LA DANZA DEL DIAVOLO E GLI SPETTRI GOTICI DI MATTEO MANFERDINI

Ho recentemente scoperto l’esistenza di un altro scrittore anonimo di Vercelli, un appassionato di horror e gotici. Si chiama Matteo Manferdini e – anche se non lo conosco e nemmeno ho mai visto una sua foto – ho potuto leggere il suo primo romanzo, appena uscito con il self-publishing (acquistabile al momento in cartaceo presso varie librerie, tra cui Mondadori e Amazon).

Si intitola La Danza Del Diavolo – Gli spettri di Torino ed è un volumetto agile, di poco più di 100 pagine.

Manferdini credo arrivi al gotico passando dalla musica metal, dal death o altro, visto che infarcisce il libro con questo tipo di riferimenti musicali.

La trama vede una Torino magica fatta di statue, monumenti risorgimentali e alchimia; sembra di respirare l’atmosfera rarefatta e onirica di certi autori simbolisti del primo ‘900, penso a Machen o Meyrink col suo Golem praghese (ma i rimandi della mente mi portano anche nei labirinti testuali di A. M. Ripellino e quel libro inesauribile che è Praga magica).

Manferdini costruisce il suo gotico (con venature weird) giocando su un’ambientazione contemporanea sempre pronta a scivolare nel passato, a liquefarsi sotto le spinte oniriche delle allucinazioni e dei sogni.

L’idea è buona (INIZIO SPOILER): una setta polanskiana, una città vista come un gigantesco altare-accumulatore delle energie dei morti, delle loro povere ossa polverizzate e miscelate nel cemento, nella pietra (FINE SPOILER).

Il protagonista è un individuo qualunque (uno dei tanti flaneur lovecraftiani) che si aggira tra pub metal e librerie occultistiche, scivolando sempre più oltre quella soglia della veglia su cui ha scritto anche Caillois; la seconda parte del romanzo breve (lo ripeto breve, asciutto, senza i fronzoli della tanta robaccia americana, a partire da quello Stefano Re che non sembra spiacere al nostro Manferdini e che pare aver incontrato, in questi tempi di mediocrità e ignoranza, un favore critico incontrastato…) ha il sapore di un feuilleton naif del XXI secolo, con una trama semplice, pochi personaggi e una prosa scorrevole e controllata, articolata su brevi capitoletti.

Ne esce un’opera prima fresca e interessante, lontana dai guasti psicologici della narratologia odierna, ossessionata dall’editing furibondo dei testi, dall’omologazione creativa di tanta (para)letteratura.

Accosterei Manferdini a uno dei narratori più interessanti di oggi, ossia Bissoli; anche l’autore della Danza del Diavolo sente il bisogno di lavorare su un arcano quotidiano, scrivendo labili tracce fantasmatiche tra le pieghe del banale, di un reale spoglio e convenzionale, sempre pronto a dissolversi sotto i colpi dell’irrazionale e del paradosso.

Alla fine, Manferdini non andrà lontano dagli andirivieni di personalità, multipli e doppi di Topor col suo Inquilino del terzo piano, qui simbolizzato dalla figura alchemica dell’Architetto, che non sarebbe spiaciuta a Marco Vitruvio Pollione e al suo De architectura.

Davide Rosso