UN CANNIBALE DI NOME DEODATO: IL CINEMA THRILLER – HORROR DI UN REGISTA AMERICANO 06 – PARTE 01

Capitolo Sesto – Parte 01

Cannibal Holocaust

Il cinema cannibalico di Deodato può dirsi a pieno titolo cinema cult soprattutto grazie alla sua opera più discussa e celebrata: Cannibal Holocaust (1979). Quando parliamo di cinema cult dobbiamo fare attenzione a non cadere nel soggettivo, come giustamente fa notare Mauro Giorgi nell’ottimo saggio I cult movie pubblicato da Xenia nel 2001. Perché cult può essere qualsiasi cosa, se non impostiamo l’indagine secondo criteri oggettivi di valutazione. Infatti spesso anche la pellicola più scadente o bislacca può diventare oggetto di culto, come per il collezionista è cult tutto ciò che non riesce a reperire. Ci sono passioni immotivate e inspiegabili che muovono gli interessi di molti, ma qui siamo chiaramente nel campo del cult soggettivo.

Il cinema cannibalico di Deodato, come la sexeploitation di Joe D’Amato (ma vedremo che anche Deodato ha avuto contatti con quel genere) invece sono vero cinema di culto. I giovani che amano il sensazionale e l’horror qui trovano ciò che cercano. Non sono tratti in inganno da pellicole furbette che accarezzano il pelo al loro gusto ma in sostanza restano rassicuranti. Tutt’altro. Questo tipo di cinema è disturbante al massimo e vuol essere cinema duro, estremo, violento, controtendenza. In poche parole fa propria l’affermazione di Allen Ginsberg: “Ribellati contro i governi, contro Dio. Resta irresponsabile. Dì solo quel che sappiamo e immaginiamo. Gli assoluti sono coercizione. Il cambiamento è assoluto”. Il discorso sui cult movies sarebbe lungo e ci porterebbe fuori strada. Per l’analisi accurata si rimanda al testo citato, una vera miniera di informazioni.

Cannibal Holocaust è il cannibal movie per eccellenza e incarna tutta la filosofia di un genere costruito attorno al tema degli atti cannibali da parte di indigeni. L’ambientazione di queste pellicole è sempre nelle foreste inesplorate, dove una spedizione occidentale incappa in brutte avventure di stampo antropofago. Deodato porta nella pellicola l’esperienza di Ultimo mondo cannibale ed estremizza le atmosfere create da Sergio Martino ne La montagna del dio cannibale.

Cannibal Holocaust è recitato da un cast di attori al tempo semi sconosciuti: Robert Kerman (pseudonimo di Richard Bolla, un porno divo che aveva interpretato ruoli hard in pellicole di Gerard Damiano), Francesca Ciardi, Luca Barbareschi (al suo primo film), Gabriel Yorke, Perry Pirkanen e Salvatore Basile. Lamberto Bava è l’aiuto regista e le musiche sono dell’ottimo Riz Ortolani. La sceneggiatura è di Gianfranco Clerici che aveva collaborato anche a Ultimo mondo cannibale.

