitori non è stato mai rotto. E dunque la guerra civile, nel dolore delle famiglie, non è mai finita”.

Giampaolo Pansa

“Io so di cosa parla questa storia, mio padre aderì a Salò, mia madre era ebrea. Ma se ho scelto di girare la pellicola è proprio nell’intento di pacificare: mettendo al centro dell’attenzione i valori umani. A partire dalla necessità di seppellire tutti i morti”.

Michele Soavi

Roma, oggi.

Durante alcuni lavori l’abbattimento di un muro porta alla luce un cadavere mummificato con i polsi legati dal filo di ferro e accanto una pistola di scena. Si tratta di un caso di omicidio di cui si era occupato nel lontano ’43 il commissario Francesco Dogliani (Michele Placido), oggi in pensione, che con la memoria torna a quei drammatici giorni in cui la sua inchiesta giudiziaria si sovrappone e coincide con fatti che cambiarono la storia italiana.

Egli con l’aiuto della allora bambina figlia della vittima che salvò dalle macerie, oggi donna, cerca di chiudere i “conti” col passato mentre la memoria torna ai primi bombardamenti sul quartiere San Lorenzo e sulla strana scena del crimine, tanto che verrà spedito al confino per aver coinvolto nell’indagine un gerarca e la sua amante, senonché al suo ritorno l’arresto di Mussolini genera lo sbando del Paese.

Lascerà Roma liberata dagli Alleati per recarsi dai genitori a Saluzzo. Qui la situazione è ancora spaccata a metà: i tedeschi occupanti si scontrano con i civili inermi e i partigiani.

Dogliani riabbraccerà il fratello Ettore (Alessandro Preziosi), ex militare entrato nelle file partigiane, e la sorella Lucia (Alina Nedelea) che indurita nell’animo dalla morte del marito sotto i bombardamenti la spingerà ad arruolarsi come ausiliaria nell’esercito della neonata Repubblica di Salò. Le scelte opposte si riveleranno fatali e non ci sarà pietà per i vinti.

L’ex poliziotto imparziale sarà travolto dagli eventi familiari e da una guerra interna fatta di odio e rivalsa tra civili, senza dimenticare mai la “sua” indagine, ormai ragione di vita (e di morte), ritroverà la pace sessant’anni dopo.

Il film tv in due parti, il primo del regista diretto per la televisione pubblica dopo una lunga e proficua collaborazione con la TaoDue di Valsecchi per Mediaset, è andato in onda su Raiuno domenica 6 e lunedì 7 dicembre 2009 ottenendo buoni ascolti, nella versione originale “estesa” così come è stata ideata e scritta, mentre sei mesi prima una versione rimontata della durata di soli 108′ circa è stata distribuita nel normale circuito cinematografico nazionale (cosa assai insolita questa per una cosiddetta “fiction” prodotta e destinata alla televisione appunto); presentata in anteprima al Festival del cinema di Roma come evento speciale, aveva suscitato polemiche e discussioni a prescindere, per via del libro altrettanto scottante da cui è tratta, ecco l’accoglienza dei critici in sala.

“Tutti gli orrori dei partigiani nel film più discusso del Festival” titola così il suo articolo Claudia Morgoglione di Repubblica (26 ottobre 2008):

“Come il libro (omonimo) da cui è stato tratto, Il sangue dei vinti versione grande schermo – di scena oggi, come evento speciale con dibattito pubblico, qui al Festival – è destinato a dividere, a suscitare polemiche. Con la sua tesi sulla Resistenza come guerra civile e non di liberazione, con la sua storia dello scontro mortale tra due ragazzi della medesima famiglia schierati su fronti opposti, e col suo insistere sugli orrori e le ingiustizie dei vincitori, molto più che su quelli nazifascisti. Un esempio per tutti: il fratello partigiano massacra senza pensarci due volte un gruppo di tedeschi che si arrende, la sorella repubblichina è più buona e salva la bambina protagonista da morte certa.”

“Insomma, una storia controversa per definizione, per un film su cui ci sono state molte polemiche preventive (e altrettante ce ne sono state per il libro da cui è tratto). Artisticamente più fiction che film da grande schermo, e in cui l’eroe, tra i due fratelli schierati su fronti opposti, resta il personaggio di Placido, ovvero l’italiano buono e con senso del dovere, uno che rifiuta fino alla fine di schierarsi, un po’ Don Abbondio un po’ poliziotto esemplare.”

