FANTASCIENZA STORY 134

NEL BUCO NERO NESSUNO PUO’ SENTIRTI URLARE (1979) – PARTE 01

ALIEN (Alien)

Non c’è alcun dubbio che una delle maggiori produzioni di quest’anno sia il film Alien di Ridley Scott. La realizzazione tecnica, le scenografie, i costumi, gli effetti speciali presi nella loro complessità, sono assolutamente di prim’ordine e il successo che ne derivò, quando la pellicola uscì nelle sale cinematografiche, fu indubbiamente meritato. Nonostante questo, Alien è un film “freddo”. Con ogni probabilità il regista volle realizzare un’opera concepita in questo modo. Tutto il film è permeato da una grana di asetticità ma, in alcuni casi, la mano del regista perde dei colpi: non riesce a trasmettere una giusta suspance, questo almeno agli spettatori appena più smaliziati: infatti, tutte le scene che dovrebbero creare angoscia, attesa, tensione, sono tecnicamente ineccepibili ma scontate, prevedibili. Ben diverso è il soggetto, non certo originale in quanto risente, in parecchi punti, della volontaria o involontaria ispirazione a un vecchio film quale fu Il Mostro dell’Astronave di Edward L. Cahn e in altri ancora, poi, ed è difficile se non impossibile dire che sia casuale, al film Terrore nello Spazio di Mario Bava, ben conosciuto negli Stati Uniti principalmente come Planet of the Vampires dove ebbe anche un discreto successo. In più il film di Bava è uscito sotto molti altri titoli (Planet of Blood, The Haunted Planet, The Haunted World, The Outlawed Planet, The Planet of Terror, The Planet of the Damned, Space Mutants, Terror in Space e nei circuiti TV Usa anche come: The Demon Planet).

La grande astronave da carico Nostromo sta tornando, con il suo prezioso carico di minerali, verso la Terra. Siamo in un imprecisato anno del futuro, quando i viaggi nello spazio non sembrano essere più volo di esplorazione attraverso il cosmo, un cosmo nel quale, peraltro e fino a quel momento, non si è riscontrata alcuna forma di vita oltre a quella umana. L’uomo sembra solo in un universo infinito e, questo, forse, ha contribuito a trasformare in routine i viaggi interstellari, come solo semplici mansioni di lavoro e di sfruttamento minerario. La nave vola a una velocità prossima a quella della luce ma è ancora lontana dal suo pianeta e il suo equipaggio, composto da sette persone, terminato il carico sul pianeta di destinazione, si è posto in stato di animazione sospesa. Ad un tratto il computer di bordo, che sovrintende a tutte le operazioni, si attiva per risvegliare l’equipaggio in quanto ha captato un segnale di origine ignota proveniente da un planetoide lì vicino.

Dopo un’abbondante pasto nel quale il tema principale verte su paghe e stipendi, il comandante Dallas (Tom Skerritt) riceve dal centro nevralgico del computer chiamato “Mater” la comunicazione che l’astronave non è affatto in vista della Terra ma che la loro rotta li ha portati nei pressi del planetoide per andare a indagare su questi segnali di origine misteriosa.

Dopo aver avuto il suo daffare a convincere i due motoristi, Parker (Yapet Kotto) e Brett (Harry Dean Stanton) che la missione non dà obbligo a un emolumento straordinario ma fa parte dei compiti previsti dal contratto della compagnia, Dallas ordina di far staccare la sezione esplorativa dal resto della nave che viene lasciata in orbita attorno al pianeta e si dirigono tutti verso la superfice.

L’atterraggio avviene quasi regolarmente e Dallas chiede al responsabile della sezione scientifica Ash (Ian Holm) quale sia la situazione atmosferica del pianeta.

Dallas: “Hai l’analisi dell’atmosfera?

Ash: “Sì. È quasi primordiale. È nitrossido inerte con un’alta concentrazione di cristalli di ossido di carbonio, metano. Sto osservando gli elementi minori.

Dallas: “Non c’è nient’altro?

Ash: “Sì c’è… roccia, lava forse e… freddo intenso, molto sotto allo zero.

Munitosi di scafandro Dallas prende altri due membri dell’equipaggio con sé, Lambert (Veronica Cartwright) e Kane (John Hurt, 1940 – 2017)) e tutti e tre si dirigono verso il luogo da dove vengono i misteriosi segnali. In mezzo ai turbini di vento e alle nubi di sabbia sollevate in un’atmosfera oscura, i tre avvistano una gigantesca astronave dalla forma inusitata che sporge in mezzo alle rocce del planetoide.