Il film si apre con la stupenda musica di Riz Ortolani che accompagna i titoli di testa e fa da sottofondo a una veduta aerea della foresta colombiana, scenario di gran parte della pellicola. Si apprende da un servizio televisivo che quattro reporter (Ciardi, Barbareschi, Pirkanen e Yorke), incaricati dalla BBC di girare un documentario sulle tribù cannibali in Amazzonia, non danno notizie da oltre un mese. Il professor Harold Monroe (Robert Kerman) viene incaricato di effettuare le ricerche e subito parte in compagnia di una spedizione militare. Si alternano scene rassicuranti e distensive a terribili filmati di repertorio che inquadrano cannibali intenti a spolpare carni umane. Lo spettatore viene immerso in un mondo primitivo dove l’antropofagia è regola di vita. Muore uno dei militari avvelenato da una freccia al curaro e viene catturato un indigeno che ha in mano un accendino. Cominciano ad affiorare i primi sospetti che i quattro reporter abbiano fatto una brutta fine. Monroe concorda con i funzionari locali i particolari di una spedizione nella giungla e si fa accompagnare da una guida esperta (personaggio abbastanza convenzionale), un giovane indio e lo schiavo Yakumo. Nella foresta i nostri eroi incontrano di tutto: caimani, sanguisughe, tigri e bestie feroci di ogni tipo (qui l’influenza dei mondo movie si fa sentire). Lungo il cammino rinvengono pure il cadavere di un vecchio amico della guida divorato dai vermi e un guscio di tartaruga che pare la prova del passaggio dei quattro reporter. Altre scene servono solo ad accentuare i toni macabri: la guida che sniffa cocaina e costringe lo schiavo Yakumo a fare altrettanto, ma soprattutto l’indio che cattura un topo muschiato e lo sgozza in diretta senza l’ausilio di effetti speciali. Quindi c’è uno stacco improvviso che inserisce una sequenza truculenta: l’uccisione rituale di un’adultera che viene trascinata dal marito fino a un palo di legno e poi violentata con un fallo di pietra. La scena è sottolineata dal cupo sottofondo musicale di Riz Ortolani costruito appositamente per mettere in evidenza i punti più crudi del film. Monroe e i suoi raggiungono un villaggio dove hanno notizie per niente rassicuranti sui reporter scomparsi. Il capo tribù gesticola indicando capanne bruciate e resti umani, come per far capire che sono passati di là lasciando quella desolazione. La spedizione vive altre avventure e conosce nuove tribù, assistiamo alla precipitazione di una donna dal grande albero dove abitano gli indios Shamatari e la colonna sonora sottolinea la scena agghiacciante. Finalmente i nostri arrivano all’insediamento dei cannibali, dove il professore ritrova i corpi putrefatti dei giovani reporter e il materiale che hanno girato. La spedizione viene invitata al pranzo cannibale e su questa scena termina il primo tempo. La seconda parte è il vero capolavoro, come dice lo stesso Deodato. Si comincia a New York negli studi della BBC, dove Monroe e i responsabili della rete televisiva visionano il materiale girato dai quattro reporter. Lo stratagemma del film nel film viene spezzettato da frequenti ritorni in diretta e dialoghi tra i protagonisti. Sono cinque i filmati proiettati negli studi BBC mentre i dirigenti si interrogano sull’opportunità di passare il materiale. Prima viene visionato un documentario che i quattro avevano girato tempo addietro: un movie truculento ricco di esecuzioni e violenze che serve a preparare lo spettatore agli orrori che verranno. Poi si parte con i filmati girati in Amazzonia, si vedono i quattro amici scherzare in aereo e in camera. Uno stacco ci porta dal professor Monroe a colloquio con i parenti delle vittime e comprendiamo che i reporter morti in Amazzonia non erano proprio dei bravi ragazzi. Si torna al filmato girato dai quattro e si assiste alla parte più contestata del film: le uccisioni di animali in diretta. I reporter trascinano fuori dal fiume una tartaruga gigante e la squartano a colpi di coltello. Poi vediamo l’uccisione di un ragno velenoso, una gamba amputata per il morso di un serpente, gli indigeni Yakumo e altre immagini di carattere antropologico. Il filmato successivo ci mostra i quattro alle prese con la finta ricostruzione di un attacco da parte di una tribù nemica. I reporter radunano gli indigeni in una capanna, appiccano il fuoco e li lasciano morire bruciati vivi mentre filmano la scena. Tutto è chiaro e finalmente comprendiamo che genere di macabro reportage voleva girare la diabolica troupe. Poi c’è una scena di sesso quasi rubata, come un accoppiamento selvaggio, che acuisce il senso di tensione. Altro pezzo di filmato e nuovi orrori. Una donna ammalata e incinta viene uccisa con il suo bambino, poco distante alcuni vecchi attendono di morire per mano dei sadici reporter. Una giovane indigena viene stuprata e impalata. Questa è la scena simbolo di tutto il film, quella con cui è universalmente conosciuto. Le immagini sono così realistiche che vennero accusate di snuff. In realtà furono realizzate facendo sedere la ragazza su di un sellino legato al palo e la sensazione che il legno avesse trapassato tutto il corpo fu resa possibile mettendole un piccolo paletto appuntito in bocca. Le scene finali del film sono geniali e mostrano la morte in diretta dei protagonisti girata grazie alle loro macchine da presa. Qualcosa del genere è stato ripreso in tempi recenti con Il mistero della strega di Blair, spacciando per nuova frontiera dell’horror un plagio sfacciato di ciò che Deodato aveva ideato vent’anni prima. Il film si conclude a New York con i dirigenti BBC e il professore che reputano impossibile trasmettere i filmati. Nell’ultima sequenza il dubbio passa dal grande schermo allo spettatore: “Chi sono i veri cannibali?”.

Il Mereghetti assegna due stelle al film. Un successo che il cinema di genere non ripete molte volte nelle pagine della monumentale opera del critico milanese. Riportiamo per intero il suo commento.

Un’operazione gelida e sgradevole, ma a suo modo abile: l’espediente del film nel film non solo avvolge di un alone inquietante da finto snuff la violenza mostrata ma costituisce una precisa riflessione sulla prassi dei mondo movie, una pietra tombale e una satira del genere.

