E POI VENNE IL COMPUTER… MA SOLO POI – PARTE 13 – GUERRE STELLARI (1977)

Partiamo con uno dei cavalli di battaglia di Harrison Ellenshaw, ovvero colui che ha dipinto il fondale della stanza del generatore della Morte Nera: come voi tutti ricorderete, il generatore è un marchingegno in cima a una colonna in un corridoio verticale ed è raggiungibile solo mediante un ponte che attraversa orizzontalmente il corridoio, ai lati dello stesso c’è solo il vuoto e l’intrepido Ben Kenobi si avventura là per disattivare l’energia. In realtà il generatore è stato sistemato sopra una base di appena un metro di altezza, e tutto il resto è stato disegnato in seguito da Ellenshaw e poi montato con la tecnica delle matte; sarebbe stato costosissimo realizzare una struttura come quella del generatore oltre che pericoloso. Sono state usate 17 matte in tutto il film e bisogna dire che gli effetti ottenuti hanno largamente ripagato la fatica spesa; è abbastanza facile realizzare con la tecnica del “Rear Projection” queste scene, si possono infatti cambiare misure e distanze nel montaggio finale e poi non si devono costruire costosi fondali posticci. La tecnica del computer come noi lo conosciamo soppianterà ben presto anche questa tecnica.

I robot di Star Wars sono una bellissima innovazione, per farli muovere ci voleva qualcosa di altrettanto creativo: per il piccolo C1-P8 non c’erano grandi problemi, ma per C-3PO (D3-BO nella versione italiana, ndr) le cose si complicarono: non si poteva certo costruire un vero robot o droide, non c’erano i mezzi e, soprattutto, non c’erano i soldi. Comunque sia un robot vero non avrebbe potuto muoversi così flessibilmente e naturalmente; quindi l’idea di George Lucas di infilare un uomo sotto quell’armatura fu ben accolta da tutti, anche da Anthony Daniels, bravissimo mimo che spesso aveva lavorato in teatro con ottimi risultati. L’ispirazione per la costruzione di C-3PO era chiaramente venuta dal film Metropolis di Fritz Lang, era uno spunto ottimo per realizzare un robot, e Ralph McQuarrie con l’aiuto di Norman Reynolds s’impegnò e i due materializzarono (con Liz Moore) il prototipo: era un’armatura in fibra di vetro, molto simile alla resina, con inserti vuoti, fatta su misura per l’attore che avrebbe dovuto impersonarlo. Sono state costruite due armature per Daniels, una seduta e una in piedi ed entrambe dovevano essere usate distintamente, dal momento che l’armatura da “passeggio” prevedeva molteplici movimenti, mentre quella da “riposo” ne prevedeva solo alcuni, peraltro per la parte superiore del corpo. Il piccolo C1-P8 deve il suo nome al gergo usato dai montatori cinematografici, infatti R2-D2 (il vero nome del droide nella versione originale, ndr) significa “Reel 2 Dialogue 2” (Rullo 2 Dialogo 2): non è molto originale, ma il piccolo è rimasto simpatico subito a tutti. Era mosso da Kenny Baker, un nano (meno di un metro di altezza) che ha molto aiutato lo staff nel manovrare la coda del perfido Jabba in “The Return of the Jedi”, nelle scene in primo piano: è stato molto più semplice farlo muovere da una persona in modo da ottenere una maggiore naturalità nei movimenti; mentre per le riprese da lontano il piccolo barilotto è stato comandato a distanza con un radiocomando. Molti altri C1-P8 sono stati costruiti, tutti uguali, usati singolarmente per specifiche scene: uno poteva solo camminare in una posizione, un altro poteva solo girare su stesso e altri, invece, avevano il solo scopo di mostrare un braccio bionico col quale interagivano con i comandi elettronici delle navi stellari; per gli inserti bionici, cioè per le articolazioni mosse da apparecchiature elettroniche, John Stears – capo della squadra degli effetti speciali – consultò un’équipe specialistica in robotica dell’ospedale Queen Mary di Londra. Per molti di noi tutti il linguaggio di C1-P8 è incomprensibile, ma per un esperto linguista come C-3PO è sempre stato un gioco da ragazzi. Comunque per coloro di voi che non hanno seguito il corso lingue stellari, sarà bene chiarire alcuni aspetti tecnici: Ben Burtt, esperto tecnico del suono, catalogò le emozioni più comuni, come gioia, tristezza, preoccupazione e rabbia in diversi tipi di suono, in modo da costruire un’apposita modulazione di tono a seconda dell’espressione che C1-P8 voleva trasmettere. Così, traducendo in suono l’espressione, il piccolo robot poteva comunicare frasi lunghissime in poco più di qualche bip e i più attenti avranno sicuramente notato che le percezioni di C1-P8 delle varie situazioni sono perfettamente comunicate in modo ottimo, così anche lo spettatore (che ovviamente non ha seguito il corso di lingua) può facilmente intuire lo stato d’animo del robot anche senza afferrare una sillaba! Lucas scrisse una sceneggiatura appositamente per questi due favolosi robot, dove proprio loro erano i personaggi principali, ma cosa ne abbia fatto non ci è dato saperlo.