Da una apertura posta su uno dei lati della nave gli astronauti penetrano nel buio interno della nave aliena e, fra le prime cose che vedono in una grande sala, c’è lo scheletro di un gigantesco alieno che sembra tutt’uno con lo schienale sul quale è seduto. Alcune ossa della gabbia toracica sono spezzate e rivolte verso l’esterno come se una grande forza, dall’interno, avesse voluto farsi strada. Poi gli esploratori si addentrano ulteriormente e Kane si cala, con l’aiuto degli altri due, attraverso un pertugio che dà in una immensa caverna.

Intanto, all’interno della astronave, Ripley (Sigourney Weaver) ha ricevuto una risposta parziale di decodificazione del misterioso segnale il cui significato non sembrerebbe una richiesta di aiuto ma una minaccia.

Sulla nave aliena Kane continua la sua esplorazione.

Kane: “La caverna è completamente chiusa ed è piena di… oggetti come di pelle, tipo uova o roba simile… C’è uno strato di nebbia che copre le uova che reagisce quando è attraversato… Sì sto bene, sto bene, sono soltanto scivolato! (Si avvicina a una delle uova) …Sembra chiuso ermeticamente… Un momento! Qualcosa si muove, sembra avere vita, vita organica!

Qualcosa esce d’improvviso dall’uovo e si precipita su di lui perforando il casco. Gli altri due lo recuperano e lo portano velocemente all’interno della Nostromo, malgrado le poteste di Ripley per i pericoli della contaminazione; il casco gli viene tolto nella sala medica e, con orrore, Ash e Dallas vedono una strana creatura dalla forma di artiglio con la coda (Face Hugger) le cui “dita” sono sul viso di Kane, la coda intorno al suo collo e un tubo che entra nella bocca dello sfortunato astronauta.

Il comandante fa ripartire l’astronave che si collega nuovamente al modulo centrale. Intanto nella sala medica…

Dallas: “Cos’ha nella gola, Ash?

Ash: “Direi che gli sta dando ossigeno.

Dallas: “Lo ha paralizzato! Lo ha messo in coma… e lo tiene in vita! Che diavolo significa? Dobbiamo levarglielo!

Ash: “Un momento, un momento! Non facciamo cose affrettate, finora sappiamo ben poco. Presumiamo che gli stia dando ossigeno. Se lo rimuoviamo può ucciderlo.

Dallas: “Sono disposto a correre questo rischio! Portiamoglielo via!

Più facile a dirsi che a farsi. Appena fatta un’incisione all’artiglio sul volto di Kane, dallo stesso sgorga un liquido corrosivo che rischia di bucare l’astronave da parte a parte.

Tutto sembra risolversi quando l’artiglio scompare dal volto di Kane e Ripley, Dallas ed Ash entrano nella sala medica badando di lasciarla completamente in penombra e chiudendo le porte a tenuta stagna solo dopo un poco che sono entrati, questo per prepararci meglio ma, ingenuamente, alla scena della “manomorta” che cade dall’alto su Ripley… lo strano artiglio, infatti, è ora privo di vita. Poi Kane si riprende e tutto sembra filare per il meglio, sennonché, durante la cena, l’astronauta viene colto da forti dolori allo stomaco e, dallo stesso, esce una piccola e orribile creatura che fugge alla velocità di un proiettile nascondendosi chissà dove. Dopo aver officiato al rito funebre lanciando il cadavere di Kane nello spazio, inizia la caccia al piccolo essere lungo tutta l’astronave e gli astronauti si dividono in due gruppi per trovare la creatura.

L’incontro di Brett con la creatura è fatale, l’essere è diventato gigantesco, più grande di un uomo e assale la sua vittima portandosene via il corpo. La seconda vittima è il comandante Dallas che, con un lanciafiamme, entra nelle ventole di areazione dove, hanno scoperto, si nasconde l’essere. Anche il corpo di Dallas scompare. Nel film, così come è uscito, noi non sapremo mai della fine fatta dai due perché la scena del loro ritrovamento è stata tagliata in fase di montaggio ma, nel finale Ripley trova Brett e Dallas, il secondo ancora vivo, “imbozzolati” e costretti a fare da nido alle uova del mostro e Dallas implora la ragazza di ucciderlo cosa che ella fa con il lanciafiamme.

La tragedia sulla Nostromo continua. Diventata il comandante dell’equipaggio superstite, Ripley, che ora ha l’accesso al terminale principale di Mater, interroga il computer sullo strano comportamento quasi ostile di Ash e scopre una direttiva della compagnia nascosta nei reconditi accessi del computer, un file a cui era consentito l’ingresso solo ad Ash. Il colloquio con il computer, in realtà si svolge con le risposte dello stesso sullo schermo ma, nella versione italiana si sente anche la voce di Mater.