Conclude Mereghetti che il film è un documento indiretto sul malessere dell’epoca e una tappa fondamentale per chiunque voglia riflettere sulla rappresentazione della violenza.

Il fatto che molti attori al tempo fossero semi sconosciuti fece diffondere la voce di riprese reali. Deodato giocò con astuzia su questo fattore per creare interesse nel pubblico. Pare che una clausola del contratto imponesse agli attori di sparire temporaneamente di circolazione. I quattro che avevano interpretato la parte dei reporter diabolici non dovevano girare altri film per i due anni successivi, così da dare l’impressione di essere davvero morti. Per questo vennero presi all’Actors Studio di New York due attori che non avevano mai lavorato. Luca Barbareschi era italiano ma viveva a New York, Francesca Ciardi era una pariolina amica di Deodato (moglie del giornalista Paolo Frajese che prese male il fatto che dovesse girare alcune scene nuda) e la sequenza della concubina punita con il fallo di pietra fu girata dalla sarta di scena (Lucia Costantini). Sono confessioni che mi ha fatto lo stesso Deodato, non so dire quanto ci sia di leggendario e quanto di vero, ma le riportiamo come tali. All’estero questo film è stato spesso venduto come un documentario alla Mondo Cane e in paesi come il Giappone fu la produzione a imporre questo tipo di commercializzazione. Oggi nessuno ci crede più. Tutti sappiamo che le sole vere violenze furono ai danni degli animali. Scene truci che costarono al regista feroci critiche da parte di associazioni ambientaliste e animaliste.

Cannibal Holocaust è girato in modo realistico e soprattutto la parte del finto documentario gioca con l’espediente tecnico della pellicola graffiata per dare la sensazione del vero filmato non professionale. Poi, come fa notare Antonio Tentori, c’è anche un diverso uso della fotografia e dello stile che contrappone la parte dedicata ai filmati della troupe al resto della pellicola. Tutto questo contribuisce a creare un notevole impatto emotivo nello spettatore,  ma al tempo insinuò il sospetto dello snuff e portò Deodato a fare i conti con la giustizia. Il film venne sequestrato e condannato, sollevando un coro quasi unanime di esecrazione. Durante il processo fu chiarito che le sequenze incriminate erano pura finzione e che non erano stati girati veri riti cannibali. Il regista e gli attori rischiarono ugualmente la galera quando venne fuori che le uccisioni degli animali erano vere. Deodato si difese abilmente asserendo che le mutilazioni agli animali erano state riprese con spirito documentaristico. Tutto faceva parte delle usanze locali e gli indigeni alla fine delle riprese si cibavano degli animali uccisi. In pratica Deodato disse che non c’era stata nessuna violenza gratuita finalizzata al film, ma che si era limitato a riprendere bestie uccise per esigenze alimentari dagli indigeni locali. Per noi occidentali può apparire strano ma è vero che la tartaruga e il topo gigante sono alimenti serviti regolarmente sulle mense tribali. Il porcellino squartato in primo piano da Luca Barbareschi è l’unica vittima che pare sia stata consumata anche dalla troupe di  Deodato. Ma chi di noi non ha mai mangiato un porcellino? Può far pena vederlo morire, certo. Ma se lo troviamo in tavola di sicuro diciamo che è un piatto molto appetitoso. E poi tutto quello che è stato fatto era finalizzato alla realizzazione di un capolavoro del cinema, un film che resterà una pietra miliare dell’exploitation italiana.

In ogni caso l’ondata di disgusto dal sapore censorio bloccò per lungo tempo il film e impedì a Deodato di raccogliere subito i frutti del suo lavoro. La pellicola venne riproposta nelle sale durante la stagione cinematografica 1983-84, dopo alcuni tagli e diverse cause legali. Adesso grazie al circuito Home Video molti appassionati hanno potuto apprezzare la pellicola in versioni totalmente uncut. Tempo fa c’era una versione olandese integrale dai contenuti leggendari contro una VHS italiana più censurata. Adesso esiste un DVD uncut italiano con moltissimi extra e un doppio disco che contiene il film proprio come fu girato da Deodato, addirittura con il suo commento. La pellicola contiene immagini forti, come si usa dire oggi, politicamente scorrette, ma la violenza esibita è finalizzata a una denuncia, a un messaggio di alto valore etico e cinematografico.

