IN MEMORIA DI GIULIANO CARNIMEO – PARTE 01

Giuliano Carnimeo (Bari, 4 luglio 1932 – Roma, 10 settembre 2016), è autore completo e regista eclettico, in trent’anni di carriera frequenta quasi tutti i generi, dal thriller alla commedia sexy, passando per postatomico, barzelletta e lacrima movie. Nasce a Bari nel 1932, si sposta con la famiglia prima a Bologna, poi a Venezia e infine a Roma, dove vive dal 1939. Laureato in giurisprudenza e procuratore legale, ma come Steno non esercita mai la professione, in compenso si interessa di teatro, cinema, riviste, entra al Centro Sperimentale di Cinematografia e si diploma registra. Tra il 1960 e il 1967 fa molta gavetta e si forma professionalmente alla scuola di Giorgio Simonelli, come assistente regista di Robin Hood e i pirati (1961), I due mafiosi (1963), Due mafiosi nel Far West (1964), Due mafiosi contro Al Capone (1966), Due mafiosi contro Goldginger (1965), I due sanculotti (1966), I due figli di Ringo (1967, collabora pure alla regia) e I barbieri di Sicilia (1967). A parte il primo, insolita variazione sul tema di Robin Hood, le altre sono parodie interpretate da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che godono di grande popolarità. Carnimeo si trova bene con la coppia comica siciliana, si diverte e sopporta i piccoli screzi che non sono così tremendi come fa credere la stampa scandalistica. Franco e Ciccio recitano con attori di avanspettacolo, gente come Enzo Andronico e Lino Banfi, ancora capellone e con il nome di Pasquale Zagaria. Simonelli è un buon tecnico che viene dal montaggio, un regista essenziale poco stimato dalla critica che non spreca pellicola, fa gli storybordes e ha in testa il film mentre lo gira. Fa soltanto i ciak che servono e riesce a dirigere anche quattro film all’anno, perfetto per i Franco & Ciccio movies che vengono prodotti a un ritmo industriale. Carnimeo porta a termine I due figli di Ringo, perché Simonelli si ammala e muore durante le riprese. Impara molto da Simonelli, perché non ama scrivere sceneggiature, preferisce visualizzare le storie ed è un regista essenziale. Altri maestri di Carnimeo sono Camillo Mastrocinque (Vacanze d’inverno, 1959, collabora pure alla regia), Carlo Campogalliani (Fontana di Trevi, 1960 e Ursus, 1960, che eccezionalmente sceneggia) e Fabrizio Taglioni (Un branco di vigliacchi). Ricordiamo il regista barese come aiuto di Grieco, Giannini, Ciorciolini e Roberto Bianchi Montero, ma anche assistente di Steno in Totò, Eva e il pennello proibito (1959) con Abbe Lane.

L’esordio alla regia di Giuliano Carnimeo è datato 1962 nella co-produzione italo-statunitense Panic Button operazione fisco, una commedia realizzata da George Sherman e seguita per la versione italiana dal regista barese. Il genere dove Carnimeo ha maggior successo è il western, all’interno del quale gira un numero incredibile di pellicole dal 1967 al 1974, firmate con lo pseudonimo di Anthony Ascott. Ricordiamo i suoi film soprattutto per i titoli stravaganti che caratterizzano lavori originali a metà strada tra western serio e commedia farsesca. Il suo attore feticcio è Gianni Garko, memorabile Sartana, idolo dei ragazzini anni Settanta, che contribuisce al grande successo commerciale delle pellicole. Passiamo in rapida rassegna la parte western perché questo lavoro approfondisce soltanto il Carnimeo regista di commedie sexy. Il primo western è Il momento di uccidere (1967), seguito da Joe! Cercati un posto per morire (1968 – con Hugo Fregonese), Sono Sartana il vostro becchino (1969), C’è Sartana vendi la pistola e comprati la bara (1970), Una nuvola di polvere, un grido di morte, arriva Sartana! (1971), Buon funerale amigos, paga Sartana (1971), Testa t’ammazzo, croce sei morto, mi chiamano Alleluja (1971), Gli fumavano le Colt, lo chiamavano Camposanto (1971), Uomo avvisato mezzo ammazzato, parola di Spirito Santo (1972), Il West ti va stretto amico, è arrivato Alleluja (1972), Fuori uno sotto l’altro, arriva il Passatore (1973), Lo chiamavano Tresette, giocava sempre col morto (1973) e Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno (1974).

