DANILO ARONA

E’ sicuramente uno dei migliori autori horror sulla piazza italiana in questo periodo: Danilo Arona non è però solamente uno scrittore di romanzi, ma anche un giornalista, un saggista, un musicista, uno sceneggiatore e… molte altre cose, che andiamo subito a scoprire insieme a lui.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È DANILO ARONA?

Citando con ironia uno dei mie personaggi (Melissa, il fantasma dell’autostrada A13), Danilo Arona è un Prisma. Vivo del mio lavoro imprenditoriale, ma sono giornalista, scrittore e musicista “intermittente”. Il mondo mi definirebbe un “creativo”. Io non mi definisco. Coltivo le mie passioni con divertimento e affettuosa condivisione nei confronti di chi mi segue. Se venissero a mancare queste due componenti, smetterei all’istante. Soprattutto se scoprissi che non mi diverto più.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI?

Il 2011 è stato un anno fuori norma sul piano quantitativo. Infilando nell’elenco il lungo saggio “Villa Diodati Horror Show” e tralasciando antologie e prefazioni, sono usciti ben 6 titoli da “one man”. Sono certo troppi, ma è tutto frutto di una singolare casualità. Due sono ristampe (“Palo Mayombe” e “Rock”), poi c’è il saggio “L’alba degli zombie”, di cui rispondo per un terzo assieme a Pascarella e a Santoro. Quindi “Malapunta”, scritto in verità nel 2003, e la sceneggiatura di “Morbo Veneziano”. Non sono in verità prolifico come sembra… Il fatto è che il mercato mi chiede delle cose e io tendo a rispondere sempre di sì, spesso mettendomi in qualche pasticcio. In ogni caso sino a oggi ce l’ho fatta. Speriamo di reggere.

RECENTEMENTE È USCITO IL TUO ULTIMO LIBRO INTITOLATO “ROCK – I DELITTI DELL’UOMO NERO”. VUOI PARLARCENE?

“Rock” che Edizioni della Sera ha sottotitolato, direi con efficacia, “I delitti dell’uomo nero”, è ultimo solo per la tempistica di uscita. Ho iniziato a scriverlo negli anni Ottanta e terminato nei Novanta dopo varie tappe di produzione e sedimentazione. Uscì nel 1998 come romanzo da scaricare on line dal sito di Horror.IT e nel 2002, in edizione aggiornata e in cartaceo per la Solid con distribuzione Delos. Oggi ritorna grazie a Enzo “Body Cold” Carcello che lo ha fortissimamente voluto per inaugurare la collana Calliphora. Che dirti? E’ il tipico romanzo che, date struttura e plotline, richiede un processo di gestazione e di scrittura da calcolarsi nell’ordine di un certo numero di anni. Così è stato e non poteva essere diversamente. Chi lo legge, capisce che voglio dire.

COME È NATA L’IDEA DI FONDO DEL ROMANZO?

E’ nata al cinema dopo avere visto quel capolavoro di Sergio Leone che s’intitola “C’era una volta in America”. Mi posi il quesito se poteva esistere, in letteratura e al cinema, un testo horror con quel respiro epico e quella scansione temporale (va precisato che King non aveva ancora scritto “IT”…) e, nel chiedermelo, pensai a quale poteva esserne il soggetto. Dal mio punto di vista il rock come fenomeno storico e metafora transgenerazionale ben si prestava all’operazione, soprattutto per le sue parentele molto strette con il mondo dell’horror, il gotico in salsa New England, le sette di predicatori fanatici e tutto quel pantagruelico calderone dove nuotano assieme metallari in odor di zolfo, Charlie Manson, messaggi subliminali, morti oscure e misteriose di varie rock star. Mi misi al lavoro sin dal 1984… Data l’impostazione, il romanzo potrebbe proseguire ancora oggi e all’infinito. L’idea di fondo, ovvio paradossale e metaforica, è che nessuna morte nel mondo del rock è stata – e mai sarà – accidentale. C’è un disegno, un piano occulto. E un personaggio diabolico, ma persino simpatico, che ne tira le fila. Lui si chiama Sam Hain.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI?

