IVAN ZUCCON

E’ uno dei registi horror dell’ultima generazione più apprezzati al momento: Ivan Zuccon è uno che con budget limitati riesce sempre a confezionare pellicole che lasciano il segno, impeccabili sotto ogni punto di vista e che sanno letteralmente farci balzare dalla sedia… horror allo stadio puro, come non se ne vedevano in Italia da parecchio tempo. Ecco perché lo abbiamo incontrato per voi: per conoscerlo meglio e per conoscere meglio il suo modo di fare cinema.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È IVAN ZUCCON?

Uno che non si arrende mai.

COME HAI COMINCIATO A FARE CINEMA?

E’ grazie ai miei genitori che in me è nata la passione prima per l’arte e poi per il cinema. Mio padre musicista, pittore e scultore, mi ha trasmesso l’amore per tutto ciò che riguardava l’espressione artistica in ogni sua forma. Se a questo ci aggiungiamo che da bambino venivo portato al cinema almeno due volte alla settimana a vedere film di Sergio Leone, Alfred Hitchcock e John Carpenter, si fa presto a capire come mai mi sono ritrovato a fare cinema.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRIME PRODUZIONI A PARTIRE DA “L’ALTROVE” FINO A “BAD BRAINS”?

“L’Altrove”, ispirato agli scritti di H.P. Lovecraft, nasce prima come cortometraggio, era il 1998. Il film, della durata di 32 minuti, è una specie di patchwork lovecraftiano, che riassume molte delle atmosfere dello scrittore di Providence ed è ricco di citazioni tratte dai suoi racconti, pur non essendo basato ufficialmente su nessuno di essi. Mi ritrovai a leggere Lovecraft quasi per caso e rimasi rapito dalla sua prosa così densa, dal suo maniacale studio delle atmosfere, e fu proprio questo “mood” alieno a farmi sentire in sintonia con questo scrittore. Decisi che la materia era perfetta per un film horror d’atmosfera e mi misi subito al lavoro prendendo stralci di idee un po’ da tutti i suoi scritti, in particolare quelli inerenti alla sua invenzione più celebre: il terribile Necronomicon. Terminata la realizzazione del cortometraggio lo feci vedere ad alcune case di produzione americane e la Prescription Films dell’attrice Tiffany Shepis mi commissionò l’allungamento del film per portarlo a una durata di 80 minuti. Nel 1999 tornammo sul set per girare le scene aggiuntive e nel 2000 eravamo al Market di Cannes a vendere i diritti del film. Fu un momento esaltante della mia carriera. Pur nella sua non linearità e nel suo essere un po’ acerbo come spesso lo sono tutte le opere prime, il film andò molto bene. Mi commissionarono un sequel, nel 2001, “Unknown Beyond” che purtroppo non diede le stesse soddisfazioni e che mostra parecchie lacune anche per via della velocità con cui siamo stati costretti a realizzarlo.

Nel 2003 è la volta di “The Shunned House”, in assoluto uno dei miei film più importanti, di cui vado particolarmente fiero. Deciso di dedicare tutto me stesso alla formulazione di un cinema personale, mi getto in questa idea di realizzare un film a episodi dove però i passaggi temporali sono legati tra loro indissolubilmente, fondendo e comprimendo lo spazio-tempo, trasformando le singole storie in tasselli decostruiti di un puzzle che si compone solo alla fine. Un film complesso, partito come un film a episodi che invece finisce per essere un mosaico dell’orrore dove la vera protagonista è la casa stessa. Il film piacque così tanto alla comunità internazionale che è stato distribuito in 30 paesi nel mondo. E’ uscito anche in Italia in una bellissima edizione in dvd edita dalla Stormovie!

E arriviamo al 2005 con “Bad Brains”. In realtà di questo film esiste già una versione cortometraggio. L’idea iniziale del film è proprio un mio corto del 1998 intitolato “DeGenerazione”. Il film in questione partecipò a molti festival e grazie alla sue tematiche molto forti (si parlava di un brutale matricidio) suscitò molto scalpore. Da allora l’idea di farne un lungometraggio mi ha sempre solleticato e l’occasione si è manifestata quando la società di produzione Timeline di Roma mi propose di realizzare un film per e con loro. Nel film ci sono momenti di riflessione che si alternano a momenti di estrema brutalità, la verità è che “Bad Brains” non ha mai voluto essere un film comune, ma un film estremo, non solo dal punto di vista dei contenuti e della trama, ma anche sotto l’aspetto della forma e del linguaggio cinematografico. Un film non per tutti, non un horror in senso tradizionale, ma anzi un dramma durissimo, una storia d’amore intrisa di sangue e carne dolente.

