DETOURS, LOST HIGHWAYS & DISSOLVENZE IN NERO

Personalmente, sono incline a spararle grosse.

E’ la comodità nell’essere un nessuno.

Io ho sempre visto poco noir in Hammett e Chandler.

Troppi dialoghi, battutine, stile asciutto. Pochissima atmosfera. Troppa Azione. Il noir non è azione, è atmosfera stagnante e sudaticcia.  L’hard boiled non è noir. L’esistenzialismo non è noir. E così l’espressionismo tedesco. Sono state delle fonti, d’accordo, dei punti di snodo, d’accordo. Dei padri classici americani direi piuttosto un James Cain, o ancor meglio Jim Thompson coi suoi romanzi sgangherati e folli, sperimentali, infarciti di killer nani in attesa nelle casette delle capre, o di fuorilegge in trincea nei paesi degli antropofagi di Deodato. E che dire dell’esistenzialismo acido di un Horace McCoy? O, nel recente passato, l’Edward Bunker – immenso Eddy – per eccesso di sfiducia in ogni forma di autorità e società umana.

In questi autori pare di starsi a leggere Marx nei campi petroliferi o nel retro di un Outlet.

WoW!

Dico questo per dire che, nell’inseguire il noir, nel cercare di acciuffarne l’essenza, forse ha poco senso cercarlo nelle pieghe del passato.

Il noir cambia così come cambia il mondo e lo fa velocemente.

Il noir è un genere (vero e proprio, riconosciuto intendo) recentissimo (formatosi nel capitalismo industriale) e ha raggiunto la maturità in quello finanziario, globalizzato.

Adesso il mondo è una squisita latrina di immonde ingiustizie consumate nella più totale indifferenza di noi altri, insomma l’universo perfetto per il noir.

Lasciamo perdere le etichette.

Post, neo, eccetera.

Il noir è noir e basta.

Voglio dirvi, anche smentendo quel che ho scritto altrove, che magari Sofocle è pure noir, ciò nonostante che senso ha parlarne? Quando oggi, in pieno 2014 d.C., famiglie intere di lavoratori e bambini muoiono nei poli industriali o nelle acciaierie del bel paese. Credete davvero che i casi dell’amianto siano solo cornici di un lontano passato, ormai buone per le fiction scarica coscienza di mamma Rai?

Ora però mi interessa mettere a confronto due testi che, per me (assieme a Detour di Ulmer e Dementia di Parker), sono noir al 1000% e che, a un decennio di distanza l’uno dall’altro, trovo si passino la palla a meraviglia.

Non la farò molto lunga, anche perché le premesse e le conclusioni di questo articolo, come sempre scritte a caldo e a caso, senza piani o progetti, mi sono sfuggite di mano e dicono già tutto.

Volevo tornare con una scusa a Strade perdute e suggerirvi di rivederlo (o rileggerne la sceneggiatura) assieme a Nero di Sclavi (o al bellissimo film che ne ha tratto Giancarlo Soldi con Sergio Castellitto, Chiara Caselli e uno strepitoso Luis Molteni).

Entrambi i film mettono a fuoco moltissime delle caratteristiche a cui io mi riferisco per delimitare il noir.

Strade perdute parla di uno smarrimento, una fuga psicogena che sborda nella mutazione, nella metamorfosi. Un uomo ammazza la moglie, poi rinnega il delitto, ne cancella il ricordo (memento) e cerca di ricostruirsi un’altra verità, un’altra identità, un’altra vita. La sua esistenza diviene una perenne fuga sulla mezzeria stradale. Una fuga blues, rock, metal.

In Nero di Sclavi abbiamo, probabilmente (visto che una ricostruzione oggettiva della trama, in entrambi i casi, è impossibile) un uomo che si suicida dopo che la fidanzata tossicomane lo ha scaricato e distrutto psicologicamente. Negli attimi prima di morire, l’uomo, anziché rivedere la propria vita, ne immagina un’altra, circolare e potenzialmente infinita. E’ l’incipit di un viaggio notturno che riprende e aggiorna la lezione di Blood Simple dei Cohen.

Milano, le sue strade periferiche, le sue campagne padane, sono lo sfondo perfetto per una storia di emarginazione e isolamento metropolitano. E se in Lynch dominano le strade notturne, i motel o il deserto, in Sclavi/Soldi (il regista del film merita ampiamente di essere considerato intimamente co-autore dell’opera, anche letteraria, in quanto è a lui che dobbiamo il fatto che sia stata finita e completata da uno Sclavi ormai lontanissimo dalla letteratura) è lo skyline della city lombarda a pervadere ogni fotogramma/pagina. Milano diviene una sur-città metafisica, un’estensione dei demoni interiori di Zardo/Castellitto.

Entrambi i testi dunque presentano una lunga fuga notturna originata da un trauma rimosso che ha a che fare con l’altro sesso, ossia una dark girl sfuggente e misteriosa, una lamia che fa impazzire, deragliare. In entrambe le storie il protagonista prima interiorizza le proprie sofferenze, infine si smarrisce, perde la propria identità e combatte contro demoni interiori capaci di assumere qualunque forma, persino la più innocente o quotidiana (la vecchina sulle scale, due poliziotti kantoriani, un ometto basso, ridicolo coi capelli tinti di nero e telecamera, eccetera).