Il grande pianeta Tatooine era stato studiato nei minimi particolari, doveva essere arido, doveva dare l’impressione di un mondo devastato, senza forme di vita organizzate, nondimeno costituiva un ottimo posto dove vivere, lontano dall’Impero e dalle atrocità della guerra. Il suo set era stato stranamente ricostruito a Matmata (in Tunisia); insolita decisione quella di Lucas, dal momento che poteva avere a sua disposizione tutti i set di Londra e Hollywood! Ma la scelta di quel luogo si rivelò azzeccata, dal momento che gli autoctoni del luogo vivevano in case scavate nella terra, simili a crateri lunari, per ripararsi dalle intemperie; l’entrata e l’interno della casa degli zii di Luke non è stata ricostruita, ma filmata all’Hotel Sidi Driss di Matmata, dove tutta la troupe alloggiava.

Il metodo del Blue Screen è stato qui largamente utilizzato, quasi il sessanta per cento delle scene è stato filmato con questa particolare tecnica: consta di un fondale interamente blu, generalmente è un pannello molto grande, ma per piccole scene va bene anche un pannello più piccolo, davanti al quale i personaggi (o gli oggetti) si muovono, dopodiché sulla scena filmata, si aggiunge lo sfondo che si preferisce. Ad esempio, in “The Return of the Jedi” la carambolesca fuga della principessa Leila e di Luke a bordo di un motoscooter attraverso la foresta, è stata girata interamente con il Blue Screen. Carrie Fisher e Mark Hamill cavalcavano il motoscooter davanti allo schermo, muovendosi come da copione; filmata tutta la scena, si è poi inserito lo scenario della foresta. Al posto dello schermo blu, si possono utilizzare molti altri colori, tutti escluso il bianco e il nero, l’importante è che il colore sia uniforme, senza gradazioni e tonalità al suo interno; il funzionamento di questa tecnica si basa sul concetto dell’assorbimento della luce: il blu assorbe le radiazioni degli altri colori, impedendo al soggetto in primo piano (quello semovente) di essere coperto o venire scolorito dalla proiezione. Nelle produzioni televisive lo stesso sistema viene chiamato Croma Key, la differenza in teoria non esiste, ma in pratica si preferisce usare lo schermo blu nel cinema, per convenzione, e il Croma in televisione. Piuttosto stupido chiamare lo stesso sistema in due modi diversi, direte voi. Esatto, ma il diverso nome serve proprio a differenziare le produzioni televisive da quelle cinematografiche; c’è inoltre da aggiungere che il Croma Key è molto più utile in TV dal momento che il nastro utilizzato per le riprese a colori, ha una sensibilità ben diversa da quella della pellicola: la pellicola infatti utilizza un sistema Din (per chi non s’intende di fotografia diciamo che i Din e gli Asa sono l’unità di misura dell’impressionabilità della pellicola), mentre il nastro televisivo utilizza gli Asa. In sostanza, gli Asa sono più sensibili al blu e sullo schermo tv il risultato sarebbe brutto e mal riuscito.