Riporta anche le dichiarazioni dello scrittore Giampaolo Pansa e del produttore Alessandro Fracassi in merito all’esclusione della pellicola dalla rassegna cinematografica di Venezia e “ripescata” appunto per quella romana:

“Una collocazione, questa, che a Pansa non piace affatto: “Avrei preferito che fosse inserito in concorso – ammette – ma viste le premesse, considero comunque un bel risultato essere qui. Credo che il produttore, Alessandro Fracassi, sia stato un eroe a fare questo film. Ma lo status di evento speciale non mi è piaciuto: diciamo che l’ho solo accettato, come tante cose italiane che non mi piacciono. Al contrario di questo film: che non solo mi piace, ma mi basta e mi avanza. Aggiunge una pietra sulla strada della verità”.

Una tesi condivisa da Fracassi. “Voi dite che fa scandalo mostrare l’efferatezza dei partigiani – conclude – ma il nostro intento primario non era quello. Ma invece mostrare una parte di storia d’Italia mai raccontata, sempre negata. Se poi ci si aspetta, per una sorta di maldipancismo della destra estrema, che questo film possa dare una qualche soddisfazione, ci si sbaglia di grosso”. 

Merita di essere riportata integralmente la disincantata quanto realista critica – che mi vede d’accordo su quasi tutta la linea, sia a livello contenutistico che artistico della pellicola -  fatta da Giovanna Quercia e pubblicata sul sito web www.schermaglie.it  il 27 ottobre 2008:

“Piuttosto fiduciosa nelle capacità di scaltro regista di genere di Michele Soavi, acquisto l’ultimo biglietto disponibile al Festival di Roma per Il sangue dei vinti, incuriosita anche dal fatto che il film è tratto dal discusso libro di Giampaolo Pansa e che è previsto un dibattito. Arrivederci amore ciao, l’ultimo film di Soavi, in fondo era un film cupo, ma interessante e pieno di trovate di regia. Ci vuole un certo coraggio per affrontare un tema scottante come le vendette partigiane sui repubblichini sconfitti – mi sono detta – vale la pena andarlo a vedere. Certo, una delle motivazioni per fare il film deve essere stata anche la speranza di attirare il pubblico con le polemiche, tuttavia mi faccio trascinare lo stesso. Arrivo in sala e una voce annuncia gli ospiti del dibattito successivo, che saranno moderati da Antonello Piroso, direttore del Tg de La7: oltre ad attori, produttore, regista, sceneggiatori, ci sarà Giampaolo Pansa, Savino Pezzotta, Miriam Mafai, Maurizio Gasparri… già è chiaro da questo parterre che il film sarà un elemento molto marginale del dibattito… comunque, vediamolo questo film.

Il protagonista è Michele Placido, un poliziotto piemontese di stanza a Roma che, anche in piena guerra, decide di continuare a cercare gli autori dei delitti, senza immischiarsi nella politica. Al contrario dei due fratelli più giovani, che invece scelgono di arruolarsi su fronti opposti: il fratello (Alessandro Preziosi) coi partigiani, la sorella (la brava Alina Nedelea) con quelli di Salò. I genitori (Giovanna Ralli e Philippe Leroy), invece, cercano orgogliosamente di non schierarsi. Finirà malissimo, per questa famiglia: i genitori saranno costretti al suicidio per scampare alla vendetta di una brigata partigiana e la sorella, ormai sconfitta, si ritroverà a sparare il colpo fatale al fratello mentre sta portando, tra la folla festante, la bandiera rossa della vittoria. Sarà fucilata insieme a molti dei suoi camerati e il suo corpo verrà gettato in una fossa comune. Michele Placido, unico superstite della famiglia, non si darà pace fino a che non ritroverà il corpo della sorella.

Dalla trama, solo in parte ispirata ad alcune storie raccontate da Pansa nel libro, si evince che gli sceneggiatori, Dardano Sacchetti e Massimo Sebastiani, si sono barcamenati come meglio potevano per cercare di raggiungere un impossibile equilibrio: già la scelta di un protagonista come Placido (personaggio di fantasia), integerrimo poliziotto che anche di fronte alla morte dei genitori si tiene equidistante dalle parti in lotta, denuncia questo imbarazzo.

