LA LEGIONE DELLE STELLE

Spesso, se non quasi sempre, parlare di narrativa di fantascienza del passato significa avere a che fare con scrittori e autori prettamente di sesso maschile e inglesi o americani, scordandosi il più delle volte che anche in altri paesi la sci-fi ha avuto i suoi “pezzi da novanta”: Russia, Germania, Spagna, Italia, Francia, giusto per citarne qualcuno, hanno dato il loro giusto contributo alla “causa”, assolutamente da non sottovalutare.

Dopo aver parlato in tempi passati di Jules Verne e Rosny Ainé, è di nuovo in Francia che andiamo pure stavolta, grazie al nuovo volume “La legione delle stelle” di Charles Henneberg, pubblicato in questo periodo dalle Edizioni Profondo Rosso e curato da Luigi Cozzi, il quale ci ha permesso di pubblicare la sua postfazione al volume in cui si spiegano tante cose sulla fantascienza dei nostri cugini d’oltralpe… e, come scoprirete, non tutto è come sembra, ovvero non è tutto oro quello che luccica, a partire dal nome dell’autore di questo romanzo che, a dispetto di quanto sembra, non è un uomo e non si chiama Charles, bensì è una donna e risponde al nome di Nathalie.

Per ragioni varie abbiamo suddiviso in due parti lo scritto di Luigi: prossimamente vi delizieremo con la biografia di Charles (Nathalie) Henneberg, mentre ora vi lasciamo con alcune riflessioni di Cozzi sull’uscita di questo libro nel nostro paese.

Davide Longoni

Perché questo romanzo non era mai uscito in Italia?

Il libro che avete adesso tra le mani racchiude (…) uno di quei romanzi che Nathalie Henneberg aveva lasciato incompiuti intorno al 1951-52… un testo che esce oggi in Italia per la prima volta soltanto in questo 2015, a circa mezzo secolo di distanza dalla sua stesura iniziale, il che lo renderebbe quasi un reperto di polverosa archeologia letteraria se questo romanzo non fosse invece ancora oggi tanto vivo e vibrante, di piacevolissima lettura.

Ma come è possibile che un libro così interessante possa essere rimasto inedito (alla pari dell’altro romanzo ancora sconosciuto in Italia della Henneberg, La forteresse perdue) per tanto tempo qui da noi, ignorato per decenni dai vari curatori di Urania, Cosmo e Galassia, mentre banalità letterarie di ogni tipo sono state invece rese nel frattempo in italiano?

Sinceramente non saprei quale risposta dare a questa domanda, se non azzardando l’ipotesi che per qualche misteriosa ragione quest’opera della Henneberg che avete adesso tra le mani non è mai pervenuta a nessuno dei vari curatori di collane fantascientifiche che si sono succeduti attraverso i decenni nel nostro Paese.

In effetti, a discolpa dei vari curatori di Urania, Cosmo e Galassia, devo dire che comunque non si può dimenticare che Giorgio Monicelli, il fondatore di Urania, ha sempre privilegiato per la pubblicazione i libri scritti da questa autrice: infatti è a lui che dobbiamo l’uscita di La nascita degli dei, Anno I – Era Spaziale e I vampiri di Bellatrix… così come anche Roberta Rambelli sulla sua Galassia ha pubblicato con vero entusiasmo un romanzo della Henneberg (Le notti di smeraldo), con la quale come scrittrice lei stessa mi diceva che un po’ si identificava… Roberta, che per un paio di anni io l’ho anche vista tenere sempre in evidenza sulla sua scrivania a Milano in via Gustavo Modena anche un altro testo della Henneberg, La Plaie, perché le era piaciuto moltissimo e lo voleva includere nella serie dell’SFBC (non lo fece alla fine solo perché l’editore Vitali si oppose all’uscita dell’opera di un autore francese in quella collana prestigiosa).

Quindi io suppongo che in realtà questo libro, Le Chant des Astronautes, non sia mai uscito fino a oggi in una traduzione italiana unicamente perché, per via di chissà quale bizzarria del destino (o di disservizio postale…), una sua copia originale francese non è mai arrivata nella redazione delle varie collane specializzate italiane.

Del resto, lo ammetto, anch’io sono entrato in possesso della prima ed unica edizione originale in libro di questo titolo in una maniera decisamente insolita e del tutto casuale: nel 2008, per via dei miei film Starcrash e Contamination, ero stato invitato come ospite d’onore a un festival cinematografico che si teneva a Strasburgo e lì, una domenica mattina, mentre passeggiavo tranquillamente per il centro di quella bellissima città, mi sono imbattuto del tutto casualmente in un mercatino dell’usato… dove, curiosando tra le varie bancarelle, all’improvviso mi sono ritrovato davanti a una vecchia copia usata di questo romanzo della Henneberg. Rimasi colpito dal fatto che, pur conoscendo abbastanza bene quell’autrice, quel suo titolo non l’avevo mai neppure sentito nominare e allora, visto che costava appena un solo Euro, l’ho acquistato al volo e dopo, leggendolo, ho scoperto che si trattava di un’opera davvero interessante e meritevole di essere presentata finalmente anche al pubblico italiano.

A mio parere Le Chant des Astronautes è infatti un libro a tratti molto intrigante, oltre a essere forse quanto di più vicino alla fantascienza Nathalie Henneberg abbia scritto, dato che si tratta di un’autentica space opera, sì, ma con dentro anche molto di più, dalla storia d’amore estrema alla variazione insolita sul tema del vampirismo (con mostri cosmici che succhiano l’energia e l’anima invece del sangue…), il tutto steso inoltre con uno stile che in parte evoca certi deliziosi romanzi fantascientifici juveniles tipo Cittadino della galassia e in parte il mix personalissimo di esoterismo e “fantastique” delirante che è sempre stato caratteristico di questa inimitabile scrittrice. Con in più un’insolita conclusione finale, forse  eccessivamente affrettata e sbrigativa a mio parere, magari perché buttata giù troppo in fretta per consegnare in tempo questo romanzo rimasto a lungo incompleto alla redazione della rivista Satellite che l’aveva insistentemente richiesto per la pubblicazione nel 1958 in due puntate… tanto che la Henneberg non sembra nemmeno essersi accorta che l’ultimo capitolo (il ventunesimo) l’ha scritto non più in prima persona come invece è tutto il resto del libro.

Comunque, malgrado questo finale (a mio parere, lo ripeto, un po’ eccessivamente sbrigativo), Le Chant des Astronautes resta per me un libro davvero piacevole e che si legge tutto d’un fiato… un libro non stupido e per niente inutile che mischia i ricordi sulle esperienze belliche nella Legione Straniera di Charles Henneberg con il senso epico delle grandi saghe spaziali americane (La legione dello spazio di Jack Williamson, per esempio) arrivate in Francia all’inizio degli anni Cinquanta, generando complessivamente anche nel lettore di oggi la visione di un godibilissimo futuro ipotetico sul quale è stata spruzzata dall’ispirata scrittrice pure una certa grandiosità delirante alla A. E. Van Vogt frammista alla vivacità dei migliori romanzi per ragazzi di Robert A. Heinlein… insomma, se non l’avete ancora capito, questo Le Chant des Astronautes a me è proprio piaciuto molto.

E spero che adesso sia stato apprezzato anche da Voi.

Luigi Cozzi