Sono stati utilizzati oltre trecento kit di modellini in scatola per poter costruire le varie navi: per i piccoli caccia dell’Impero non ci sono state grandi difficoltà, ma per il Millenium Falcon e per la Morte Nera (Death Star) i ragazzi della squadra hanno dovuto sezionare centimetro per centimetro tutti i modellini in scatola, scegliendo i pezzi migliori per portare avanti la costruzione. Il Millenium Falcon ricostruito in laboratorio era lungo un metro e venti cm, i caccia dell’Impero circa trentacinque cm e la Morte Nera, completamente montata, aveva un diametro di un metro e venti. Molte delle esplosioni visibili sono state realizzate in studio, con modellini in miniatura collegati a un comando a distanza che ne permetteva la detonazione; ma non tutte le esplosioni potevano essere uguali. Anche questa volta i tecnici addetti dovevano miscelare diversi elementi per ottenere delle deflagrazioni realistiche; alcune delle migliori esplosioni sono state ottenute con magnesio, polvere di dinamite e benzina. A realizzazione ultimata si possono contare ben 27 diversi tipi di esplosioni. L’impressione dell’alta velocità della nave di Solo nell’iperspazio è il risultato di un sapiente lavoro di taglia e cuci, ovvero: la veduta esterna del Millenium Falcon è stata interamente tagliata, poi con il computer si è provveduto ad “animare” le stelle, facendole diventare lunghe scie di luci, contemporaneamente, con la tecnica delle esposizioni successive si è fatto scomparire il Millenium Falcon dallo spazio statico; finito tutto questo, si sono aggiunte le scene delle stelle davanti alla cabina di pilotaggio e poi si è fatto riapparire il Falcon di nuovo nello spazio.

La spada laser è forse una delle trovate più suggestive di questa prima trilogia, ma per la loro creazione non è stato necessario ricorrere a fantomatici effetti speciali particolari, è stato sufficiente introdurre in un tubo trasparente una sostanza altamente riflettente, poi è bastato aumentare la sua luminosità di oltre duecento volte! Le altre armi, utilizzate nel film, sono il sottoprodotto di un’accurata ricerca attraverso la storia delle armi reali; Lucas desiderava che armi e guerrieri fossero il più realistici possibili, non dovevano solo impugnare un’arma, dovevano essere consapevoli che quell’arma, se usata, avrebbe prodotto effetti devastanti su cose o persone. Diamo un attimo un’occhiata alle armi visibili nel film: i droidi al servizio di Jabba (si vedono allo spazio porto di Mos-Eisley) hanno in dotazione dei fucili spara granate che non sono altro che la modifica dei fucili British Enfield 1 Mark VI, una delle maggiori differenze riscontrate è data dalla minore lunghezza del calcio (date le loro dimensioni ridotte, non potevano certo imbracciare armi lunghissime); Han Solo (Ian in italiano) usa una pistola telescopica, molto elegante e funzionale, derivata dal progetto della Mauser mod. C-96 (9mm Parabellum), la preferita di Winston Churchill; la Principessa Leila (Leia in originale) spara, e dobbiamo dire molto bene, con un surrogato della Stoeger Luger cal.22, naturalmente nella finzione, questa pistola è dotata di un compensatore e di un mirino ingrandito; Chewbacca sfrutta un esclusivo modello costruito su Wooka: una balestra rivista e corretta, con doppio mirino telescopico e stabilizzatori di peso laterali. Le guardie imperiali utilizzano vari tipi di armi, principalmente derivati da mitragliette e fucili: le tre armi più comuni sono una derivazione del British Sterling L2A3 SGM, allungate nel calcio, senza grilletto e con un’ala laterale; il laser è invece dotato di un mirino di precisione (tipo le Smith&Wesson ultima generazione) e una superficie porosa sulla canna; un’altra infallibile arma imperiale è costituita dalla futuristica realizzazione della BSA SMG 9mm, cui è stato allungato il calcio e fatto sparire il grilletto. Il fucile Lewis Mark 1.303 e il German 7.92mm MG 34 sono diventati dei bellissimi fucili laser molto più sofisticati degli originali. Per quanto riguarda le spade laser bisogna dire che ne esistono tre tipi: quella di Luke, quella di Obi-Wan e quella di Lord Fener; mentre il disegno originale di Lucas (elsa minuta costituita di 5 dischi d’argento e dispositivo d’attivazione in pietra preziosa) è rimasto in un angolo, le nuove spade hanno assunto sembianze diverse a seconda della persona che doveva impugnarle, così la spada di Luke è lineare, in argento, simbolo della purezza, pura come il suo spirito. Obi-Wan ne ha una in eguale proporzione di color argento e nero, simbolo che distingue il suo bilanciamento della Forza, elegante stile barocco che si adatta alla perfezione ad un uomo della sua età; Lord Fener si distingue anche nelle armi, la sua spada di ebano risplende, ma risplendono molto anche gli inserti in argento… forse una speranza?

