IO SONO LEGGENDA

“Io sono leggenda” di Richard Matheson (reperibile sia per le edizioni Longanesi, Mondadori e recentemente per la Fanucci) è la storia di Robert Neville, rimasto da circa un anno solo al mondo, avendo perso in maniera orribile sia la moglie che la figlia. In un mondo inesorabilmente sgretolato sotto i colpi di un’inspiegabile epidemia che trasforma i vivi e i morti, indistintamente, in creature inumane assetate di sangue che vanno a caccia dei superstiti e dei loro stessi cari, Neville cerca altrettanto inspiegabilmente di sopravvivere.

Da solo porta avanti la propria disperata personale guerra contro i vampiri che assediano il suo quartiere, la propria città, il mondo intero. Esseri per molti aspetti del tutto simili a quelli leggendari, resi celebri dal “Dracula” di Bram Stoker, le cui mitiche gesta sanguinose si tramandano di padre in figlio ormai da tempo immemore: temono l’aglio, la propria immagine riflessa e la luce diretta del sole.
Neville protegge la propria casa: ha inchiodato assi di legno alle finestre, disposto collane di aglio lungo tutto il suo perimetro, posizionato qua e là occasionali croci. La sua casa è ora una fortezza praticamente inespugnabile, munita di un proprio generatore elettrico, una scorta di cibo praticamente infinita (stoccata in quella che una volta era la cameretta della sua bambina), una cucina elettrica da lui installata.
Una fortezza che, però, ha bisogno di costante manutenzione. Infatti, al calar del sole, il cortile attorno alla casa si riempie di orrende creature che battono contro i muri, tirano sassi, urlano, imprecano e cercano in vari modi di attirare fuori Neville. Le donne-vampiro si dimenano nude di fronte allo spioncino della porta di Neville, in assurde, oscene danze.
Per sbranarlo. Ovviamente.

Neville è completamente assorbito, giorno dopo giorno, assalto dopo assalto, dai lavori di riparazione della propria casa-prigione. Nei giorni in cui ha meno da lavorare riesce ad andare in perlustrazione con la sua giardinetta. Comunque mai troppo lontano da casa, dato che deve sempre essere di ritorno per l’imbrunire. Senza però mai incontrare sopravvissuti. L’auto, inoltre, deve essere sempre tenuta in perfette condizioni meccaniche, dato che un guasto o una banale foratura potrebbero voler dire per lui la morte…

“Io sono leggenda”, al di là dell’ambientazione fantastico-orrorifica basata sul mito del vampirismo, è una parabola sociale, una novella che parla di politica, di minoranze e maggioranze, di alternarsi di stirpi dominanti, di popoli in declino. Anche della società in cui viviamo. Di più: parla di tutte le società passate, presenti e future. Una parabola che dimostra dal punto di vista letterario come assolutamente tutto sia relativo, al pari di quanto Einstein e i suoi seguaci hanno dimostrato in fisica. In questo caso si parla della Società: da che gli uomini posero la prima pietra di Babilonia, l’avvicendarsi di fazioni diverse al potere fa parte dell’ordine naturale delle cose politiche. Né più, né meno di quanto succede in natura, dove una specie inizialmente minoritaria, dopo milioni di anni di evoluzione e di mutazioni, arriva a soppiantare quella che prima era la specie dominante.
Le spinte politiche che portano alla realizzazione di un determinato regime (dittatoriale o democratico che sia) non sono altro che le onde, ora dotate di maggiore intensità e di maggiore frequenza, che si propagano come allargamento e perpetuazione delle onde (spinte) sociali originarie. In qualsiasi modo ci arrivi, chi, dopo un periodo di inevitabili tumulti e subbugli delle masse, detiene il potere è anche il fondatore della morale dominante e inevitabilmente instaurerà quell’insieme di norme / comportamenti / pregiudizi / clichè sociali – che definirei “condizionamenti sociali” – che (a seconda dei casi) lo porteranno a guardare con sospetto, diffidenza, fino alla possibilità del totale disprezzo i nuovi gruppi sociali, le minoranze organizzate che prima o poi (anche qui la cosa è inevitabile) si formeranno all’interno dell’ambito sociale preso in esame. Minoranze che tenteranno di diventare maggioranze e che a loro volta aspireranno al potere.

Neville è l’ultimo presidio di una società in decomposizione. Di più: di una società già decomposta. Nei cui paesaggi desolati e decadenti il nostro protagonista si trova a vagare, ansimante e frenetico, proprio come “naviga” all’interno dell’organismo umano il batterio responsabile della mutazione che Neville sta cercando di individuare.
I vampiri, da esseri leggendari e mitici quali sono nell’immaginario fantastico collettivo, diventano gradatamente realtà. Diventano presente tangibile. Così come si materializzano nella mente del lettore, sospinto sempre più in avanti dal racconto di Matheson, incalzante e strutturato a gradini discendenti. Di pari passo Neville, l’ultimo uomo sulla Terra, a poco a poco si allontana dissolvendosi nel nulla, scompare all’orizzonte, si fa fumo. Diventa Storia. Diventa il Passato. Diventa LEGGENDA.

Un nuovo ordine è sopraggiunto. Un nuovo mondo, né più ingiusto, né più benigno di quello di prima, si è sostituito per sempre al precedente.
L’evoluzione ha ancora una volta richiesto un ulteriore passo in avanti. Questa volta, però, si tratta del sacrificio della stirpe umana.