QUALI SONO STATE LE DIFFICOLTA’ PRINCIPALI CHE HAI INCONTRATO IN OGNI PROGETTO?

Sarà ripetitivo dirlo ma la maggior parte dei problemi si riscontrano con i produttori, sia italiani che stranieri. A tal proposito vale forse la pena di raccontare questo aneddoto che riguarda il mio penultimo film ma che in realtà doveva essere girato subito dopo “The Shunned House”. Parlo di “Colour From the Dark”. Era il 2004. Si tratta di un adattamento di uno dei più celebri racconti di H.P. Lovecraft, “Il colore venuto dallo spazio”. Nell’estate di quell’anno la sceneggiatura era pronta e avevamo anche due produttori canadesi pronti a far partire la produzione. Il fatto è che poi misteriosamente questi “signori” sono spariti, e con i pochi soldi che ci avevano anticipato abbiamo pagato i lavori iniziati per poi sospendere tutto. Fu un momento molto amaro, ma evidentemente non era il momento giusto per quel film. Negli anni successivi mi sono dedicato ad altri progetti, per poi ritornare a questo nel 2007 grazie all’intervento della produttrice Roberta Marrelli.

IN TEMPI RECENTI INVECE POTREMMO DIRE CHE QUALCOSA E’ CAMBIATO NEL TUO MODO DI FARE CINEMA, MA ANCHE NELL’APPROCCIO DEL PUBBLICO NEI TUOI CONFRONTI. CON “NYMPHA”, “COLOUR FROM THE DARK” E “WRATH OF THE CROWS” LE TUE PRODUZIONI SI SONO FATTE PIU’ PROFESSIONALI E SIA GLI APPASSIONATI SIA GLI ADDETTI AI LAVORI SE NE SONO ACCORTI. VUOI RACCONTARCI QUALCOSA DI QUESTI FILM E DELLA TUA EVOLUZIONE?

L’unico film da me realizzato che considero semi-amatoriale è “L’Altrove”, la mia opera prima. Il resto è stato realizzato sempre con un livello di professionalità piuttosto elevato. Ciò che ha dato una svolta al mio modo di lavorare, oltre all’esperienza accumulata negli anni, è stato scritturare attori e talvolta membri della crew americani e inglesi. La vera svolta infatti parte con “NyMpha” nel 2006. Trovo l’attore americano generalmente molto più preparato, anche perché avendo molte più opportunità hanno occasione di crescere artisticamente e tecnicamente. Non parlo quindi di talento, quello non ha nazionalità, ma parlo di preparazione, di tecnica. Ho lavorato con attrici americane come Debbie Rochon o Tiffany Shepis che impiegavano pochi secondi per entrare nella parte mostrando, oltre a una bravura sconfinata, una capacità della gestione delle emozioni che la si ottiene solo lavorando al mestiere di attore con continuità. E’ quello che manca qui da noi in Italia, manca la possibilità di dare agli attori una certa continuità nel maturare esperienze.

Un altro aspetto dell’evoluzione lo possiamo individuare nel mutamento della cifra stilistica. La mia impostazione è sempre stata piuttosto classica e questo essere classicheggiante lo si percepisce molto bene in film come “NyMpha” e “Colour from the Dark”, ed è proprio con questo film che ho percepito di essere arrivato a un bivio. Finito il film mi sono preso un periodo di pausa di ben 5 anni prima di metter mano a un nuovo progetto. Sentivo che era arrivato il momento di cambiare registro, di essere meno ligio alle regole, meno rigoroso nell’affrontare il genere. Sentivo una forte propensione all’anarchia. Era la mia anima pulp che premeva per fare qualcosa di radicalmente diverso, nonostante dovesse contenere tutte le mie ossessioni e le tematiche a me care. E’ nato “Wrath of the Crows”, film folle e complesso, adrenalinico e dalle moltissime sfaccettature, che tratta temi complessi ma con punte di ironia e parentesi grottesche. “Wrath” è probabilmente il film più violento e splatter che io abbia mai realizzato.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE DI QUESTE TRE PELLICOLE?

Mi piace lo studio dei personaggi. Dedico molto tempo alla loro caratterizzazione e in definitiva cerco di mettere in contrapposizione i due elementi primari che muovono le azioni e i comportamenti umani: l’istinto e la ragione. In realtà non sono affascinato dai comportamenti bestiali degli uomini, ne sono spaventato. Certo è che dovendo raccontare storie di paura viene logico per me raccontare ciò che mi spaventa realmente, da ciò la presenza di questi elementi primari nei miei film.