Rick Baker, creatore degli alieni del film, si è veramente sbizzarrito: d’altra parte nel film dovevano esserci mille e più alieni e si doveva trovare la maniera di farli essere, oltreché diversi l’uno dall’altro, anche credibili. Non fu certo una passeggiata dare vita a trenta di questi personaggi curiosi, ma Baker, Cobbs e McQuarrie riuscirono a fare dei piccoli capolavori. A Mos Eisley, la taverna, ne troviamo una bella scelta, a partire dagli strani ceffi al banco fino all’orchestra, passando per quel simpatico animaletto (chiamato Sacacious Crub, stile gremlin muppettato) che tiene compagnia a Jabba. Ci sono davvero infinite razze e la convinzione di non essere soli si fa molto forte; le animazioni di questi pupazzoni sono state realizzate interamente senza l’aiuto del computer: ad esempio la bellissima cantante era mossa con dei fili (poi resi invisibili) da un uomo posto sotto la pedana che, con l’ausilio di un paio di bastoni, le conferiva il movimento. Tutti i movimenti del burattinaio erano perfettamente coordinati con la musica che poi sarebbe stata editata nel film, mentre le canzoni, originariamente scritte in inglese, sono state poi tradotte nella lingua desiderata! Tutto comincia con un disegno, poi il disegno del mostro viene tradotto in realtà con piccole sculture in creta, infine, ridimensionando il mostro, si cominciano a costruire le maschere in gomma, tutto poi sarà dipinto a mano; per i mostri piccoli animati si usano delle intelaiature in metallo, collegate a piccoli radiocomandi per controllarne i movimenti: per muovere gli occhi si usano dei piccoli congegni all’interno del pupazzo, comandati anch’essi a distanza da un tecnico. Alcuni piccoli mostri sono burattini, mossi dalle abili mani di burattinai, noterete che quasi non si nota la differenza! Per Jabba la tecnica di realizzazione è stata molto più complicata: sono stati realizzati tre modelli, ognuno con un aspetto diverso e solo il terzo modello si adattava alle esigenze di Lucas; ci sono voluti tre mesi per la sua realizzazione, due uomini al suo interno per muovere la testa, le mani, le braccia e la lingua e Kenny Baker dentro la coda per conferirgli i movimenti. Nell’edizione del 1997 tutti questi problemi non c’erano, bastava il computer. Quando Jabba fuma la pipa, il fumo deve per forza uscire dalla sua bocca, quindi un altro uomo al suo interno, acceso un sigaro, deve dare delle grandi boccate, per poter comparare la sua mole con quella del gigantesco Jabba. Le comunicazioni tra le persone dentro Jabba e il resto della troupe sono state difficoltose, lo strato di gomma che ricopriva il bestione era ingente e tutti gli addetti dovettero imparare perfettamente i movimenti, per poter agire contemporaneamente! Originalmente anche i dialoghi di Jabba erano in inglese, il doppiaggio nella sua lingua è arrivato solo in fase di montaggio.

