FEDERICO GALDI

Autore dell’imminente romanzo fantasy “Nytrya”, che uscirà per i tipi di Plesio Editore, Federico Galdi è uno scrittore esordiente ma con un bagaglio culturale di tutto rispetto. Conosciamolo meglio.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È FEDERICO GALDI?

Ho ventitré anni, quasi ventiquattro, e sono di Genova. Qui mi sto laureando in Beni Culturali, con un occhio di riguardo alla conservazione e il restauro di manoscritti e documenti antichi. Sono un lettore accanito e un grande tifoso della Sampdoria. La cultura e il calcio, due mie passioni, ma anche due cose che, nell’immaginario comune, spesso sono ritenute incompatibili.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI?

Scrivo da quand’ero ragazzino: ho iniziato con un testo di una cinquantina di pagine, ispirato a Stefano Benni, sulla mia scuola media. La classica scuola italiana con pochi fondi e professori che possono facilmente essere soggetti di storie divertenti. Oltre a questo ho scritto anche alcuni “flussi di coscienza”, stile Finnegan’s Wake, durante le lezioni del liceo, sulle lezioni che seguivo. Ed è meglio non divulgarli! Infine ho realizzato, nella primavera del 2010, una bibliografia con introduzione critica sul genere Fantasy per la biblioteca civica Berio di Genova. Credo sia tutt’ora reperibile in rete. La creazione di “Nytrya” ha comunque occupato gran parte della mia attività.

A GIORNI USCIRA’ IL TUO PRIMO ROMANZO INTITOLATO “NYTRYA”. VUOI PARLARCENE?

“Nytrya” è basato su una domanda semplice: quando leggiamo un libro di storia, siamo davvero certi che tutto si sia svolto come ci raccontano? O forse sono sempre i vincitori che scrivono ciò che vogliono dei fatti e dei vinti? Se pensiamo al passato recente, il problema, in fondo, non si pone, ma quando leggiamo della battaglia di Bouvines, di Hastings, di Montaperti o di Poitiers, come possiamo essere sicuri che i commentatori ci abbiano detto tutta la verità? La Frontiera, dove ho ambientato la mia storia, è una terra ispirata all’Europa post carolingia. Antichi regni crollano e vengono sostituiti da nuovi poteri che sorgono. Uno dei personaggi più importanti, Myrddion, è un soldato, un generale della famiglia reale che ha preso parte a una delle battaglie più importanti della guerra di occupazione. E’ conscio di quanto male ha causato alla popolazioni invase, ma al contempo vuole essere fedele al suo popolo, alla sua causa e servire la sua famiglia. Sa che quella guerra è stata dolorosamente necessaria per la sopravvivenza del Regno. Eppure non ha mai trovato il coraggio di chiedersi come tutto sia iniziato, quanto fosse realmente necessaria la guerra, cominciata prima della sua nascita con il crollo della capitale del regno dei nani. Chiede e ottiene un trasferimento, per sé e un suo amico e commilitone, venendo dislocato a Nytrya, la miniera dove il re dei nani e i suoi due figli sono stati rinchiusi. E lascio scoprire a voi cosa accade dopo. L’intero libro si basa sull’idea di uno scontro di popoli e culture diverse. Per poter rendere più semplice questa situazione ho ispirato ogni popolazione del mio libro a una differente civiltà del passato. La società di Atlantide, ad esempio, si ispira a Bisanzio, quella dei nani alle popolazioni nordiche della penisola scandinava, gli elfi in parte alle polis greche e così via.

COME È NATA L’IDEA DI FONDO DEL ROMANZO?

Avevo sedici anni ed era la seconda volta che andavo in vacanza con i miei genitori senza la presenza di mio fratello. Tra fratelli capita di litigare, specie in vacanza, quando si sta sempre a contatto. Quei litigi, però, possono essere anche un diversivo, un modo per uscire dalla routine delle vacanze in famiglia. Quella volta, senza mio fratello, stavo annegando nella noia più assoluta. Per ingannare il tempo, ho preso a scrivere su un quaderno giallo (che si supponeva dovesse contenere delle versioni di latino) alcuni scenari per dei giochi di ruolo che progettavo di fare con i miei amici una volta rientrato a Genova. Col tempo, da quella idea sono scaturiti personaggi, luoghi e idee che non avevano nulla a che fare con lo scopo prefissato. Non me n’ero quasi reso conto, ma avevo iniziato a scrivere un fantasy! Una bella sorpresa per uno che ha letto “Lo Hobbit” a otto anni. La prima stesura, complice anche la scuola, l’ho completata solo due anni dopo, periodo nel quale ho ricevuto l’aiuto fondamentale di una mia cara amica, insegnante di scrittura creativa, per migliorare lo stile. Gli anni successivi li ho passati a documentarmi, a migliorare i personaggi e la scrittura. Ho anche praticato per un po’ scherma medievale, tiro con l’arco lungo inglese e con la balestra genovese, per vedere in prima persona come si svolgevano queste attività. Inutile dire che mi sono trovato di fronte a qualcosa di molto diverso da quanto ci viene proposto dai libri e al cinema. Le mie braccia tremano ancora se ripenso alla prima volta in cui ho teso un arco o caricato una balestra. Ho anche ripassato la mitologia greca e norrena, dove ho trovato varie fonti d’ispirazione per il romanzo e mi sono documentato a fondo sull’araldica e il simbolismo medievale.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI?