In “Colour From the Dark” per esempio la “ragione” è ben rappresentata dal personaggio di Pietro, con la sua solidità morale, con la sua caparbietà nel cercare di capire con l’ausilio della logica tutto il male che si sta scatenando nella sua famiglia. Lucia invece incarna le pulsioni più selvagge, rappresenta la ragione che soccombe agli istinti più biechi e violenti. Alla fine di tutto la ragione verrà schiacciata dal male che sovrasterà tutto e tutti, degradando e corrompendo ogni cosa. L’ambientazione più complessa è stata forse quella di “Wrath of the Crows”. Semplice concettualmente, si tratta di una prigione, articolata nella gestione e nella realizzazione. Infatti il set è stato interamente costruito. E’ piuttosto raro per un film indipendente italiano costruire i set come si fa a Cinecittà per esempio o negli studios hollywoodiani, ma alla fine la scelta è stata vincente. Una volta terminato il set ho potuto girare con una libertà creativa che non ho mai avuta. Tutte le luci erano nascoste, potevo inquadrare gli attori da qualsiasi angolazione senza dover per forza rifare l’illuminazione ogni volta. Tutto ciò ha reso ancora più spontanea la linea registica del film.

E QUALI SONO STATI GLI OSTACOLI, IN GENERE, CHE HAI INCONTRATO?

L’ostacolo più strano della mia carriera lo potrei definire “soprannaturale” ed è stato battezzato con il nome di Trevor. Il set è quello di “Colour From the Dark”. Abbiamo girato in un vecchio e bellissimo cascinale dove nel 1985 Tinto Brass girò il film “Miranda”. All’interno ci sono ancora dei pezzi di scenografia originali del film. La prima settimana però è stata la più difficile per via di alcuni episodi strani che hanno drasticamente rallentato la produzione.

In pochi giorni abbiamo dovuto sostituire ben due cineprese HD che misteriosamente hanno smesso di funzionare correttamente. La seconda macchina da presa addirittura si metteva a registrare da sola così, all’improvviso. Fortunatamente la terza macchina non ha dato problemi. Ma non è finita, entrambe le mie due automobili hanno subito strani e inspiegabili guasti meccanici: la prima ha subito una pericolosissima rottura ai freni, la seconda ha fuso il motore. Potrei andare avanti a lungo, raccontando di altri incidenti a cose e alle persone, perché ogni giorno ne succedeva una. Eravamo allibiti! Dopo la prima settimana avevamo così tante scene da recuperare che abbiamo dovuto girare anche nei giorni di riposo.

A un certo punto la produttrice esecutiva del film nello scattare alcune foto di scena scoprì il volto del nostro misterioso ospite. Spesso infatti, in mezzo al fumo che usiamo di scena sparandolo con apposite macchine, si formava sempre la solita faccia imbronciata. Da quel momento si è iniziato a pensare a uno spettro o a un poltergeist un po’ dispettoso. Anche Massimo Storari, il nostro supervisore ai visual effects, ha scattato foto un po’ misteriose, una è poi incredibile: in alcuni scatti a raffica si è come impressa una sostanza nera dalla forma umana che si sollevava dal terreno adiacente alla fattoria.

Una foto inspiegabile e veramente inquietante!

Comunque sia, dopo la prima settimana gli episodi strani sono lentamente diminuiti e alla fine siamo riusciti a portare a termine le riprese del film senza ulteriori ritardi.

CON I TUOI FILM TI SEI SPESSO AGGIUDICATO PREMI E NOMINATION A VARI FESTIVAL, SEGNO CHE IL CINEMA INDIPENDENTE STA COMINCIANDO FINALMENTE A ESSERE PRESO IN CONSIDERAZIONE. MA CHE SIGNIFICATO HA OGGI FARE CINEMA INDIPENDENTE DI GENERE IN ITALIA, OVVERO QUALI SONO LE SODDISFAZIONI E I PREGI E QUALI SONO INVECE LE FRUSTRAZIONI E I DIFETTI?