Mater: “Cambiata rotta Nostromo a nuove coordinate per investigare forma vita. Raccogliere esemplare. Precedenza assoluta. Assicurare ritorno organismo per analisi. Qualsiasi altra considerazione secondaria. Equipaggio sacrificabile.

Durante un drammatico scontro con Ash i superstiti dell’equipaggio si rendono conto di aver a che fare con un automa il quale, dopo aver assalito Ripley, soccombe sotto i colpi di Parker. La spiegazione della sua presenza a bordo è data dal fatto che la compagnia, sopra ogni altra cosa, vuole preservare forme di vita aliene, soprattutto una come questa incapace di emozioni che non siano la ferocia e la atavica volontà di vivere in una perfetta macchina da combattimento.

I superstiti decidono di attivare il meccanismo di autodistruzione della Nostromo e di salvarsi a bordo di una scialuppa, così, mentre Parker e Lambert stanno preparando i rifornimenti, il mostro alieno li attacca e li uccide. Alle urla di Lambert, Ripley accorre ma è troppo tardi: i due sono morti. L’astronauta attiva il dispositivo di autodistruzione e ha tempo dieci minuti per abbandonare la Nostromo al suo destino e, dopo cinque minuti, l’autodistruzione diventa irreversibile. Con il tempo che scorre e con il mostro vicino, Ripley, almeno secondo la sceneggiatura e il regista, non trova nulla di meglio che cercare il gatto di bordo, Jones, ed è a questo punto che abbiamo quell’incontro con Dallas e Brett cui abbiamo accennato prima. All’ultimo minuto, come è giusto ma scontato che sia, Ripley sale sulla scialuppa e si sgancia dalla Nostromo che esplode nello spazio con perfetta regolarità. È ovvio che la storia non è finita perché, oh, sorpresa assolutamente inaspettata, l’alieno si trova a bordo della scialuppa e assalirebbe la superstite se questa non aprisse la paratia stagna, dopo aver indossato lo scafandro (ma il gatto no) e aver fatto uscire tutta l’aria la cui pressione scaraventa la creatura verso il portellone, il poveretto cerca di aggrapparsi all’uscio ma un colpo di arpione la scaraventa fuori, per poi essere definitivamente cotto dai getti della scialuppa.

Ora è davvero finita e un’esausta Ripley detta l’ultima parte del diario di bordo.

Ripley: “Rapporto finale del veicolo spaziale commerciale Nostromo da parte del terzo ufficiale. Gli altri componenti dell’equipaggio: Kane, Lambert, Parker, Brett, Ash e il Comandante Dallas sono morti. Carico e nave sono distrutti. Dovrei giungere alla Frontiera tra sei settimane. Se sono fortunata la Sorveglianza mi porterà in salvo. Parla Ripley, unica superstite del Nostromo. Passo e chiudo.

Programmata la macchina per l’animazione sospesa Ripley, con in braccio il suo micio, si addormenta. Lei non lo sa ma passeranno cinquantasette anni prima che ritrovino la sua capsula…

Durante il periodo estivo e autunnale dell’anno 1978 non era possibile entrare nei famosi stabilimenti Shapperton, in Inghilterra, senza uno speciale lasciapassare perché ben quattro dei maggiori teatri di posa erano impegnati per le riprese di Alien. In essi vi erano tutti gli interni della Nostromo, compresa la complessa sala dei comandi per i quali sono occorsi i lavori di una équipe di duecento operai e tecnici con mesi di lavoro per dare una impressione credibile al tutto. In un altro teatro di posa è stata ricostruita la superfice del planetoide illuminata da una fredda luce bluastra e composta da tonnellate di gesso, con fibra di vetro, ghiaia, pietra e… ossa. Ogni volta che il programma di riprese della giornata prevedeva la figura dell’alieno i “pass” non valevano per nessun visitatore ma solo per i componenti della troupe che, quel giorno, dovevano occuparsi delle riprese.

Il soggetto di Alien proviene da una sceneggiatura metà scritta da Dan O’Bannon dal titolo Memory e, come seconda parte, da una storia ambientata nella Seconda Guerra Mondiale circa dei sabotatori che si introducevano su un B-17 durante il conflitto e che O’Bannon modificò addattandola su un’astronave. Ma Dan era stato così impressionato dai disegni e dai dipinti di Hans Rudi Giger di pensare a lui mentre scriveva la storia di Alien. Inizialmente il titolo della storia era Star Beast e da principio doveva essere la storia di una piccola astronave con uno sparuto equipaggio che atterrava in un piccolo pianeta dove avrebbe trovato una piccola piramide e una creatura mostruosa ma grande come un normale essere umano, insomma la storia era pensata, come si è visto, in piccolo, per un’altrettanto piccola produzione. Eppure il soggetto piacque subito in giro e le offerte furono parecchie ma O’Bannon, dopo molte esitazioni, si decise a firmare per la Brandwine Productions che era diretta da Gordon Carroll e dai due sceneggiatori e registi Walter Hill e David Giler.

