DELIRIO ALL’ULTIMA PALLOTTOLA – TUTTO IL CINEMA DI MICHELE SOAVI 11

Un San Francesco dal volto umano

È una sorpresa targata Mediatrade che Michele Soavi ha voluto fare ai suoi fan. Chi se lo aspettava il regista di Deliria, l’emulo di Dario Argento, alle prese con una storia dai contorni edificanti? Cuore ha stracciato i record di ascolti e Mediatrade ha deciso di puntare su San Francesco e sulla consolidata accoppiata da fiction Michele Soavi – Raoul Bova. Anche la scelta dell’attore ha colto tutti di sorpresa perché Bova nei panni del poverello di Assisi è capace di impersonare un santo davvero diverso.

Il film è stato girato a Cinecittà, lo scenografo Marco Dentici ha ricreato ad arte la piazza d’Assisi dominata dalla basilica di San Rufino. Tra gli interpreti troviamo anche Gianmarco Tognazzi e la francese Amélie Daure, rispettivamente nei ruoli di Bernardo e Chiara, ma il cast annovera anche Mariano Rigillo, Erika Blanc e Tony Bertorelli. Soavi si è voluto confrontare con uno dei personaggi più frequentati dal cinema e dal teatro, collaborando anche alla sceneggiatura. Prima di lui lo avevano fatto grandi nomi: Roberto Rossellini, Franco Zeffirelli e Liliana Cavani.

Soavi non ha fatto un remake, ma una reinterpretazione originale di San Francesco. Non che quello della Cavani fosse convenzionale. Tutt’altro. Era piuttosto trasgressivo, di sicuro meno rassicurante del Francesco patinato di Zeffirelli. Però Soavi ha saputo inserire il suo mestiere di autore di thriller e di horror anche in questo lavoro. Ne è venuto fuori un San Francesco moderno e più vicino ai giovani d’oggi, una sorta di “Ultimo”, un eroe che sta dietro a tutti e che si espone di più, quasi un combattente. Soavi non è regista che sa fare agiografia. Non è Zeffirelli. Lupi e uccellini non sono centrali in questo film che si propone di raccontare il percorso interiore di Francesco verso la santità. Soavi vuole descrivere il periodo della sua santificazione e la grande inquietudine dopo aver visto l’orrore della guerra e la sofferenza della malattia.

Raoul Bova ha dovuto perdere 12 chili ma soprattutto si è dovuto calare in un personaggio difficile, un uomo che fa una scelta definitiva di abbandonare la mondanità e lasciarsi dietro tutto quello che è superfluo. Lo avevamo visto come eroe, come uomo d’azione, persino ricoperto da pesanti armature nel film di Pupi Avati I Cavalieri che fecero l’impresa e nei panni di Ultimo con lo stesso Soavi, ma in pochi avrebbero immaginato di ritrovarlo in queste vesti. “Per girare questo film ho perso dodici chili, sono state settimane di lavorazione molto intense ma in realtà non c’è stata nessuna scena facile. Sono stato sul set dalle 5 del mattino fino alle 8 di sera, devo dire che è stato abbastanza faticoso anche perché spesso ho saltato il pranzo. È stata una mia scelta anche per cercare di capire meglio il personaggio.” Ha detto l’attore ad Adele De Francesco nel corso di un’intervista per www.televisione.it. “Sono anche andato in un convento a fare un ritiro di una settimana dormendo in una celletta. C’è stato persino un frate che mi ha detto: “Perché ti danni tanto? Francesco lo stiamo cercando anche noi e finora non ci siamo riusciti. Sarebbe difficile capirlo in due mesi. Vedrai che lo troverai proprio davanti ai tuoi occhi anche senza accorgertene”. Ha continuato. Di sicuro il Francesco di Bova e Soavi non è quello dei santini, ma è un Francesco umano, di temperamento, uno che ha la sua rabbia, le sue frustrazioni, al punto di andare su tutte le furie quando la gente non lo capisce. Soavi è capace di entrare negli occhi di Francesco, di materializzarne ansie e timori. Ne viene fuori un San Francesco vero e credibile che per la prima volta esalta anche il ruolo della madre. Una storia di un amore sviscerato: Francesco prova per il mondo lo stesso amore che la madre ha per lui. Tutto sommato un film come questo è importante, soprattutto oggi che i giovani non hanno molti esempi positivi. San Francesco è un esempio vivente e lancia un messaggio forte e chiaro: non c’è bisogno di spogliarsi dei propri averi ma delle convinzioni banali, del superfluo. Si deve dedicare la propria vita non solo a guadagnare ma anche a dare. Ci sono persone che hanno bisogno di noi e non dobbiamo restare indifferenti e chiusi in una prigione di egoismo.

