ALL’ORIGINE DELLA MOSTRUOSITÀ: FRA IBRIDI E CREATURE MITOLOGICHE

Non è mai venuto meno il tempo in cui nella storia dell’umanità non si siano manifestati casi di creature eccezionali o mostruose, sia tra gli animali che tra gli esseri umani, capaci di suscitare incredulità e meraviglia. Ancora oggi, in svariate parti del mondo continuano a manifestarsi bizzarre anomalie, episodi a cui siamo abituati e per i quali sembriamo non provare più grande stupore. In realtà, la ragione di questa attuale “quasi” indifferenza non è dovuta tanto alla consapevolezza che spesso ci si trova di fronte ad episodi di irregolarità genetiche quanto per il fatto che secoli di deformità ci ha resi avvezzi alla diversità. Nel Medioevo, la questione si poneva ovviamente in maniera differente: da una parte magia e superstizione rivestivano ancora un ruolo maggiore e predominante rispetto alla scienza, dall’altra il cristianesimo tendeva a fare di creature poco note o affette da malformazioni un utile spauracchio da usare come manifestazione del demonio.

È anche vero, però, che di molte mostruosità, già a partire dalle tradizioni più antiche, non è responsabile tanto l’inconsapevolezza o la credenza popolare quanto la semplice immaginazione, poiché tendenzialmente l’uomo ha dato vita in ogni tempo a creature sovrumane dotate di quelle qualità che l’uomo stesso avrebbe voluto possedere quali forza, saggezza, immortalità.

Il riferimento alla mostruosità è, quindi, sempre soggetto ad una duplice considerazione (positiva e negativa) poiché ciò che è diverso incute timore e allo stesso tempo attrazione.

L’uomo medievale rappresentava attraverso l’ingigantimento delle membra o l’applicazione di parti animali a soggetti umani, l’acquisizione di quelle facoltà che altrimenti egli non avrebbe posseduto in natura.

Secondo la legge detta della “pars pro toto”, si credeva infatti che fosse sufficiente impadronirsi della parte di un qualsiasi animale per poterne acquisire le caratteristiche, siano esse potenza, velocità o eleganza. Si passò così ad unire parti diverse di animali con lo scopo di generare un essere ibrido capace di assommare tutte le caratteristiche possedute dai singoli frammenti.

Non a caso i primi esseri nati seguendo questo principio sono le semidivinità: creature poste a metà tra gli dei e gli esseri umani. Individui cioè che si credeva abitassero sia gli Inferi che i luoghi più lontani e desolati della terra.

Uno dei più curiosi “ibridi” nella multiforme schiera delle divinità indiane, ad esempio, è il dio Ganesha, dal corpo umano e la testa di un elefante. In origine il dio aveva forma interamente umana ed era stato scelto dalla dea Parvati come guardiano delle proprie stanze. Il dio aveva assolto al suo compito con tale devozione da impedire anche allo sposo di Parvati, Shiva, di entrare nelle stanze della dea. Così, il dio adirato lo punì decapitandolo. Pentitosene, più tardi, innestò sul corpo di Ganesha la testa del primo animale incontrato, un elefante.

Si conoscono però anche situazioni inverse, come nel mito greco di Edipo che giunto a Tebe risolve l’enigma della Sfinge, creatura dal volto e seno di donna ma corpo, zampe e coda di leone. Apollodoro quando parla di questa creatura la definisce figlia di Echidna e Tifone, ambedue mostri dalle caratteristiche serpentine.

Questi esseri straordinari, finirono così per dominare le saghe mitologiche, riempiendo interi frammenti di documenti di natura zoologica, filosofica e storica.

Logicamente se in un primo momento si crearono divinità capaci di assommare aspetti umani (necessari a renderli più familiare e in qualche modo vicini ai comuni mortali) e animali – al fine di generare un essere eletto – successivamente si amplificarono quelle caratteristiche al punto di creare vere e proprie aberrazioni come la manticora, creatura mostruosa a metà fra un drago, un leone e un essere umano o le arpie, donne uccello mangiatrici di carne umana.

Con il Cristianesimo, però, questo universo di divinità-ibride viene meno e l’uomo diventa la sola creatura eletta da Dio. Come tale, con le sue sole forze e la sua fede, può contrastare e vincere quelle antiche divinità un tempo venerate e invidiate, divenute poi simbolo del male e riflesso di una società dominata dalla magia e dalla superstizione. Nel Medioevo, non a caso, si consolida la leggenda del lupo mannaro.

Solo durante il periodo illuminista e con l’avvento delle “scienze evolute” la mostruosità cambia definitivamente aspetto finendo per essere relegata in un angolo della società, modificata o in certi casi accettata.

Ma, nell’immaginario collettivo, creature come quelle che abbiamo finora nominato sono davvero venute meno? E tutt’ora sono sufficienti le conoscenze che possediamo per dire di non poter credere più all’esistenza di licantropi e sirene? Ebbene no. È sufficiente pensare alle schiere di antropologi e avventurieri alla continua ricerca di creature come il Sasquatch – più noto a tutti come il Big Foot – il Chupacabras o l’inquietante Mothman, l’uomo falena.

Chimere, lamie e manticore continueranno ad esistere e se mai inizieranno a sbiadire nella mente umana, quest’ultima farà in modo di riportarli in vita. E anche quando una creatura mitologica apparirà ormai anacronistica, l’uomo la sostituirà con qualcosa di contemporaneo come macchine umanoidi o esseri umani stessi che, attraverso stravaganti ricombinazioni genetiche, consone alla nostra epoca, diventeranno creature altrettanto fantastiche. In altre parole l’uomo sarà sempre pronto a riattivare quel processo di fantastica combinazione fra esseri diversi, essendo questa una necessità ineludibile della collettività utile a ristabilire un equilibrio.

Giusy Tolve