Il momento di uccidere rappresenta la prima regia esclusiva di Carnimeo ed è uno spaghetti-western originale, un giallo atipico ambientato tra canyon e praterie che affida il colpo di scena alla scoperta del cattivo solo nel finale. La pellicola segna l’inizio della collaborazione tra Carnimeo e l’attore uruguayano George Hilton, cognato del produttore Luciano Martino, che lavora molto nel cinema di genere italiano. Il regista firma tutti i suoi western come Anthony Ascott per meri motivi alimentari, visto che con un cognome anglofono si vendono meglio all’estero. Sartana nasce da un’idea di Gianfranco Parolini (si firma Frank Kramer) nel film …se incontri Sartana prega per la tua morte (1968) e ha le fattezze di Gianni (John) Garko, anche se c’era già stato un Sartana interpretato da Garko nel film 1000 dollari sul nero (1967) di Alberto Cardone (Albert Cardiff), ma era un personaggio completamente diverso. L’eroe creato da Parolini è una via di mezzo tra 007 e Mandrake, un eroe nero, una sorta di becchino con poteri soprannaturali. Piace molto ai giovani del tempo e ottiene un successo inaspettato che produce un’infinità di sequel apocrifi e di sfacciate imitazioni. Giuliano Carnimeo chiama Garko a interpretare Sono Sartana, il vostro becchino (1969) insieme a Klaus Kinski, e con la collaborazione di Tito Carpi ed Enzo Dell’Aquila elimina al personaggio i tratti spettrali e surreali tipici del primo eroe ideato da Parolini. Gianni Garko non si limita a prestare il volto, ma collabora alle sceneggiature e aggiunge elementi importanti che caratterizzano il personaggio. Per gli interni le pellicole western di Carnimeo sono tutte girate a Roma, tra Cinecittà, la Elios e la De Laurentiis. Per gli esterni vengono utilizzate le location di Manziana, e alcune località della Spagna come Almeria e gli altopiani deserti e bruciati dal sole attorno a Madrid. Sartana nasce con Garko, ma in alcuni film viene interpretato da George Hilton che fornisce al personaggio una caratterizzazione più comica. I ragazzini amano entrambi i Sartana e si entusiasmano sia per le sparatorie cruente che per i momenti di comicità. Ricordo che il mio cinema di seconda visione passava spesso il doppio spettacolo, soprattutto nel fine settimana. Se il programma prevedeva un western della serie Sartana, genuino o apocrifo che fosse, era successo assicurato con lunghe code al botteghino. Carnimeo aggiunge un tocco di colore con titoli assurdi e inserisce nel cast attori come Klaus Kinski e Susan Scott, compagna del regista Luciano Ercoli. Alleluya è un altro personaggio western che segue il successo di Sartana, ma è decisamente più comico e parodistico, quindi più adatto alla interpretazione scanzonata di George Hilton. Camposanto e Spirito Santo sono altri due eroi western interpretati da Gianni Garko, molto simili a Sartana, ma più comici, anche per merito di soggetti più leggeri scritti da Enzo Barboni, Tito Carpi e Federico De Urrutia. Lo Spirito Santo di Garko e Carnimeo non ha niente a che vedere con la serie ufficiale diretta da Roberto Mauri con protagonista Vassili Karis, ma è un eroe scanzonato stile Trinità. Un tocco di sensualità alla pellicola viene fornita dalla bella Pilar Velásquez  nei panni di una rivoluzionaria messicana. Fuori uno, sotto l’altro… arriva il Passatore (1973) è un film minore di Giuliano Carnimeo che gira la storia del Passatore in stile spaghetti western. Carnimeo è al massimo del successo per aver inventato personaggi come Sartana, Alleluja e aver dato un nuovo volto a Spirito Santo, pistoleri all’italiana popolari tra i giovani. George Hilton è Stefano Pelloni detto “il Passatore” e accanto a lui recita Edwige Fenech. Giuliano Carnimeo, intervistato da Matteo Norcini e Stefano Ippoliti per Cine 70 (anno 3 – numero 