Cannibal Holocaust è il primo film che inaugura il meccanismo geniale della VHS ritrovata e che viene girato come un documentario realistico. The Blair Witch Project (1998) di Daniel Myrick e Eduardo Sanchez ha copiato di sana pianta l’espediente, cosa che ha infastidito non poco Deodato, che ha meditato sull’opportunità di intentare una causa civile per plagio. Non ne ha fatto di niente ma ci sarebbero stati gli estremi per agire in giudizio. Tra l’altro Il mistero della strega di Blair è un pessimo film che gioca tutte le sue carte sulla trovata del finto documentario. Pare quasi impossibile che il pubblico abbia assistito a un lavoro così mal girato senza protestare più di tanto. La trama vede tre studenti che per un saggio di fine corso si recano nei boschi di Maryland sulle tracce della leggendaria strega che fa sparire i bambini. Portano con loro una video camera digitale e una cinepresa in sedici millimetri, con la quale filmano il crescendo di paura e tensione sino alle scene finali che precedono la loro morte. Il materiale girato dai tre studenti viene rinvenuto un anno dopo e distribuito nelle sale come documentario. Questo è il gioco che si tenta di far credere per mezzo di un sito internet costruito appositamente e tramite una straordinaria campagna di stampa. Il film riscuote un successo commerciale notevole, a dimostrazione di come si possano costruire a tavolino pellicole miliardarie che in realtà nascondono soltanto pessimi prodotti.

L’unica cosa interessante resta lo stratagemma della pellicola ritrovata nel bosco e del finto documentario, ma sono cose già viste in Cannibal Holocaust vent’anni prima.

Tra l’altro l’idea sviluppata da Deodato ispirò nel 1998 anche un’altra produzione americana: The last broadcast (L’ultima trasmissione) che racconta la storia di una troupe che deve girare un documentario sul diavolo del Jersey. Anche in questo caso la spedizione nei boschi non farà ritorno. Nel soggetto del film il documentario viene indicato come Jersey devil project.  Dato che è girato un anno prima de Il mistero della strega di Blair c’è il sospetto del doppio plagio!

Il film di Deodato non si limita a un esercizio sterile di tecnica di ripresa e all’esibizione della capacità di girare una storia spacciandola per vera. È molto di più. Cannibal Holocaust è un film disperato e lirico, indimenticabile nella sua incredibile rappresentazione della violenza. Un’opera di culto nell’exploitation italiana che non può lasciare indifferenti. I fotogrammi finali restano scolpiti nella memoria dello spettatore, raggiungendo lo scopo di sconvolgere e disturbare. Il finale recita una morale che può sembrare banale ma che non lo è se la storicizziamo. Cannibal Holocaust, come dice lo stesso Deodato, è un film di denuncia e vuole mettere alla berlina gli scoop sensazionalistici, i mondo movie, i documentari che dovevano sconvolgere per forza. Deodato sconvolge ancora di più con una crudele e spietata rappresentazione della violenza. “Mi domando chi siano i veri cannibali”, dice nell’ultima scena il dottor Monroe. Ne emerge anche un messaggio ecologico, sebbene Deodato sia stato tacciato più volte di bieche violenze su animali offerte in sacrificio alla sua pellicola e ai suoi spettatori. In realtà sono proprio quelle uccisioni in diretta che lanciano il messaggio di disgusto e raccapriccio e che – a loro modo-  sono dalla parte degli animali. Così come il film è dalla parte dei selvaggi che reagiscono soltanto perché tormentati e aggrediti. I veri cannibali siamo noi che non abbiamo rispetto per chi è diverso e perché usiamo i più deboli e indifesi per i nostri laidi scopi. Cannibal Holocaust è un film che vuol sconcertare e far pensare allo scempio che la civiltà ha perpetrato e continua a perpetrare ai danni della natura incontaminata e delle popolazioni primitive dell’Amazzonia. Ecco perché non comprendiamo il senso di tante accuse superficiali e prevenute.  Lo spettatore esce di sala con l’amaro in bocca e non può scordare niente di quel che ha visto. Soprattutto si sente dalla parte di quei poveri cannibali che divorandosi la troupe diabolica hanno fatto soltanto giustizia.

Deodato ha detto a Nocturno che quando fece quel film era molto incazzato per i suoi problemi personali con la Dionisio. La coppia stava divorziando e la cosa veniva vissuta in modo traumatico. Deodato dice che tutta la cattiveria che ha inserito nel film viene da questo suo particolare stato d’animo. Pare poi che la storia gli fu suggerita dal figlio, che all’epoca rifiutava di guardare la televisione perché era scioccato da tutti quei reportage violenti che passavano ai telegiornali, dai morti ammazzati dalle Brigate Rosse e via dicendo.

(6/1 – continua)

Gordiano Lupi