Probabilmente sottoporli alle persone che me li avevano ispirati e scappare dopo le loro minacce… Più seriamente, la parte più complessa è stata quella di non renderli macchiette. Il mio peggior timore, quando scrivo, è cadere in qualche cliché. E’ difficile per ogni autore, e per me lo è stato anche di più, considerando che questa storia, sotto certi punti di vista, è piuttosto archetipica. La psicologia dei personaggi è stata più facile e al contempo più difficile, dato che mi sono ispirato a persone reali, che vedevo tutti i giorni. Ognuno dei miei protagonisti, chi più, chi meno, ha due lati. Quello che mostra agli altri personaggi, la propria maschera, potremmo dire, e quello invece porta dentro di sé, i propri demoni personali. La vera sfida è stata con il nano Thorengreim. Più scrivevo di lui, più mi rendevo conto di quanto fosse simile a me sotto tantissimi punti di vista. Iracondo, chiuso, orgoglioso, ma con un fortissimo senso di onore e lealtà. L’introspezione è sempre difficile, quando poi devi metterla su carta è anche peggio.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Sarebbe facile rispondere che per me il fantasy è pura e semplice evasione, ma non sarebbe del tutto vero. Uno dei padri di questo genere, J.R.R. Tolkien, nel libro Albero e Foglia, diceva che nella fiaba non si deve confondere la diserzione del soldato con la legittima fuga del prigioniero. Ho riscontrato, in ognuno degli scrittori che hanno fatto grande questo genere, un forte senso di realtà, per cui la scrittura di un racconto fantastico ha costituito una vera e propria ancora di salvezza. Non so spiegare bene se per me è stato lo stesso. Credo che per me il fantasy non volesse essere tanto una fuga dalla realtà, quando la ricerca di una risposta alternativa ai problemi di ogni giorno. Una differenza sottile.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Da tutto ciò che mi circonda. Persone, fatti, libri che ho letto, luoghi che ho visitato. Per dire, una volta ho rivisto le foto della mia visita all’abbazia di San Galgano; mi sono ricordato della sensazione provata da bambino di fronte a quella imponente struttura senza tetto e questo mi ha portato a scrivere una delle mie scene preferite del libro. Ma anche il Viale dei Cipressi vicino l’oratorio di San Guido, così come la Valle Pesio in provincia di Cuneo o le torri di Porta Soprana a Genova sono state altre fonti d’ispirazione, solo per citarne alcune. In ambito letterario, oltre ai fantasy, anche alcuni libri come la Germania di Tacito o i dialoghi di Platone mi sono stati di forte influenza. A questo vanno aggiunte molte canzoni del mio gruppo preferito, i Queen (come Ogre Battle, contenuta nel loro secondo album, Queen II).

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Iniziando a parlare degli autori che mi piacciono, posso citare Nick Hornby, Arthur Conan Doyle, Frank McCourt tra gli stranieri, Umberto Eco, Valerio Massimo Manfredi e Stefano Benni tra gli italiani. Se poi andiamo sui “classici” la lista si allunga a Dante, Boccaccio, Tasso, Omero, Ovidio e Virgilio.

Se parliamo di autori di fantasy la lista sarebbe lunghissima, e finirebbe per comprendere quasi tutti gli autori degli oltre cento libri di questo genere da me letti e presenti sui miei scaffali. Limitandomi ai miei preferiti, troviamo ovviamente George R.R. Martin e J.R.R. Tolkien, oltre a Stephen R. Donaldson, Ursula K. Le Guin e Neil Gaiman, ma soprattutto Margaret Weis e Tracy Hickman (che in fondo hanno iniziato a scrivere un po’ come me) e Terry Pratchett, che chiamo amorevolmente “zio”.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM, CHE CI DICI?

Ovviamente ho adorato la Trilogia de “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson. Ma ho una predilezione per i film di Mario Monicelli, specie I Soliti Ignoti, Il Marchese del Grillo, L’Armata Brancaleone e Brancaleone alle Crociate. Sono anche un grande ammiratore di Roberto Benigni e di tutta la sua produzione, da quella più recente, come La vita è bella e La tigre e la neve a quella iniziale, come Tu mi turbi, Il Mostro e Berlinguer ti voglio bene. Mi piacciono molto anche alcuni cult, come Il grande Lebowsky,  Ghostbusters, Le Iene, Bastardi senza gloria, Highlander (il film con la più bella colonna sonora della storia!), moltissimi film con Johnny Cage e (udite! udite!) L’Armata delle Tenebre con Bruce Campbell.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Tra i progetti a cui sto lavorando c’è un racconto steampunk, a cui mi dedicherò quando la Frontiera mi avrà dato tutto il possibile. Come ho detto all’inizio sono anche un grande appassionato di calcio, sto così scrivendo la storia, dal punto di vista di un tifoso, degli ultimi tre anni dell’Unione Calcio Sampdoria. Dato che ciò che è successo in questo periodo rappresenta l’apice e la caduta di una delle cose che amo di più mi sembrava giusto raccontarla, non da un punto di vista calcistico, ma da quello umano, dei tifosi che hanno sostenuto una squadra senza alcuna speranza e che hanno subito una delle peggiori ingiustizie calcistiche della storia, non da parte di un arbitro o un guardalinee, ma da coloro di cui si fidavano, società e giocatori. Il mio sogno, invece, è da molto tempo quello di diventare professore e insegnare ai più giovani. Dopo la laurea, a cui ormai manca poco, voglio dedicarmi a questo.

IN BOCCA AL LUPO ALLORA!

Davide Longoni