ZONE DEL CREPUSCOLO TRA SCLAVI E (JENNIFER) LYNCH

Film di Sclavi esce nel 1974 per conto di una piccola casa editrice, il Formichiere.

Nel 1992, contemporaneamente all’uscita del film Nero., Film viene ristampato, senza cambiamenti (al contrario di Apocalisse, testo rimaneggiato rispetto al volume Rusconi intitolato Guerre terrestri) in coda al volume della Camunia.

Osservandolo dall’alto, il romanzo, breve, si presenta come una serie di micro – sequenze visive impostate intorno a una quotidianità piatta e banale, quasi trascurabile.

L’atmosfera è quella di una zona del crepuscolo in sedicesimo (per rimanere a un luogo comune spesso rintracciabile nello Sclavi fumettista), dove lo spazio è ambiguo (difficile tracciare una geografia accurata del paese in cui si svolgono le deambulazioni) e il tempo sembra aver perso la sua implacabilità.

Kafka, Buzzati e Beckett sono i numi tutelari di questo esordiente brillante.

Entriamo nel testo.

Film è composto da tre parti.

Ogni parte è sotto – divisa in capitoli lunghi una, massimo due pagine. Anche l’impostazione dei margini, l’uso sapiente dei bianchi ampi, sono parti importanti nella formazione del testo e nella sua scorrevolezza.

La prima parte è composta da 33 capitoli.

La seconda da 22.

La terza da 3 soli capitoletti fulminanti.

Le situazioni principali, i personaggi che si affacciano sulla scena sono: Samuele, un ragazzo che dialoga in una casa piena di libri con una giovane, Eloisa, dalla bianca veste virginale e la gola tranciata; Maria Scandurra, zitella, che vive col padre malato di mente a cui hanno appena rubato nelle cantine tutte le bottiglie di vino; Angelo e sua madre, la signora Deprati, impegnati in una serie di acquisti in giro per il paese; Philly, uno strano bambino che attraversa il romanzo senza entrare direttamente a contatto con gli altri personaggi/comparse (di tutti, Philly, è l’unico che sembra essere consapevole di vivere in una specie di universo chiuso, in una soffocante sfera di cristallo – immagine – metafora che il film di Soavi saprà regalare alla splendente trasposizione di un altro romanzo sclaviano, Dellamorte Dellamore); alcuni giornalisti di provincia impegnati a riempire l’edizione con notizie minime e di pochissimo interesse; un prete, Don Bonfoco, intento a immolare bambini nudi durante la funzione religiosa.

Via via che si procede nella lettura, un surrealismo di fondo si mescola con lo stile oggettivo (da nouveau roman) e anti – psicologico di Sclavi, stravolgendo la chiarezza della trama; trama e intreccio dopotutto inesistenti, visto che, su tali assunti, l’autore si limita a far ripetere ai suoi personaggi (nel corso delle tre parti del romanzo) le medesime azioni, in una coazione illimitata (ad esempio, se un personaggio muore nel corso di un capitolo, può sempre ritornare, come se nulla fosse, in una parte successiva del romanzo).

Questa tecnica amplifica la condizione perturbante del libro senza che accada mai (veramente) nulla di horror o noir.

Lentamente la quotidianità, da prigione, diviene protettiva: Samuele tra i suoi libri, i giornalisti nella redazione impegnati in dialoghi inutili, Don Bonfoco con le sue funzioni religiose, le signore e le zitelle nel vortice di spese e rammendi domestici, eccetera.

L’universo del crepuscolo creato da Sclavi in questa sua opera prima è somigliante alla Twin Peaks di Lynch, anche quello microcosmo potenzialmente infinito, in realtà finitissimo, dove, su un palcoscenico ambiguo privo dei normali riferimenti spazio temporali, vanno in scena multipli movimenti, tic, ossessioni, rimpianti, appena fraseggiati, come in un pezzo hard bop (s)composto solo di inizi fulminanti, senza sviluppo, prosecuzione.

Twin Peaks, come Film, è un tableaux metafisico di una civiltà condominiale fuori dal tempo (in Lynch i protettivi anni ’50, anni di innocenze perdute americane, prima delle lost highway dei Sessanta; in Sclavi è la provincia pavese, la grande pianura degli immobili destini), un hinterland fantascientifico e surreale, dove piccole vite strozzate dall’assurdità dell’esistenza mettono in scena orge nei boschi, gang bang minorili e un certo senso del sacro (chi è Bob se non l’angelo custode di Laura, venuto per punirla dopo i suoi primi turbamenti sessuali?).

In questo senso è molto interessante accostare il romanzo scritto da Jennifer Lynch (figlia del regista e oggi interessante regista di film stranianti) con quello di Sclavi.

Nella lettura de Il diario segreto di Laura Palmer, si coglie ancora meglio la costruzione a mosaico del testo, basato su una serie di quadri sospesi in cui il perturbante si insinua lentamente, contaminando il mondo adolescenziale della protagonista e arrivando (intuizione letteraria di grande efficacia) a dialogare direttamente sulle pagine del romanzo.

Se in Film è il personaggio di Philly l’unico ad accorgersi dell’assurdo universo in cui vive, qui è la giovane Laura, studentessa modello che, progressivamente, si lascia tentare dalla strada perduta del sesso. Il moralismo di fondo di Lynch (padre) è mitigato dalla sapienza inquieta di Jennifer, capace di toccare i vertici della sua prosa proprio nelle scene di confronto tra Laura e l’inquietante ombra di Bob, divinità verticale che giudica e disprezza le debolezze della carne a cui i giovani di Twin Peaks sembrano non potersi sottrarre. L’irrisolutezza del romanzo, così come quella di Film, la polifonicità (indiretta), la costruzione per scene fragilissime, o piccole date su un calendario, portano  i due testi a camminare su binari paralleli e curiosi.

Due grandi (e potenziali) affreschi del perturbante senza bisogno di concludere, di arrivare a un punto fisso, certo, determinato.

Il nulla, nelle pagine finali della Lynch e di Sclavi, deflagra soffice nella psicosi, senza generare un climax progressivo o uno scioglimento, rivelazione.

Semplicemente, i personaggi/comparsa si dissolvono decompongono nel corso delle scene, pronti a ritornare in un prossimo capitoletto.

Brigida Bolisi, una delle figure presenti nell’universo narrativo del libro dell’autore pavese, a un certo punto dice che la vita non è un film; no, nel caso di Film è un romanzo, tra i più nuovi in una stagione afosa come quella dei ’70.

I protagonisti di Film e del Diario segreto non vanno cercati tra i personaggi, bensì nei luoghi (atmosfera), tra i supercondomini, i bar di periferia, le villette da stragi familiari e i boschi in Ektachrome.

Davide Rosso