Fare cinema di genere in Italia significa dover accettare anzi meglio abbracciare il concetto di elogio dell’imperfezione. Il nostro attuale cinema horror dispone, ahimè, di bassi budget ed è quindi lecito aspettarsi un cinema imperfetto. Vedo in questo cinema molte idee, molta passione, molta voglia di raccontare, di osare. Mi piace tutto questo. Mi viene da ridere quando sento dire che ancora aspettiamo la rinascita del cinema horror italiano: siamo seri, a parte rare eccezioni il nostro cinema horror è sempre stato un cinema di nicchia e credo che sempre lo sarà. Siamo troppo lontani dalle logiche “mainstream” degli americani, siamo troppo personali e difficilmente omologabili, e questo comunque è un grande pregio.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Quando non mi ispiro a qualche testo preesistente come nel caso di Lovecraft, le idee sovente nascono da sogni (o meglio incubi), da racconti di vita quotidiana, ovvero dall’ordinario che si trasforma in straordinario e infine da intuizioni sporadiche e spontanee. Ho notato che le idee migliori arrivano quando non le cerchi come è accaduto ad esempio con “Wrath of the Crows”. Questo film è basato su un mio soggetto che scrissi durante una notte insonne mentre facevo da balia a mia figlia che non ne voleva sapere di addormentarsi. Quando alla fine la piccola prese sonno io me ne restai lì, sveglio più che mai con la mente piena di idee scaturite da chissà dove. Scrissi tutto di getto. Dodici pagine fitte di dialoghi e scene che sono diventate poi la base per la sceneggiatura del film scritta dal bravissimo Gerardo Di Filippo.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Con l’horror si possono raccontare cose anche molto serie. E’ un genere cinematografico che può spingere un autore a sondare terreni inesplorati sia dal punto di vista contenutistico che tecnico. Mi piace studiare i meccanismi della paura, mi incuriosisce l’irrazionale della vita quotidiana, la logica che si nasconde dietro ogni elemento apparentemente irrazionale. Ma una logica c’è sempre, il problema è che non sempre l’uomo è in grado di afferrarne il senso, come la paura dell’ignoto ad esempio che, come diceva Lovecraft, è il sentimento più forte e antico dell’animo umano. In definitiva il mio è un approccio intimista, cerco per sondare l’animo umano (guardando prima di tutto dentro me stesso) non con la pretesa di dare risposte, ma con l’illusione di fornire delle interpretazioni.

MA SOPRATTUTTO LA TUA PASSIONE CINEMATOGRAFICA POSSIAMO LEGARLA AL NOME DI HOWARD PHILIPS LOVECRAFT: COSA HA SIGNIFICATO PER TE QUESTO SCRITTORE?

L’amore per Lovecraft nasce principalmente dal fatto che il mio primo approccio al genere fantastico e gotico è di tipo letterario. Tra tutti gli autori horror che ho letto, Lovecraft è quello che più mi è rimasto dentro, per la sua cocciuta volontà di raccontare l’indicibile. Capirai che per un regista è una sfida ancora più grande: come si fa a mostrare ciò che non si può mostrare? Lovecraft ci è riuscito con la sua penna, io mi sono imposto la sfida di realizzare ciò con la macchina da presa. Amo le sfide impossibili.

OLTRE A LOVECRAFT, QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Il mio immaginario è stato folgorato da scrittori geniali come Burroughs e Ballard. Mi hanno aperto la mente, mi hanno fatto vedere cose che nemmeno immaginavo.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ TI PIACCIONO, CHE CI DICI?

Il cinema che mi ha segnato profondamente, è quello di Bergman e Bunuel. Quando guardi un loro film è come saltare in una nave e affrontare un viaggio verso mondi molto personali, i mondi creati da loro. Cito solo due titoli immensi che mi hanno cambiato la vita: “Il Silenzio” di Bergman e “Il fascino discreto della borghesia” di Bunuel. In campo horror l’autore che sento più affine è Mario Bava. Il suo modo di fare cinema è stato per me un esempio importante. Mario Bava ha sempre usato la macchina da presa per raccontare, non dimenticandosi mai che il cinema è prima di tutto un’arte visiva, fatta di immagini, relegando a secondo piano i dialoghi e la trama. Questo approccio ha dato origine ad autentici capolavori.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

E’ ovvio che tutti noi registi abbiamo qualche progetto pronto che aspetta di prendere vita, la verità è che non voglio dire nulla tranne che il 2014 sarà l’anno del mio ritorno sul set e che non è detto che il film che realizzerò sarà per forza un horror. “Wrath of the Crows” ha segnato l’inizio di un cambiamento in me, e ho intenzione di proseguire seguendo questa via.

E NOI ASPETTEREMO DI VEDERE QUALE SARA’ QUESTA NUOVA VIA!

Davide Longoni