Il progetto decollò perché la Brandwine firmò un accordo di produzione con la 20th Century Fox e il budget di Alien levitò fino a otto milioni di dollari. Con queste cifre non deve sembrare strano che, nei momenti di massimo lavoro, la troupe raggiungesse il numero più che rispettabile di trecento persone. La squadra dei tecnici diretta da Brian Johnson e Nick Allder spese migliaia di ore per produrre i modellini della Nostromo. Il più piccolo di questi misurava circa 35 centimetri e, si calcoli che la scala sarebbe di uno a ottocento il che, tradotto in termini più pedestri, porterebbe le reali misure della Nostromo a duecentocinquanta metri di nave spaziale, ben diversa dal “piccolo” veicolo iniziale previsto dagli autori. All’inizio furono fatti molti tentativi su come rappresentare il mostro, nacquero così molte versioni di Alien: una specie di piovra, un dinosauro dall’aspetto piuttosto rachitico, una sottospecie di “tacchina natalizia”. Allora O’Bannon si ricordò di Giger e dei suoi dipinti e li fece vedere a Ridley Scott il quale ne fu entusiasta. E Giger si mise subito al lavoro disegnando i tre stadi della creatura aliena, la superfice del planetoide, l’astronave aliena e il pilota extraterrestre incorporato nella sua sedia. Tornando ai modelli della astronave Nostromo fu realizzato anche un imponente modello di quattro metri, rifinito con abbondanza di particolari intorno al quale la macchina da ripresa girava attorno filmandolo. Il risultato di questo tipo di riprese è sempre quello che sembra sia l’astronave a muoversi non la macchina da presa.

Naturalmente, come era ormai diventata prassi normale, per la costruzione del modellino della Nostromo furono utilizzati parti e pezzi di carri armati, corazzate e bombardieri della Seconda Guerra Mondiale. Per rendere più credibili le torri-cisterna della nave spaziale vi furono incollati sopra una grande quantità di pezzi che sporgessero appositamente da tutte le parti. Poi furono eseguiti i lavori di rifinitura sul corpo base della nave fatto in legno e plastica. Il lavoro totale previde tre Nostromo, oltre a quelle dette di trentacinque centimetri che serviva per le riprese in campi lunghi e medi ed a quella gigante pesante sette tonnellate usata per le sequenze ravvicinate e le scene sul planetoide; ne fu inoltre costruita una di circa un metro e venti per le scene posteriori, quando cioè era necessario mostrare i getti di scarico dei reattori per cui gli stessi erano rivestiti di metallo perchè non fondessero per il calore. I modelli venivano filmati da una cinepresa posta su rotaie che riprendeva le immagini a due fotogrammi e mezzo al secondo al posto dei canonici ventiquattro in questo modo e solo in questo modo, all’epoca, era possibile ottenere immagini nitide senza le normali sfocature che si sarebbero ottenute girando a passo normale e a distanza così ravvicinata.

Per quanto riguarda gli interni della nave, per dare un aspetto assolutamente realistico al tutto, i tecnici ricoprirono il set di tubi, fili elettrici, interruttori e qualunque cosa del genere fosse possibile trovare, il tutto fu poi verniciato di verde militare e tappezzato da iscrizione di ogni tipo. Il quadro comandi era fatto con pezzi di aeroplano e con un numero incommensurabile di levette inserito in ogni dove e il tutto era inondato di decalcomanie con un risultato assolutamente veritiero. Alcuni progetti, malgrado l’ampio budget, non poterono essere realizzati proprio per i costi eccessivi. Si era pensato inizialmente, infatti, a un ponte di comando dotato di grandissimi finestroni, in questo modo, all’attivazione del computer, sarebbe stato possibile vedersi spalancare le finestre ed apparire il pianeta che ruotava attorno al suo asse, ma, come detto, dati gli alti costi di un’immagine simile, ci si dovette accontentare del solito, si fa per dire, schermo video. Eppure, alcune delle apparecchiature del ponte di comando funzionavano davvero come le poltrone che scivolano in avanti o all’indietro, i lanciafiamme, il bisturi laser e la fiocina. Anzi, nella scena della scomparsa di Dallas l’attore, che stringeva in mano il lanciafiamme, si girava, ad un certo punto, verso la macchina da presa: se avesse sbagliato i tempi avrebbe mandato arrosto Ridley Scott e l’operatore.