Nessuna difficoltà. I personaggi principali, i membri del complesso, provengono dalla mia vita reale. Io ho suonato veramente con un gruppo che si chiamava Privilege e ho inciso veramente un disco per una casa che si presentava come Cobra Record. Uso ben quel che conosco, esseri umani compresi, e non penso di essere l’unico a farlo. Ovvio, sono sintesi anche di altre persone che ho conosciuto con qualche elemento inventato e aggiunto. L’unico creato ad hoc è stato Sam Hain. Che è venuto così, non chiedermi perché… E’ un uomo nero, nel senso di “Bogey”, ma lo è di fatto perché di colore. E’ un assassino crudele e uno stupratore feroce, ma possiede un suo lato simpatico e umoristico che a me piace molto e piace senza dubbio ai Privilege fittizi. Anzi, lo humour è proprio la chiave che li trascinerà nel mare di guai che descrivo nel libro. Sam è una via di mezzo tra Freddy Krueger, Dirty Harry, Jimi Hendrix e Fratello Blues di John Belushi… Simpatico, ma pure indefinibile. E forse indistruttibile.

IL LIBRO PARLA MOLTO ANCHE DEI GRANDI MITI DEL ROCK, DA JIM MORRISON A JANIS JOPLIN, DA JIMI HENDRIX E MARVIN GAYE: COME TI SEI DOCUMENTATO E A QUALI FATTI DELLA VITA DI QUESTE STAR TI SEI ISPIRATO MAGGIORMENTE?

Non ho avuto bisogno di documentarmi. L’argomento l’ho sempre frequentato sin da giovanissimo per pura passione. Poi ho anche curato due edizioni di “Rock Babilonia”, per Interno Giallo e Marco Tropea, e il saggio di Gary Herman è una miniera autentica di chicche varie e informazioni inedite quanto scomode. Data la peculiarità delle vicende che racconto in “Rock”, va da sé che Jimi Hendrix è la cartina di tornasole a rappresentanza di tutti i vari cadaveri eccellenti che Sam Hain, con l’aiuto di Fratello Chas e Fratello Shawn a bordo della loro Morgan nera, semina al proprio passaggio. Peraltro Jimi è stato il più grande chitarrista di tutti i tempi. La superstar del libro non poteva essere che lui.

OLTRE AL ROMANZO, IN TEMPI RECENTI HAI PUBBLICATO LA GRAPHIC-NOVEL “MORBO VENEZIANO”, DEDICANDOTI PER LA PRIMA VOLTA ANCHE AL FUMETTO. COME E’ NATA QUEST’OPERA?

E’ nata da un soggetto che scrissi negli anni Novanta per il regista Dario Piana, valoroso autore milanese che ha firmato “Sotto il vestito niente 2”, “Le morti di Ian Stone” e “Lost Boys: the Thirst”. Scaduti i diritti di sfruttamento, tentammo, Giacomo Cacciatore e io, di trasformarlo in un bel gotico veneziano con mostri e terroristi islamici. Giacomo però dovette abbandonare per dedicarsi a qualcosa di meglio e io da solo non ne avevo sinceramente voglia. Frammenti di quel lavoro finirono però dentro “L’estate di Montebuio”, come pezzi del romanzo fittizio di Morgan Perdinka “L’Onda” (“L’estate di Montebuio” è un mio libro che racconta di uno scrittore horror che continua a scrivere anche da morto…) e in qualche modo sancirono l’esistenza di quell’opera, che in realtà non esiste. Nel 2010 Stefano Fantelli mi chiese qualche soggetto inedito da trasformare in graphic novel. Ne proposi tre, se non ricordo male, e lui scelse questo, pregandomi di occuparmi della sceneggiatura. A nulla valsero le mie rimostranze in quanto non avevo mai scritto sceneggiature per comic. Dovetti cimentarmi e le cose andarono piuttosto bene dato che quella pubblicata è la prima stesura. In ogni caso, se tornerò sull’argomento, sarò meno verboso. Facendo il critico di me stesso, ho ecceduto con le parole a scapito dei disegni. La prossima volta: gulp, sok, bang, maledetto! Lettering minimalista…

DANILO ARONA NON E’ SOLO SCRITTORE DI NARRATIVA, MA SPESSO SI OCCUPA DI SAGGI E ARTICOLI DI GENERE. DA POCO E’ USCITO INFATTI IL VOLUME “LA NOTTE DI VILLA DIODATI” CHE PRESENTA UNA TUA PREFAZIONE. COME SI CONCILIA LA TUA ATTIVITA’ DI SAGGISTA CON QUELLA DI SCRITTORE?