5), ricorda: “Si tratta di un personaggio western, non è altro che il bandito Alleluja che diventa il Passatore. I personaggi western, chi più chi meno, sono dei banditi, sia che stiano dalla parte dei buoni che da quella dei cattivi, tanto che nel Passatore c’è un risvolto finale western. È curioso anche per certe situazioni, come, ad esempio, quando incontra il poeta Pascoli, da ragazzo. Il film venne girato tutto in Romagna, nel forlivese”. Nella pellicola recita pure Umberto D’Orsi, ottimo attore e caratterista, nella parte del cardinale. Un film di scarso successo, una via di mezzo tra Sartana e Zorro che ricostruisce con molta fantasia le gesta del bandito romagnolo. Il pistolero Tresette è ancora George Hilton che conferisce una connotazione comica al personaggio in due pellicole farsesche scritte da Tito Carpi. Lo chiamavano Tresette, giocava sempre col morto (1973) e Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno (1974) segnano la fine del western all’italiana, proprio perché il genere ironizza su se stesso. Nel primo film Rosalba Neri viene imbruttita e trasformata in una baffuta zitella sicula, mentre il secondo pare quasi un cartoon da quanto si spinge sull’acceleratore della farsa.

Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? (1972) è un thriller erotico firmato ancora Anthony Ascott che tenta di bissare il successo de Lo strano vizio della signora Wardh (1970). Ci sono Edwige Fenech, Paola Quattrini, George Hilton, Giampiero Albertini, Annabella Incontrera, Oreste Lionello, Franco Agostini, George Rigaud e Luciano Pigozzi. L’accoppiata Fenech – Hilton diventa un marchio di garanzia per il thriller erotico che condiziona il gusto dei primi anni Settanta per sfociare anche nel fumetto e nel fotoromanzo. Mereghetti scrive sul celebre Dizionario che il film è mal confezionato, manca di suspense e la sceneggiatura di Ernesto Gastaldi è raffazzonata. Marco Giusti non è da meno e lo definisce un thrillerone alla Dario Argento, pure se la parte thriller non è granché. Giusti ricorda solo la Fenech e la Quattrini che posano per un fotografo (Oreste Lionello) con il corpo dipinto e il fidanzato guru di Jennifer (Alberto De Mendoza) che danza con lei prima di una riunione psichedelica. Le due sequenze rendono bene il clima di quei tempi, ma non condivido la stroncatura del film, perché ho trovato tensione e la suspense, un assassino scoperto solo dopo aver penato molto per il destino dei protagonisti. La storia vede la Fenech nei panni della fotomodella Jennifer che si trasferisce con l’amica Paola Quattrini in un condominio dove muoiono diverse belle ragazze. I sospetti si appuntano sulla vicina lesbica, su di un ragazzo sfigurato che vive di fronte, sulla madre del ragazzo che legge fumetti neri e riviste orrorifiche, sull’ex marito della Fenech che è un tipo violento e su altri personaggi. Il film è ambientato a Genova ed è un miscuglio di sesso e thriller secondo la moda del tempo, sia nel cinema che nei fotoromanzi neri. Le scene di sangue sono crude e realistiche: si parte alla grande con un killer che colpisce con le mani coperte da guanti marroni e per mezzo di una lama affilata. Secondo alcuni la scena del primo omicidio nell’ascensore avrebbe ispirato Brian De Palma per Vestito per uccidere (1980). Oreste Lionello è bravo nella parte da fotografo gay-alternativo, ma pure Paola Quattrini si concede alla macchina da presa in pose sensuali e recita una buona parte da svampita. Davvero pessimo Giampiero Albertini, commissario di polizia collezionista di francobolli che ricorda il Ginko dei  fumetti di Diabolik. Hilton e la Fenech sono perfetti nei rispettivi ruoli e la scena del lungo rapporto sessuale vale la visione dell’intero film. Non è vero, come dice Mereghetti, che per gli amanti della bella