Un discorso a parte meritano le tute spaziali, disegnate da Moebius come se fossero armature medioevali giapponesi: per accentuarne la somiglianza furono tutte istoriate da disegni in stile nipponico. In più, per dare loro un aspetto ancora più realistico esse espellevano anidride carbonica da un’apertura posta sulla cima del casco. L’astronave aliena, un disegno come abbiamo detto di H. R. Giger, ricordava in ogni suo punto il suo concetto di biomeccanica come lui stesso la chiamava e cioè esseri che sono metà organici e metà meccanici. Così è per la nave aliena il cui interno era alto più di dodici metri e che da solo occupava quasi tutto uno dei teatri di posa: ebbene, l’oscurità della scena non ha forse permesso di osservare bene le nervature orizzontali che ricoprono le pareti e che sono separate nel mezzo da una specie di armatura, esse ricordano volutamente le costole umane e l’armatura centrale fa pensare a una colonna vertebrale. Gli ingressi che portano all’interno del relitto ricordano molto da vicino delle vagine. Osservato dall’alto, poi, il veicolo alieno ha l’aspetto di un osso e di ossa vere è fatto l’extraterrestre incorporato nel suo sedile a cui è stata aggiunta plastilina e fibra di vetro.

Il disco sul quale poggiava il suo sedile poteva ruotare su sé stesso e questo permetteva di riprendere la scena da diverse angolazioni. La lavorazione del progetto e della figura dell’alieno fu una delle più originali e, nello stesso tempo più curiose storie della cinematografia di fantascienza. Giger chiese alla segretaria di produzione di procurargli delle ossa ed essa, pur stupita della richiesta, si affrettò ad accontentarlo per cui, un bel giorno, arrivarono nello studio dei camions carichi di casse che contenevano ossa di ogni genere. I trovarobe avevano saccheggiato negozi, sanitari, ospedali, macellerie, musei e forse, erano diventati dei violatori di tombe per tutto il materiale che procurarono all’artista. Il risultato fu che gli studi furono invasi da una serie di teschi umani, da tre perfetti scheletri di rettili e persino un cranio di rinoceronte. La storia narra che l’immagine del lavoro di Giger entrò di diritto nella più allucinante filmografia dell’orrore: un uomo pallido, dai capelli neri, con gli occhi fiammeggianti e vestito di cuoio nero sommerso da ossa e da stirofene.

Durante le riprese le tre versioni dell’alieno realizzate da Giger furono battezzate: “Face Hugger” e cioè l’artiglio che si appiccica tenacemente al volto di Kane, “Chest Burster”, quello che esce dal petto di John Hurt e “Grand Alien” che sarebbe l’ultimo stadio della metamorfosi. Il primo e il terzo sono stati scolpiti direttamente da lui, mentre il secondo è stato realizzato dai tecnici.

Per quanto riguarda la scena del “parto” è ovvio che all’attore era stato messo un petto finto mosso da pompe idrauliche. Poi il petto finto fu riempito di trippa fresca e parecchia emoglobina così che quando la scena venne girata tutti gli attori si erano fatta una poderosa e non certo piacevole doccia rossa. La scena fu giudicata esagerata con grande gioia di Veronica Cartwright che, colpita, da almeno un litro di getto rosso, cadde all’indietro con la sedia e solo i suoi piedi si vedevano sul tavolo…

Il difficile a questo punto era trovare la persona adatta che potesse indossare la tuta ma la fortuna aiutò il produttore quando incontrarono, quasi casualmente, un membro africano della tribù dei Masai ma che studiava arti grafiche in Inghilterra, si chiamava Bolaj Badejo ed era alto ben due metri e quaranta! Badejo è scomparso nell’autunno nel 1997.

Fu fatto il calco in gesso della sua imponente figura e Giger si mise al lavoro usando plastilina, caucciù, tubature scanalate e filo elettrico. La testa fu realizzata in fibra di vetro. Con un complesso sistema di pistoni comandanti a distanza la testa può girarsi, sbavare e aprire la seconda bocca che è all’interno della prima e la modellazione e la meccanizzazione di due teste del mostro e la seconda bocca furono opera di Carlo Rambaldi che collaborò anche alla scena in cui il robot-Ash continua a vivere e combattere con la testa semistaccata dai colpi di Parker.

(1 – continua)

Giovanni Mongini