BALSAMUS, L’UOMO DI SATANA

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: Balsamus, l’uomo di Satana

Anno: 1968

Regia: Pupi Avati

Soggetto: Pupi Avati

Sceneggiatura: Pupi Avati, Giorgio Celli ed Enzo Leonardo

Direttore della fotografia: Franco Delli Colli

Montaggio: Enzo Micarelli

Musica: Amedeo Tommasi

Effetti speciali: Gianni Amadei e Alfonso Cioffi

Produzione: Marino Carpano

Origine: Italia

Durata: 1h e 39’

CAST

Bob Tonelli, Greta Vaillant, Giulio Pizzirani, Gianni Cavina, Antonio Avati, Lola Bonora, Andrea Matteuzzi, Pina Borione, Luciana Negrini, Valentino Macchi, Franca Alboni, Giuseppe Benassi

TRAMA

Il nano Balsamus si professa mago-guaritore, vive in una villa della campagna emiliana circondato da parenti e assistenti, vestiti in abiti settecenteschi. Non si sa quanto siano veritiere le sue capacità magiche, ma in ogni caso molte persone si recano in visita e chiedono un consulto. A un certo punto Balsamus avvelena la suocera e subito dopo la fa resuscitare, dando prova generale delle sue facoltà magiche. Il nano è impotente, sua moglie Lorenza se la fa con tutti gli uomini che frequentano la corte e segna i nomi degli amanti sopra un grande libro. Balsamus si suicida platealmente davanti a tutta la corte quando la moglie pretende di inserire il suo nome insieme al gruppo degli amanti.

NOTE

Il primo film di Pupi Avati risente delle sue letture giovanili dal contenuto alchemico stregonesco e della cultura sessantottina volta a stupire, scandalizzare, sconvolgere lo spettatore. Avati, dopo aver abbandonato il sogno della musica e aver cercato la fuga da un impiego ordinario che non fa per lui, riesce a coronare il sogno di girare il suo primo film. Il merito è dell’imprenditore edile Carmine Domenico Rizzo – citato dal regista per anni come Mister X -, morto nel 2006, a 90 anni, che (su interessamento di Bob Tonelli) elargisce centosessanta milioni di finanziamento a fondo perduto.

Pupi Avati scrive un soggetto ispirato alla figura di Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, famoso alchimista e negromante del Settecento, che sceneggia con la collaborazione di Giorgio Celli, ambientandolo in tempi moderni. Siamo nelle campagne emiliane, alla periferia di Bologna, dove vive Balsamus (Tonelli), un folle individuo affetto da nanismo, convinto dalla sua corte dei miracoli di essere un vero mago. Balsamus risolve casi di sterilità, ringiovanisce persone, combina matrimoni e deflora vergini per assicurare un futuro migliore. Il negromante e la sua setta vivono in un casolare di campagna, indossano costumi settecenteschi e raccolgono creduloni di ogni tipo che bussano alla porta per chiedere favori. La messa in scena miracolosa è opera del fido Ottavio (Pizzirani) e del nobile Alliata (Cavina), amante della fedifraga moglie Lorenza (Vaillant). Alla fine Balsamus avvelena la suocera (Borione), quindi la resuscita, ma non è chiaro il confine tra finzione e realtà. In ogni caso l’ultimo esperimento ai suoi danni è fatale, perché Balsamus muore suicida mentre la sua corte lo deride, fatta eccezione per Ottavio, unico servitore a volergli davvero bene.

Avati aveva già proposto il soggetto ad altre case di produzione ottenendo solo netti rifiuti. “Ero affascinato da letture su tematiche paranormali e alchemiche, inoltre nel film c’era la matrice rurale, la mia vita campestre a Sasso Marconi. Volevo scrivere la vita di Cagliostro, in termini grotteschi, ambientandola al giorno d’oggi”, confida Avati.

Come abbiamo detto, il film risente della temperie culturale sessantottina, del motto la fantasia al potere; l’autore non si cura molto della consequenzialità logica, l’importante è stupire, meravigliare, mettere in scena un’opera originale. “Balsamus mi servì per narrare una storia grottesca, anacronistica, un mondo di speculatori e di folli, un ambiente di creduloni e di ingenui che si lascia abbindolare da un finto mago”, aggiunge Avati. Molto è allegoria sessantottina, abbiamo la critica alla pubblicità, ai luoghi comuni sull’importanza del diploma, del pezzo di carta, alla fiducia nelle statistiche, alla credulità popolare, il tutto affrontato con un tono grottesco e un’ambientazione soprannaturale. Avati è influenzato da Opera aperta di Umberto Eco, che invitava a non proporre opere compiute ma aperte, perché lo spettatore non doveva essere un mero fruitore, ma partecipare, dare un contributo alla creazione.