La produzione del film è costosa: la cifra finale è di ben 12 miliardi, uno degli ultimi colpi di coda prima dei tagli annunciati da Mediaset, che per il futuro si è prefissa di produrre soltanto fiction di lunga durata (oltre le cinque puntate). I film per la televisione in due puntate, infatti, pare che siano meno capaci di ammortizzare i costi.

Francesco va in onda a ottobre 2002 e ottiene un buon successo di pubblico che ripaga almeno in parte i sei milioni di euro investiti dalla produzione. I dati Auditel di martedì 8 ottobre parlano di sette milioni e mezzo di spettatori per la prima puntata (primo posto assoluto nella serata e uno share del 29,31%). Mercoledì 9 ottobre invece gli spettatori sono stati oltre otto milioni con uno share calato al 28,69% (ma primo posto conservato). La fiction religiosa paga, come sempre. Anche se Francesco resta lontano dai dati Auditel su Padre Pio (10.731.000 spettatori) e Papa Giovanni (11.680.000). A parziale giustificazione va detto che quello di Michele Soavi non è il primo film sulla vita del santo ma viene buon quarto dopo opere girate da gente del calibro di Rossellini, Zeffirelli e Cavani. Manca il fattore novità e soprattutto nel pubblico è ancora vivo il ricordo del Francesco – Mickey Rourke tratteggiato così bene da Liliana Cavani. Fosse stato solo per l’agiografia zeffirelliana forse le cose sarebbero andate meglio. Inutile dire che ci troviamo un po’ in difficoltà a parlare di Michele Soavi come regista di una fiction religiosa. Segno dei tempi anche questo, purtroppo. Un regista non ha autonomia decisionale sui film da fare, non può proporre niente di suo. Attende che il produttore lo chiami e gli assegni un lavoro. Le produzioni indipendenti non esistono quasi più (fanno solo film a basso budget come quelli di Roger Fratter che sono comunque prodotti dignitosi) e un regista di buon livello si trova costretto a lavorare soltanto per Rai e Mediaset. Per questo motivo troviamo vecchi leoni del cinema horror e avventuroso come Ruggero Deodato alla direzione di cose patetiche come I ragazzi del muretto. A Michele Soavi è andata meglio: la Mediatrade gli ha chiesto di girare Francesco, una storia dove ha potuto dimostrare tutto il suo talento. Francesco di Soavi infatti non è il solito film agiografico e celebrativo, ma è la storia di un uomo che soffre il suo destino di santità. Sono quattro ore di fiction, trasmesse tra domenica e lunedì, che non annoiano mai.

La pellicola si apre con un delizioso spunto fantastico: il piccolo Francesco ascolta le storie sulla Creazione del mondo narrate da un vecchio mago. Prima avevamo conosciuto Francesco e Chiara intenti a fare l’altalena con la testa capovolta. “È il cielo che regge laTerra” dice Francesco e la frase sarà il leit motiv dell’intero film. Rapidamente si passa all’età adulta. Francesco è descritto prima come un giovane ribelle che combatte per scacciare i nobili dalla città, poi come un santo che vuol vivere il Vangelo sino in fondo, con i poveri e per i poveri. “Io non voglio un Ordine. Voglio stare nel mondo con i miei fratelli”, dice. Non vengono nascoste le difficoltà che il santo incontra sulla sua strada. La macchina da presa insiste sui tormenti interiori e descrive le sconfitte di Francesco prima di riuscire a “guardare con il cuore” e a vivere secondo le sue scelte.

Nell’economia del nostro lavoro ci interessa vedere quanto di fantastico e di orrorifico si può trovare nell’ultima opera di Soavi. Non è molto, ma ci possiamo contentare visto il tema.

Di sicuro il rapido incipit. Il vecchio pazzo racconta storie fantastiche per mezzo di un caleidoscopio e muove immagini colorate come in un cinema d’altri tempi. I bambini impauriti cercano rifugio sotto il tavolo. Temono che siano vere le storie che si narrano su di lui. “Quel vecchio mangia i bambini” dicono.

I lebbrosi sono un altro bel ricordo del cinema dell’orrore e il trucco si vede che è realizzato da mani esperte, soprattutto nella scena della morte dell’amico Paolo. In una fiction per tutti Soavi non può certo insistere sui particolari, però il poco che mostra è ben fatto.