Il caro Chewbacca, essere della razza imprecisata degli Wookie, è stata una delle migliori idee di Lucas: non doveva essere un umano, ce n’erano troppi, quindi doveva essere per forza una forma aliena, un incrocio tra un cane, una scimmietta ammaestrata e un grande orso: amichevole, discreto, con un tocco di sense of humor e una forza immensa. Peter Mayhew fu scelto per vestirne i panni data la sua grande altezza, oltre i due metri!

Ci sono però alcune cose non molto chiare, dei punti oscuri che non sappiamo come spiegarci come la provenienza del “Dia Noghu”, la bestia che si trova nel tritarifiuti della Morte Nera. Da dove arriva? Se è tanto grande, come Luke fa credere dai suoi discorsi, come ha fatto a entrare in quel posto così ristretto? La sua forma poi, vermoide supponiamo, non viene mostrata ma ci domandiamo se quell’essere è sopravvissuto a qualche tipo di sventura oppure è “nato” lì dentro; sappiamo che la Morte Nera è stata costruita nello spazio, quindi le uniche forme di vita presenti erano state portate intenzionalmente a bordo, ora, se quella cosa non era stata portata intenzionalmente, magari poteva essere nata dentro lo scarico dei rifiuti da un particolare agente tossico e nessuno se ne è mai accorto. Ma se anche questa supposizione non andasse bene, come faceva lo pseudo vermone a trovarvicisi? E che cosa mangia? Non diteci che mangia ferro o rottami, perché francamente non ce la sentiamo di crederci! Probabilmente la sua presenza nel film e nel tritarifiuti è puramente casuale, serviva solo per dare forza alla scena in cui Luke viene risucchiato. Un’altra cosa del Dia Noghu non ci è molto chiara: quando appunto si ode il rumore delle pareti che cominciano ad avvicinarsi, il mostrillo molla la presa e si allontana velocemente, probabilmente ha imparato che il rumore d’innesco del comando significa pericolo (i gatti fanno l’esatto contrario quando sentono il rumore dei croccantini dentro la scatola)… ma se le pareti comprimendosi schiacciano tutto, il Dia Noghu, dove va a nascondersi? Lungo la rete fognaria della Morte Nera?

John Williams ha firmato la colonna sonora del film con l’innovazione della fanfara ricorrente: Williams interpretò i desideri di Lucas, creando una musica che portasse lo spettatore nell’atmosfera magica degli eroi; l’orchestra che ha suonato, la Los Angeles Symphony Orchestra, creò qualcosa di veramente galattico, tanto più che  la colonna sonora è stata venduta (senza contare la riedizione) in oltre tre milioni di copie ed è rimasta al top della Hit Parade delle colonne sonore per oltre tre mesi.

Un’ultima nota curiosa: non è certo da tutti lasciare le proprie impronte nel cemento nella famosa Sunset Boulevard di Hollywood, ma quello che ha caratterizzato la giornata del 3 Agosto del 1977 è stata la presenza di inconsueti firmatari, ovvero Darth Vader (Fener nella versione italiana), C-3PO (D-3BO) e C1-P8 (R2D2) che hanno impresso le loro orme su di una lastra di cemento. Un grande passo avanti nella storia delle stelle, tre personaggi non umani (nella finzione) hanno depositato la loro firma e immagine a eterna memoria nel cemento!

Giovanni Mongini