Per il resto il film, che risulta davvero scombinato nel voler tenere insieme troppe cose, si limita a farci vedere che in quella che da sempre si chiama guerra partigiana di liberazione (ma molti sostengono che fu guerra civile vera e propria), furono molte anche le vittime dei partigiani, i quali non esitarono a fucilare i prigionieri dell’altra parte, né a compiere azioni punitive contro povera gente che magari aveva la sola colpa di avere un figlio repubblichino. Tutto questo è atroce, ma fa parte della guerra e, a parere di chi scrive, è del tutto chiaro che i combattenti partigiani, che pure hanno fatto benissimo a prendere le armi perché non c’era altra scelta con i nazisti in casa, non erano tutti stinchi di santo e che si sono macchiati certamente di delitti gratuiti.

Questo per quanto riguarda il contenuto, diciamo, caldo politicamente: al di là di ciò però, dispiace dirlo, non è un buon film: i dialoghi sono troppo esplicativi, letterari, a tratti retorici (il poliziotto Placido cita addirittura Sofocle parlando con un soldato!), tutta la sotto trama che riguarda il delitto romano e che ha per protagonista Barbora Bobulova si lega malissimo con le altre storie dei due fratelli e la regia, seppur curata e corretta, si distacca poco da una fiction di buona qualità – d’altronde il film non è altro che la versione breve della fiction in due puntate che andrà in onda sulla Rai nella prossima primavera. Il finale poi, con Placido che si commuove vedendo un fiore nato dalla zolla di terra nella quale la sorella è sepolta, è davvero troppo.”

Insomma questo Sangue dei vinti è un’occasione sprecata soprattutto per come è stato realizzato. E lo ribadisce anche Lietta Tornabuoni de La Stampa, sottolineando gli aspetti meno felici senza mezzi termini fin dal titolo dell’articolo “Tutto affoga nel fiume melò”:

“Come si fa a prendere sul serio una fiction Rai come Il sangue dei vinti di Michele Soavi, presentata al Festival con tutti gli onori d’una proiezione speciale, d’una conferenza stampa, d’un incontro-dibattito con il pubblico? Il lavoro tratto (si fa per dire) dall’omonimo libro di Giampaolo Pansa (Sperling & Kupfer) sul periodo 1943-’45 in Italia, non è riuscito.

Ogni indignazione pro o contro i partigiani, ogni aspirazione alla revisione storica o al cinema-verità, ogni aspettativa di attuale bomba politica, affoga in un oceano di mélo: sorelle gemelle con scambio di identità, il poliziotto Michele Placido fratello di un partigiano e di una ausiliaria di Salò (per coprire ogni variante), bambina piccola e cavallo bianco emergenti dalle polveri del bombardamento di San Lorenzo a Roma, l’Italia divisa e semplificata da un colpo di fucile che strappa in due la carta geografica, un fascista che si spara in testa gridando: «A noi!».

Retorica, metafore grevi e andirivieni della trama fra il ‘43 e i giorni nostri cancellano l’emozione. Gli infami della vicenda sono, come è giusto, i nazisti massacratori. Alcuni partigiani ragazzi assaltano la casa dell’ausiliaria di Salò, inducendo al suicidio i vecchi genitori di lei e di Michele Placido. Altri partigiani tagliano i capelli, mettono alla berlina e uccidono l’ausiliaria, mentre i fascisti ne fanno d’ogni genere. L’ultima frase di Placido è la meno enfatica e declamatoria: «Voglio solo seppellire i morti. Tutti i morti».

Un’altra occasione perduta dalla tv per raccontare un periodo sanguinoso e spinoso di storia italiana, peccato.”

Il tenore della critica ufficiale è stato questo, e gli stralci riportati sono i meglio argomentati e motivati rispetto a opinioni simili prive di ogni analisi dei contenuti e dell’esposizione degli stessi.

Tuttavia invito come sempre a vedere la pellicola perché, sono convinto, in ognuna c’è qualcosa da salvare e segnalare che è anche il compito di questa biografia.

Nello specifico se dal punto di vista dei contenuti storici sono d’accordo in larga parte con la Tornabuoni e Giovanna Quercia in quanto sono stati trattati superficialmente e con lo stesso linguaggio proprio delle “fiction” intese nel termine più soap pomeridiana quali medici, avvocati e commesse in famiglia e quant’altro siamo – purtroppo – abituati, con la stessa leggerezza e gli stessi tempi melodrammatici ed enfatizzati a scapito della sostanza, da patito e sostenitore del cosiddetto cinema di genere ho apprezzato l’idea, e lo sforzo, di introdurre il “tema scottante” di Pansa con l’escamotage del giallo, il genere più popolare e accattivante di sempre, dell’indagine storica sullo sfondo di un fascismo moribondo, con protagonisti il gerarca dalle amicizie altolocate e la bella e spregiudicata amante Anna Spada, attrice di teatro e sorella della meno rispettabile Tosca, prostituta, “quella che non fa male a nessuno”, e dove Placido-Dogliani mi pare più a suo agio nei panni del commissario (La Piovra docet?!).