Il romanzo è stato scritto nel 1954. In tempi non sospetti, quando sia l’epocale libro “L’invasione degli ultracorpi” di Jack Finley (che molti punti in comune ha con quest’opera di Matheson), sia la rivoluzionaria opera-zombesca-prima di George A. Romero (“La notte dei morti viventi“) era ancora di là da venire.
Palesi sono i richiami all’opera di Matheson nel film targato 1968 del “papà degli zombi”: innanzitutto la casa, allo stesso tempo rifugio rassicurante, simulacro di tutto quanto ci è di più caro e prigione opprimente. Che dopo poco diventa praticamente il centro dell’universo. Barriera di confine fra il MONDO esterno (che è anche il mondo degli “altri”) e quello interno (che è anche il mondo della propria psiche). Mondi separati da una semplice porta che, chiusa per lunghissimi, interminabili periodi a doppia, tripla mandata, può comunque spalancarsi in qualsiasi momento. Ostacolo insormontabile sia per chi vi vuole entrare che per chi ne vuole uscire. A meno che…

La tendenza a usare la casa come teatro delle tragedie psicologiche umane la ritroviamo già in H.P.Lovecraft (vedi ad esempio i racconti: “L’abitatore del buio” e “Colui che sussurrava nelle tenebre”). Scrittore che ebbe la sua massima vivacità attorno al 1920 e che mi ha sempre incantato per la sua rappresentazione di un terrore cosmico che non lascia scampo: l’uomo oppresso da forze ancestrali (e mistiche) che si ostina inutilmente, stupidamente a combattere, ma che non potrà mai debellare, facendo invece semplicemente meglio ad abbandonarvisi. A lasciarsi andare a fondo. Molti orrori e tormenti gli sarebbero infatti risparmiati se decidesse finalmente di abbracciare il culto ancestrale ed eterno del dio Cthulhu… Se abbracciasse anche solo per una volta l’idea che non ce la può fare.

Poi la frenesia e la frustrazione: Matheson crea una situazione in cui il protagonista è obbligato a seguire determinare regole se ha cara la propria pelle, a osservare determinati pattern senza sgarrare di un millimetro: di giorno si esce e si fa qualsiasi cosa; di notte bisogna murarsi in casa. Per fare ciò bisogna sempre tenere ben presente che ora è. Quando per esempio l’orologio da polso di Neville si guasta e lui non se ne rende conto per poco “quelli” non lo fanno a brandelli… La necessità costante di andare alla ricerca di beni primari di sussistenza, nonché di ulteriori, possibili superstiti, unita al dover ogni santo giorno mettere mano agli attrezzi per riparare i danni che quelle belve hanno procurato alla sua casa, pone Neville nella condizione di dover in continuazione scegliere fra “lo stare” (Riparare? Cosa? Come? Quanto? Sarà abbastanza così? Gioverà aggiungere ulteriori difese?) e “l’andare” (Dove? A che pro? Sarà utile? Quanto lontano posso spingermi?) che alla fine della fiera sfocia in una comprensibilissima paranoia.

Infine la xenofobia e l’alienazione: la paura per tutto ciò che è diverso da quello a cui siamo abituati, dal nostro modo di vivere, pensare, concepire la vita, sia nella sua quotidianità, sia dal punto di vista della morale e dei valori. Se esiste il detto: “Se non puoi vincerli, unisciti a loro”, è anche vero che unendosi a “loro” Neville diventerebbe sicuramente qualcun’altro (qualcos’altro?). Questa idea lo sconvolge e Neville rifiuta di “darsi” alle nuove creature, rifiutando in questo modo di accettare quello che esse sono e quello che rappresentano o vogliono. Questo non può che condurlo a un isolamento sempre maggiore che lo porta alle soglie della pazzia (vedi ancora Lovecraft).

“Io sono leggenda” è stato anche trasposto più volte in pellicola, probabilmente perché è l’opera sui vampiri/non morti più originale e densa di significati politico-sociali che esista (ancor più di quanto abbia fatto per la causa “zombesca” nel 1968 “La notte dei morti viventi” di Romero): del romanzo di Matheson infatti sono state girate finora ben tre versioni cinematografiche: la prima, del 1964, “L’ultimo uomo della Terra” di Sidney Salkow/Ubaldo Ragona è sicuramente la più “affidabile” e vicina al romanzo originale e vede nel ruolo del protagonista nientemeno che il grandissimo Vincent Price; la seconda, di Boris Sagal, del 1975, “Occhi Bianchi sul pianeta Terra”, con Charlton Heston, sfoggia vampiri di colore dai capelli cotonati con tanto di zeppe e pantaloni a zampa d’elefante; infine, l’ultimo in ordine di tempo è “Io sono leggenda” di Francis Lawrence (2007), con Will Smith, che però travisa gran parte del messaggio di Matheson, finendo per ridurre il tutto a un action- movie infarcito di effetti speciali.
Per ulteriori rappresentazioni della casa come fulcro del male, che offre, però, anche rifugio da esso, vi segnaliamo infine di vedere pure: “La casa” di Sam Raimi (1979).

Intanto… buona lettura!

Giuseppe Conti