Balsamus è un film alternativo e provocatorio, poco visibile se non storicizzato, difficile da capire per chi non ha alcuna cognizione di quanto la società italiana abbia subito la cultura sessantottina. Il film non viene capito né dalla critica né dal pubblico perché è eccessivo nella sua volontà di stupire, si tratta di un non film, scritto e girato per stupire il pubblico, per cercare di catturare l’attenzione, ma viene ignorato. La coda al titolo, l’uomo di Satana, viene imposta dalla distribuzione (International Film Company) convinta che renda il film appetibile al pubblico che segue il cinema horror e del mistero. Per questo è diffusa l’idea – tra chi non l’ha visto – che Balsamus sia un film horror, mentre è classificabile soltanto come grottesco. La pellicola presenta in nuce alcuni elementi che anticipano il futuro cinema di Avati: la magia, il rapporto tra uomo e fede, l’ambiente rurale, l’individuo avulso dalla realtà, incapace di vivere la normalità. Tra le cose migliori di Balsamus una curata ambientazione fantastica e la fotografia luminosa di Franco Delli Colli, un vero professionista. Molte costruzioni fantastiche sono singolari: la macchina composta da mani che sbucano da fori praticati nella parete per accarezzare il corpo di Lorenza, la grotta surreale dove avviene la resurrezione della suocera, il sipario che mostra Balsamus ai commensali, il macchinario che Ottavio dirige per mettere in scena i riti.

La cornice dove si svolge la storia è Villa Rocchetta Mattei, in località Ponte, a Grizzana Morandi, provincia di Bologna, la magione del conte Cesare Mattei. Ritroveremo identica location nello sceneggiato Cinema!!!. Il film viene realizzato in cinque settimane, molte scene sono girate a Villa Zambonelli, sempre nei pressi di Bologna, mentre alcuni interni sono ripresi nei teatri di posa De Paolis. La factory avatiana comincia a delinearsi, dall’attore di teatro Giulio Pizzirani – che per molto tempo si occuperà di casting – a Gianni Cavina, così come registriamo la presenza di un musicista come Amedeo Tommasi, autore delle colonne sonore fino agli sceneggiati Rai. Gil Quintale, il camionista che si vede nelle prime sequenze, è una scoperta di Pizzirani, ma questa idea di prendere i protagonisti dalla strada continuerà nei film successivi, dando vita a una galleria di volti tipici del cinema di Avati. Il protagonista è Bob Tonelli, per un debito di riconoscenza, perché è lui a contattare l’imprenditore e a trovare i soldi necessari per coronare il sogno. Tonelli diventa un attore feticcio di Avati, sempre presente in piccoli ruoli da caratterista, fino alla morte datata 1986. In un primo tempo Avati pensa ad Alberto Lionello come volto ideale per Balsamus, ma il noto attore rifiuta la parte.

In ogni caso, come ammette lo stesso Avati, il film viene realizzato solo perché arrivano in soccorso dei veri tecnici romani, capitanati da un esperto direttore della fotografia come Franco Delli Colli (1929 – 2004). In pratica, da un punto di vista tecnico, sono loro a girare il film e non tutto viene come Avati vorrebbe. Il regista bolognese fino a quel momento può vantare come unica esperienza quattro settimane da assistente per Satanik di Piero Vivarelli. “Sbagliai il primo ciak e avevo dubbi su cosa venisse prima: motore, ciak o azione?”, ricorda Avati. Il giovane regista aveva talento narrativo, era un ottimo sceneggiatore, ma doveva ancora metabolizzare la tecnica. Avati ci mette l’entusiasmo, Delli Colli la preparazione tecnica. In ogni caso la tecnica di regia risente di tutte le convenzioni del periodo storico, dai numerosi primi piani ai particolari del volto, passando per uno smodato uso dello zoom. I movimenti di macchina sono lontani anni luce da stile e poetica del futuro cinema di Avati. Gli effetti speciali sono artigianali, realizzati con estro e fantasia, come nel caso della raccolta delle erbe magiche che vede i personaggi truccati da giganteschi uccelli.

Il film è fumettistico, psichedelico e surreale, presenta il tono dei racconti fantastici pubblicati su periodici pulp da edicola. Molti aneddoti sulla lavorazione sono stati raccontati nello sceneggiato Cinema!!!, romanzato come ogni opera cinematografica ma debitore della realtà storica. Pupi Avati dilapida un capitale elargito dal suo benefattore girando due film che vedono in pochi e che non convincono nessuno, al punto che alcuni suggeriscono al giovane regista di cambiare nome, se vuole continuare a fare cinema. Balsamus viene presentato in commissione censura il 15 gennaio 1970, due anni dopo la realizzazione, ottiene il visto il 23 gennaio e viene distribuito da IFC in poche sale del circuito d’essai, con poco successo, pure se resta in cartellone per un mese al Salone Margherita (il futuro Bagaglino) di Roma. Qui lo vede Mario Monicelli e ne rimane entusiasta, ma Avati viene a saperlo solo alcuni anni dopo. La prima di Balsamus si celebra al cinema Eliseo di Bologna, nell’inverno del 1969, organizzando una mega festa di stampo hollywoodiano, una fanfaronata incredibile – parole del regista – che i concittadini non perdonano ad Avati. “Riponevo tante speranze in Balsamus, speravo di essere apprezzato da chissà quale critica, in realtà fu una clamorosa sconfitta”, conclude Avati.

Gordiano Lupi

(tratto dal libro Tutto Avati di Gordiano Lupi e Michele Bergantin – Edizioni Il Foglio, 2012)