franco-algerina bastano i primi venti minuti di visione perché dopo non si spoglia più. Forse non ha visto tutto il film perché scene di erotismo ce ne sono molte. Ricordiamo una bella mulatta che sembra una pantera e si esibisce in un club privato in un numero sensuale, una specie di prova di forza con uno spettatore della durata di tre minuti. La mulatta è l’attrice Carla Brait e muore nella scena successiva affogata nella vasca da bagno. Oreste Lionello fotografa la Fenech nelle pose più sexy che si possono immaginare e il regista è bravo a inquadrare i momenti topici. Una parte onirica ci porta al vecchio matrimonio di Jennifer che ricorda quando il folle marito la faceva andare a letto con i componenti di una setta. L’iris bianco era il simbolo del gruppo e lei doveva ridursi a una cosa ed essere disponibile secondo le loro voglie. Pure qui la parte erotica non delude. Hilton è un pubblicitario che cerca una modella, si innamora della Fenech e frequenta la casa delle ragazze. Molto azzeccata la sequenza dello scherzo di Paola Quattrini che si finge affogata nella vasca per impressionare i due amici. Appena la Fenech e Hilton irrompono nel bagno lei emerge dall’acqua nuda e insaponata. Niente male. Hilton non sopporta la vista del sangue e alla fine si capisce il motivo: aveva visto morire il padre in un incidente e il sangue del genitore gli era colato sul volto. A un certo punto Hilton pare essere il killer e Albertini lo bracca, ma la sorpresa arriva alla fine. L’assassino irrompe in casa della Fenech, le stringe il collo e tenta di ucciderla, ma lei sveglia l’amica e se ne libera. Annabella Incontrera è una morbosa amica lesbica che vive nell’appartamento accanto e pure lei è nel giro dei sospettati. Il padre (Georges Rigaud) è un professore di violino e alla fine si scopre che è lui a uccidere le donne perché la figlia è lesbica. Nel film notiamo grande sfoggio di succinte minigonne multicolori, di gran moda nel 1972, sia la Quattrini che la Fenech mostrano le gambe nude in ogni scena. Da citare anche la sequenza violenta con l’ex marito della Fenech che la possiede dopo averle strappato di dosso il vestito. “Sei solo un corpo e devi essere sempre disponibile”, dice. Di nuovo uno strip della Fenech con un tentativo di omicidio da parte del killer ma lei si libera ancora e fugge in un appartamento vicino. Muoiono anche la Quattrini accoltellata (bella la soggettiva dell’assassino) e l’ex marito della Fenech. Muore il figlio della vecchia vicina, un individuo deforme. Hilton e la Fenech si abbandonano alla memorabile sequenza erotica che comprende un bacio intimo solo intuito. Hilton fugge via perché è sospettato e Albertini cita i Canti di Ossian: “Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?”, spiegando il senso del titolo. Il finale è ricco di tensione e di belle scene da thriller puro. La Fenech ha occhi neri stupendi e profondi, marcati da sopracciglia finissime, Carnimeo li inquadra con primissimi piani che servono a trasmettere il senso del terrore. La Incontrera muore uccisa per errore dal killer e tutto si risolve tra la cantina e l’appartamento della Fenech. Hilton uccide il perfido professore di violino scaraventandolo giù dalla balaustra. Nel finale viene in mente Marc Porel in Non si sevizia un Paperino (1972) di Lucio Fulci, lui cadeva da una montagna, invece Rigaud precipita nella tromba delle scale. “Avete corrotto la mia bambina”, dice alla Fenech. Uccideva perché non poteva accettare l’omosessualità della figlia. Perché quelle strane gocce sul corpo di Jennifer? anticipa elementi erotici che saranno presenti nella commedia sexy, pure se siamo in un contesto di cinema thriller. Edwige Fenech è l’icona del sottogenere, così come sarà una delle attrici fondamentali del comico – erotico.