Si concilia benissimo. Credo sia normale. Scrivo saggi anche quando scrivo romanzi. Ma tantissimi scrittori lo fanno. Da King a Lucarelli, che non accosto certo a me, passando per Jerome Charyn o Stefano Di Marino. Un buon scrittore è, di solito, un buon saggista. Ovvio, cambiano l’approccio e l’estasi creativa…

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO, MA SOPRATTUTTO PER L’HORROR. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Ma sai… questa storia dell’horror, delle gabbie e delle definizioni, a me sembra che per gli scrittori italiani abbia poco senso. In ogni caso per me ne ha poco. Sì, per comodità la uso anch’io e non ho nulla da ridire se mi battezzano come “scrittore horror”. Però, il genere, classicamente inteso, mi va stretto. Non riuscirei mai a scrivere di lupi mannari o di vampiri (qualche volta l’ho fatto, ma ho scombinato sin troppo le carte…). Amo la ghost story in ambito contemporaneo, vedi Melissa. Soprattutto amo le storie in levare, l’attesa prima della catastrofe con le inevitabili conseguenze sulla percezione del reale. Questo non è puro e semplice horror. E’ qualcos’altro. E peraltro per molti sono un oggetto “strano” anche all’interno del genere. Mi piacciono storie “di confine”, non so se rendo l’idea. Prendi “Malapunta”… Che Cosa è? Domanda superflua. Se la vuoi esaminare con la lente accademica della pertinenza dei generi, è tanto horror quanto fantascienza, tanto thriller quanto survivalism. Ovvero, è in grado di scontentare tanti, dai puristi ai nemici del cross-over. Ma, per dirla all’unisono con il finale di “Via con il vento”, di costoro francamente me infischio. Io tento di scrivere delle buone storie e “Malapunta”, secondo l’opinione generale, lo è. Che senso ha sapere a priori a quale territorio narrativo appartiene? Purtroppo questa storia delle “gabbie” ha ancora oggi il suo peso, soprattutto dentro il sistema. Non per nulla ci ho messo sette anni a pubblicare un romanzo, sul quale poi qualcuno potrebbe scherzare sostenendo che assomiglia a “Lost”… La verità è, purtroppo, dentro case editrici anche importanti, c’è gente che ancora si chiude nel guscio del giallo, del nero e via arlecchinando… Tutto questo è accettabile, se ci riferiamo alle collane classiche da edicola della Mondadori, vedi Segretissimo o Il Giallo. Ma altrove, no, è inaccettabile. Peraltro mi rendo conto che gli editor devono correre dietro al gusto corrente. Il marketing deve far vendere e i manager quadrare i conti. Quindi certe domande che ti fanno non sono poi inattese, tipo: “Lei cosa scrive?”. E ti trovi a un bivio, dal quale puoi rispondere: “Io scrivo Arona”, o di là “Horror, tanto per capirci.”… Risposte molto rischiose, entrambe.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Dalla realtà e dalla cronaca. Chi segue il mio lavoro con una certa regolarità, lo sa bene. Soprattutto da quella cronaca inspiegabile che poi tento di spiegare con gli strumenti della narrativa di genere. “Rock”, “Palo Mayombe” e “Cronache di Bassavilla” provengono da questo filone ispirativo.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Se ci riferiamo a italiani viventi, concedimi di non risponderti. Ne conosco troppi personalmente per azzardare degli elenchi. Ovviamente ci sono i grandi classici, inglesi e americani, omaggiati senza problemi in molti miei scritti. Ultimamente tocca all’Henry James di “Giro di vite”. Ancora inarrivabile. Ma, credimi, leggo di tutto. Anche se consapevolmente non intendo rifarmi ad alcuno.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM, CHE CI DICI?

David Lynch, Cronenberg, Carpenter, Malick… i grandi visionari fuori dal coro e dal mercato.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Il prossimo anno compio 62 anni e nel cassetto, che non apro affatto, ci sono solo incubi. Per il resto, parlando di lavoro, devono uscire nei prossimi mesi ancora due o tre romanzi a quattro mani con altri autori che mi hanno proposto degli “ensemble” interessanti. A parte questo, rispondo solo a più alle “chiamate”. Sogni e progetti sono logiche prerogative di autori giovani. Chi ha la mia età amministra l’amministrabile. O si ritira. O magari sfonda alla Camilleri. Però non è detto che mi possa ancora innamorare di un tema, di un argomento o di un personaggio, dietro ai quali rinnovare antiche ossessioni. Mai dire mai.

GRAZIE DI CUORE PER TUTTO… A PRESTO!

Davide Longoni