Anche il cavallo bianco che emerge libero dalla polvere delle macerie non lo trovo fuori luogo in quanto fa parte dell’impronta personale del regista, forse l’unica in questo film, di quel simbolismo proprio del suo stile, rintracciabile fin dagli esordi nell’horror e proseguito anche nel buon noir Arrivederci amore, ciao, mentre è mancata una regia più caratterizzata, più autoriale e meno televisiva – strano se si pensa che il primo pubblico destinatario è stato proprio quello del Festival e delle sale, il “grande schermo” insomma – mentre risultano curate scenografia e fotografia.

Tra le interpretazioni spicca per intensità quella di Alina Nedelea (Lucia) a cui spetta il ruolo difficile della trasformazione e del passaggio da moglie innamorata a vedova rancorosa verso chi ritiene responsabile della morte del marito, cioè i bombardamenti Alleati, fino alla disperata decisione di arruolarsi volontaria come ausiliaria che la porterà cosciente al drammatico epilogo.

Gli appassionati della serie poliziesca di RaiTre La Squadra, ma non solo loro, riconosceranno il bravo Tony Sperandeo nel breve ruolo di portiere dello stabile dove viene commesso l’omicidio; fascinosa la Bobulova nei panni della diva vamp del Ventennio e un plauso a Giovanna Ralli e Philippe Leroy, sempre “grandi vecchi” del cinema e del teatro, nei panni degli anziani genitori, lui addirittura in quelli di un reduce del Carso privato degli arti inferiori e perciò in carrozzella.

Il compianto Aristide Massaccesi alias Joe D’Amato che ha tenuto artisticamente a battesimo il giovane Michele Soavi prima come attore e poi producendogli il primo e pregevole film, oggi di diritto un cult, DeliriaQuentin Tarantino nella recente intervista pubblicata nel dossier dedicatogli dalla rivista Nocturno, lo definisce addirittura «migliore di qualunque cosa fatta da Dario Argento» – confessò ad Antonio Tentori (così afferma il critico e scrittore nell’intervista nel dvd di Frankenstein 2000 – Ritorno dalla morte) che desiderava farne un seguito; d’accordo i tempi e gli uomini sono cambiati, o scomparsi, il cinema italiano non è più produttivamente lo stesso e con i ritmi di allora, ma il talento e la tecnica di chi ha diretto quel primissimo gioiello non sono svaniti, la speranza è di rivederli all’opera in quei territori dell’irrazionale, nel genere che l’ha reso popolare oltreoceano a distanza di vent’anni, l’unico che gli è proprio: il fantastico.

Concludo riportando alcuni passaggi dell’intervista raccolta da Paola Tiscornia (Fonte Telepiù del 6/12/09) ad Alessandro Preziosi, che nel film interpreta Ettore, il fratello che si unisce ai partigiani.

Preziosi, che ne pensa di queste reazioni?

«Tutte le volte che sullo schermo si cerca di ricostruire pagine delicate della nostra storia più recente, si inciampa in barricate ideologiche. Questa fiction parte dal dramma privato di una famiglia per ripercorrere quella che fu una tragedia pubblica. Nel film, dopo l’8 settembre il mio personaggio si unisce agli antifascisti e sua sorella, indurita dalla morte del giovane marito, sceglie di arruolarsi come ausiliaria nell’esercito della Repubblica Sociale: nella stessa famiglia, scelte opposte che simboleggiano l’Italia di allora, con la guerra civile che divise in due il Paese e di cui nessuno ha mai osato parlare».

Ma in mezzo c’è il commissario Francesco Dogliani, il terzo fratello “neutrale”…

«Chi può dire di essere neutrale? E poi, è giusto esserlo? Francesco dice: “Io non sto da nessuna parte, io faccio solo il mio dovere”: ma è una posizione che rischia di diventare un alibi, a un certo punto tutti noi siamo chiamati a schierarci».

Secondo lei la fiction è riuscita a essere imparziale?

«La risposta agli spettatori. Intanto, ha avuto il coraggio di dire la verità, la stessa contenuta anche nel libro di Pansa: cioè che i vinti hanno versato lo stesso sangue dei vincitori».

(16 – continua)

Gordiano Lupi, Maurizio Maggioni e Fabio Marangoni