Un altro film girato da Carnimeo con Edwige Fenech è Anna, quel particolare piacere (1973). Interpreti principali: Edwige Fenech, Corrado Pani (il perfido Guido) e Richard Conte (il dottore buono), John Richardson, Laura Bonaparte ed Ettore Manni. Il soggetto è di Sauro Scavolini e Luciano Martino (che realizza un film prodotto da Carlo Ponti), la fotografia è di Marcello Masciocchi, la sceneggiatura di Ernesto Gastaldi, Francesco Milizia e Sauro Scavolini, le musiche intense e lacrimevoli sono di Luciano Michelini. Citiamo nella colonna sonora anche Pazza idea di Patty Pravo e un breve intermezzo con la sigla della popolare trasmissione Carosello. Una nota a sé per un eccesso di pubblicità indiretta a base di immancabile J&B, Baci Perugina, Punt e Mes, la rivista Oggi e chi più ne ha più ne metta. Al tempo non ci si faceva caso, ma oggi infastidisce parecchio. Su Anna, quel particolare piacere è difficile reperire notizie, tanto che l’unico dizionario che cita la pellicola è quello di Pino Farinotti. Non è facile trovare la VHS se non si ricorre al sottobosco dei collezionisti, ma vale la pena di vederla perché è un buon film nel quale Edwige Fenech recita davvero. La bella attrice franco-algerina è Anna, cassiera di un bar di Bergamo che si innamora di Guido (Corrado Pani), un pericoloso boss mafioso. Il primo tempo è costruito come un poliziottesco, vediamo una cruenta estrazione di pallottola dal corpo di un uomo e diverse sparatorie condite da inseguimenti. La valenza erotica prende subito il sopravvento sulla trama gialla e il regista descrive il torbido rapporto che lega Guido ad Anna. La ragazza si innamora perdutamente e cade nella rete del criminale che poco a poco si mostra nella vera natura. Nella prima parte segnaliamo una bella fotografia di Bergamo Alta e numerosi primi piani ben riusciti, su tutti una stupenda inquadratura degli occhi della Fenech. Il rapporto tra Guido e Anna prende una cattiva piega, con lui che la rimprovera a suon di schiaffoni per un’inopportuna scenata di gelosia. I rapporti sessuali si fanno sempre più violenti e si intuisce che Anna gode nel provare dolore. Il legame che lega la ragazza a Guido è di tipo sadomasochista (“quel particolare piacere” cui fa riferimento il titolo), ma il regista non insiste più di tanto e si limita a mostrare scene erotiche senza dare giudizi. Guido colpisce Anna, le stringe i capelli e li tira verso di sé, la prende strappando slip e reggiseno, fa l’amore senza nessuna dolcezza, se escludiamo la prima volta durante la quale pare un amante perfetto. Il film presenta un’alta carica erotica, la Fenech si spoglia con generosità, si esibisce in una rapida doccia e mostra il seno rigoglioso dei suoi venticinque anni. Non fa soltanto questo, però. La Fenech recita una parte di donna innamorata di un delinquente caratterizzando bene il personaggio e rendendolo credibile. La sua mimica è espressiva, l’intensità dello sguardo colpisce, la presenza scenica è sempre all’altezza. Carnimeo la fa spogliare e recitare. Anna finisce nel giro del boss mafioso Riccardo Sogliani, si trova come porta valori in Svizzera, assiste a un delitto e infine viene impiegata come accompagnatrice nel night del mafioso. Guido la convince alla sua maniera, ormai è il suo dominatore assoluto, il magnaccia, più che l’amante. A questo punto citiamo una notevole parte erotica con protagonista Corrado Pani che afferra con violenza la Fenech per i capelli e fa l’amore con lei scoprendo il seno e carezzando le cosce. Il legame sadomasochista tra Guido e Anna arriva al punto che la ragazza viene obbligata a far l’amore con le persone che il boss indica. Anna scende nel precipizio della depravazione ogni giorno di più e distrugge la sua volontà annientandosi in quella di Guido. Citiamo una sequenza di strip molto erotica. Edwige Fenech indossa un vestito giallo che scopre i ginocchi, si reca da un cliente che le consegna un assegno per la prestazione e poi la osserva mentre si spoglia seduta sul letto. Lo strip è molto sensuale con la Fenech che sfila le calze lentamente, una dopo l’altra, poi slaccia il reggiseno, gli slip e resta completamente nuda davanti all’uomo che la osserva. Il rapporto