In entrambi c’è un uso spiazzante delle musiche, delle canzonette popolari a sottolineare certi momenti.

Inoltre, a parte i due eroi, Fred e Zardo, si noti come i restanti caratteri siano descritti e presentati con pochissimi tratti, quasi dei manichini su un palcoscenico disarticolato e visivo.

Questo aspetto (visivo) dei due testi appare con maggior intensità nello scorrerli su carta: Sclavi adotta uno stile limpidissimo, quasi delle pagine cristallizzate in una prosa essenziale e perfetta che ricalca i modi di una sceneggiatura ed è così riuscita da staccare di misura qualunque imbrattacarte (italiano) di oggi abituato a confezionare libri in serie mai sotto le 400 pagine. Lynch e Gifford, scrivendo per davvero una sceneggiatura, non rinunciano a presentare un testo narrativo che, meno avvincente della prosa sclaviana, gioca su un effetto di straniamento polifonico, presentando lunghe sequenze di testo che, se dal punto di vista atmosferico ben si amalgamo con le altre, dal punto di vista di contenuto non sempre sembrano pertinenti.

La sensazione comunque è che entrambi i testi puntino a scardinare, con le tecniche del noir, un certo modo di raccontare la storia, stravolgendone le strutture di base e quasi perdendosi nel divenire della pagina pellicola.

Altra somiglianza importante è il carattere psicologico dei due testi, giocato su un’operazione di sottrazione (frasi smozzicate, silenzi, oggettivazione delle azioni dei protagonisti) anziché un profluvio di battutine e cinismi alla Bogart/Tarantino.

Con stili e sensibilità assai sovrapponibili, Sclavi (negli anni ’80 di Craxi) e Lynch (nei ’90 di Clinton) recuperano le strutture formali del noir (soprattutto quello di certi incunaboli di Cornell Woolrich, autore molto presente nei meta-testi neri del regista americano, che allo scrittore di New York si è ispirato direttamente per il suo Hotel Room televisivo) e ci raccontano un possibile presente metafisico in cui ognuno di noi transita (ora, adesso, in questo preciso istante).

C’è in giro qualcuno capace di fare lo stesso con questo 2014 da brivido?

Beh, spero di sì.

Se lo conoscete segnalatemelo, tuttavia, per favore, non fate i nomi di tutta la robaccia che passa per noir e viene sfornata appositamente per finire in una fiction di Canale 5 o della Rai.

Bene. Torniamo all’inizio, cioè alla fine.

Ancora qualche riga di sproloqui e vi lascio.

Ultimamente ne parliamo parecchio di noir: sarà il caldo, l’estate, anche solo il caldo immaginato, percepito dall’impero della mente – il caldo che ci squaglia, rammollisce il nostro senso morale, la differenza tra il bene e il male e fa dilagare i demoni delle blues highway.

Il noir come sur-genere che li attraversa e ricapitola tutti.

Il noir come qualità disorientante del reale, senza la “R” maiuscola.

Detours & lost highway.

O il Delta.

O le Piane.

L’ambiguità è la natura del noir.

Trance.

Amnesie.

Horror.

Spazio claustrofobico.

Tempo circolare, saltato, spezzato, liquefatto (e Strade perdute o Nero ne sono un esempio perfetto).

L’approdo è sempre nell’abisso dell’anima, nel suo cuore di tenebra.

Frustrazioni, perdite di sé.

Smarrimenti da b-noir onirici e non da Pirandello.

Insomma, il noir è il fantasma del contemporaneo (più che del moderno), del qui e ora.

Ieri i problemi di ieri (che ormai sono fatti e i baby pensionati se la possono godere alla faccia di noi poveri stronzi).

Oggi quelli di oggi.

Superlavoro, capitalismo finanziario, bolle speculative da migliori dei mondi possibili: premesse, promesse, suggestioni di riprese e benessere, o perlomeno giustizia per tutti, riforme a costo (e utilità) zero e autoritarismo da cartoni animati da parte dei soliti figli di gente che conta.

L’Italia vista in un agosto, in una estate anomala, assomiglia a delle cartoline all’inferno spedite da tedeschi arroganti che hanno dimenticato le pesantissime responsabilità contratte con la Storia (due guerre mondiali, nazismo, campi di concentramento).

Autostrade moschea.

Autogrill cargo happiness.

Pianti di bambini.

Abbaiare di cani.

Ehi, tranquilli!

I demoni dell’inconscio sono già dall’altra parte dello specchio.

La mattina, quando vi radete o rifate il trucco, non indugiate troppo a lungo.

Potreste scoprire qualcosa che non torna nelle vostre vite e venirvi voglia di rimettere in pari le cose con un bel massacro metereologico.

Davide Rosso

BIBLIOGRAFIA

Trascrivo una ridottissima bibliografia sul noir, segnalandovi degli ottimi volumi usciti sul mercato italiano negli ultimi 4 anni e quindi reperibilissimi.

P. Duncan & J. Muller (a cura di), Film Noir, Taschen, 2014.

A. Silver & J. Urini, Il Noir, Taschen, 2012.

C. Caira, Il neo noir, Il foglio, 2013.

M. Pezzella & A. Tricomi (a cura di), I fantasmi del moderno, temi e figure del cinema noir, Cattedrale, 2010.

A. Calanchi, Arcobaleno noir, Galaad Edizioni, 2014.