Le scene di guerra sono cruente e realistiche, il sangue e le ferite ricordano cose già viste nel cinema d’avventura. La scena del vento che sospinge i frati in cammino e li rende simili a folletti che volano liberi nell’aria è un altro capolavoro di cinema fantastico.

Tutto qui. D’altra parte si parla della vita di un santo.

Una delle cose più belle della pellicola è la fotografia. Il ritmo è rapido e le scene non danno respiro, nonostante i dilatati tempi televisivi. L’uso sapiente del primo piano sottolinea le scene forti e il rallenty viene inserito nei momenti topici (la spada puntata alla gola di Francesco che cade è anche una scena del brivido, se si vuole).

Silvia Fumarola su La Repubblica del 6 ottobre (in anteprima alla messa in onda) ha definito questo Francesco “santo dei no-global”, caricando la pellicola di valenze sociali e politiche. Non sappiamo quanto Soavi ne sia stato consapevole, però è vero che a tratti tornano temi già visti in Dellamorte Dellamore con una critica neppure tropo velata alla società delle convenzioni. San Francesco è un pacifista paladino dell’uguaglianza che “vuole vivere come un cane randagio” e si sente appagato tra i poveri, ultimo tra gli ultimi. Ed è un Francesco fatto per piacere ai giovani, anarchico, ribelle, sempre alla ricerca di un altro mondo possibile.

Il film in ogni caso ha destato molti consensi. La signora Ciampi, invitata assieme all’allora Presidente della Repubblica ad assistere all’anteprima, ha insistito per restare in sala proiezione sino alla fine e si è complimentata con Raoul Bova. Padre Enzo Fortunato del convento di Assisi ha definito la pellicola “uno dei migliori film su San Francesco” e si è soffermato sull’attualità del messaggio in un periodo storico caratterizzato da un’assoluta carenza di valori.

Molto bravi gli attori che fanno la loro parte e hanno gran merito nella buona riuscita del film. Ben diretti da Soavi, ma questo è quasi inutile dirlo. Raoul Bova dimostra di aver raggiunto piena maturità di recitazione ed è preparato per interpretare qualsiasi ruolo. Amélie Daure è una Chiara molto credibile. Erika Blanc (vecchia gloria del cinema di genere) interpreta la madre di Francesco in modo ispirato. Mariano Rigillo caratterizza bene la figura di Bernardone, il padre del santo che alla fine scioglie la sua durezza e comprende la scelta del figlio. Gianmarco Tognazzi è forse il meno espressivo ed esegue il suo compito con diligenza nelle vesti dell’amico Bernardo. Tony Bertorelli fa una breve ma intensa apparizione nelle vesti di un travagliato Papa Innocenzo III che ricordiamo nell’accorata confessione a Francesco: “Tu sei l’uomo che cerco… nessuno è più solo di un papa…”.

In definitiva il giudizio su Francesco è positivo. Abbiamo assistito a un film per la televisione che non ha niente di agiografico. La pellicola a tratti è persino dura, drammatica, diversa da quelle tradizionali che raffiguravano un santo gioioso e serafico. Il San Francesco di Soavi è un uomo tormentato nel conflitto con gli altri ed è in difficoltà persino a dettare una regola per i suoi seguaci. Un film fedele alla realtà, oltre tutto. Raimondo Michetti, consulente storico, ha dovuto spiegare solo una piccola falsificazione: l’incontro a undici anni tra Francesco e Chiara. Esigenze di fiction, per rendere più intenso il legame tra i due e quindi più drammatico il finale.

La parte conclusiva della pellicola è davvero struggente. Soavi riesce persino a far uscire qualche lacrima dagli occhi degli spettatori più sensibili. Le stimmate che calano dal cielo su Francesco e la sua morte dopo una lunga sofferenza sono due momenti che non si dimenticano. Da un regista che ci aveva abituato a serial killer con maschere da gufo, demoni che vagavano per chiese gotiche e zombie a piede libero, non ce lo saremmo mai aspettato. Ma tant’è.

Adesso però vorremmo tanto tornare a scrivere su Soavi come di quell’allievo geniale di Dario Argento che aveva fatto sperare in una rinascita del cinema fantastico italiano. Basta solo che il regista romano ce ne dia l’opportunità. Dylan Dog, vampiri, storie fantastiche… a lui la scelta. Purché torni all’ovile. Il cinema di genere italiano ha bisogno del talento di Michele Soavi.

(11 – continua)

Gordiano Lupi, Maurizio Maggioni e Fabio Marangoni