sessuale si intuisce soltanto, ma lo spettatore ha già visto molto e il livello di erotismo malsano ha raggiunto livelli di guardia per la censura del tempo. La situazione di Anna diventa problematica quando si accorge di essere incinta, mette da parte dei soldi per sé e per quel bambino che vorrebbe tenere. Guido la riempie di botte e la convince con la forza ad abortire, ma la fortuna della ragazza è che la polizia arresta Guido che viene condannato a sei anni di galera. Da notare che il regista filma pure la visita ginecologica con la Fenech a gambe larghe distesa sul letto. Si vede poco o niente, ma per il periodo storico è una scena a rischio taglio in sede di censura. L’arresto di Guido chiude un primo tempo da romanzone melodrammatico a tinte nere, una specie di dramma erotico ambientato nel mondo della malavita. La seconda parte invece è di ben altro tenore e scade di qualità perché prende la piega di un lacrima movie stile L’ultima neve di primavera (1973). Anna è andata a vivere a Roma e grazie a un’amica ha trovato lavoro come commessa in una libreria, suo figlio ha sei anni e le chiede spesso del padre che non conosce. Entra in scena il bravo Richard Conte, il medico che salva il figlio di Anna da morte sicura eseguendo d’urgenza una tracheotomia. Anna esce con il medico, si innamora di lui e pensa di poter fare una vita normale, pure il medico è pazzo di lei e vuol bene al bambino che considera un figlio. Questa parte della pellicola è datata e ricorda i romanzi d’appendice con protagoniste donne di strada che sposano principi. Sequenze come quella del dottore che regala una scimmietta al bambino e lui che domanda: “Sei tu il mio papà?” sono da dimenticare. E poi la notte di tempesta durante la quale la Fenech e Conte si scambiano il primo bacio e fanno l’amore è un altro tocco di melodramma notevole. Tutte scene troppo romantiche che stonano con la crudezza della prima parte. Ma sul più bello torna in scena Guido che obbliga Anna a liberarsi del bambino e del dottore per tornare a fare la prostituta al soldo della mafia. Va segnalato un nuovo rapporto sessuale Pani-Fenech per i forti contenuti di sadomasochismo cui abbiamo accennato. Anna lascia il bambino alle suore e scrive al medico di non pensarla più, deve salvare la vita del figlio e se non fa quello che vuole Guido il primo a essere ucciso sarà proprio lui. Alla fine Anna trova la forza per ribellarsi e scarica su Guido diversi colpi di pistola, ma lui non muore subito, ce la fa ad alzarsi, la segue in ascensore e le spara in fondo alle scale. Anna viene raggiunta da tre colpi di pistola alla schiena che la bloccano a una vetrata e fotografano una smorfia di dolore. Il finale è strappalacrime. Anna muore dopo l’operazione e Richard Conte, accorso al capezzale, riceve la notizia mentre porta il bambino su una giostra del Luna Park per farlo distrarre. Un lacrima movie che nel finale ricorda punto per punto L’ultima neve di primavera, solo che nella pellicola di Raimondo Del Balzo a morire era il bambino che il padre teneva in braccio sopra un ottovolante. Carnimeo rende bene il contrasto tra il grande dolore del medico e la gioia spensierata del Luna Park, il bambino non sa niente e abbraccia un uomo in lacrime che per lui è suo padre. Anna non c’è più e a ricordarla resta un bambino che il medico giura di allevare come un figlio. Il regista ricorda questo film come “un fumettone fatto con una certa dignità che aveva un titolo ambiguo solo per lasciare immaginare chissà quali cose strane”. Carnimeo è il primo regista che fa recitare davvero Edwige Fenech e che non si limita a metterne in mostra solo le qualità fisiche. Nel film troviamo anche un attore hollywoodiano come Richard Conte, interprete professionale, spontaneo e mai artefatto. Vice su Il Messaggero del 7 dicembre 1973 ricorda così la pellicola: “Dopo un primo tempo cadenzato sul ritmo di un poliziesco, il film assume via via toni sempre più melodrammatici con dialoghi lacrimevoli e ispirati chiaramente ai romanzi d’appendice, anche se rivisti in chiave ironica. La regia è di Giuliano Carnimeo, formalmente valida ma condizionata dalla fragilità della sceneggiatura”.

(1 – continua)

Gordiano Lupi