BEYOND MILLENNIUM (1996 – 2020)

Oggi la serialità passa dai canali satellitari.

Paga per vedere una nuova estetica del racconto infinito.

Netflix nuovo dominus del consumo culturale: non più i feticci dei dvd, dei bluray o delle VHS. Oggi tutto è digitale, smaterializzato, espanso, classificabile, programmabile, prevedibile: gusti e servizi alla portata di tutti.

Netflix, dopo una prima fase distributiva in cui ha imparato a conoscere i gusti dei consumatori, ha cominciato a produrre i contenuti, orientando le tendenze di una sorta di community digitale dell’intrattenimento. Una community composta non da classi (i generi non sono classisti, si rivolgono a tutti) ma da masse polverizzate di individui; ognuno di noi deriva il proprio immaginario colonizzato da queste web company totalitarie.

Personalmente credo vi sia qualcosa di sinistro dietro queste multinazionali del divertimento, dove in fondo la morale della produzione capitalistica è rimasta la stessa di sempre: un tangibile profitto e un potere coercitivo di controllo.

In questo il thriller credo sia, anche involontariamente, una cartina al tornasole della frantumazione e delle derive totalitarie delle società artificiali nella quali viviamo.

Andiamo a ritroso lungo il filo rosso del thriller, o del post-thriller americano di questi ultimi vent’anni: nella moltitudine di proposte, il thriller ha ripreso un grande spazio. True Detective. Sharp Objects. Following. All’origine di tutto Twin Peaks, oggetto d’autore e di massa dei primi anni ’90, incentrato, nella prima stagione, sull’omicidio rituale di una giovane puttanella del liceo locale. Quel modello è stato ripreso da molti, tranne che dal suo autore che, nell’inattesa e sorprendente terza stagione, ha rivisitato i contenuti della serie guardando più al noir e all’horror fantascientifico.

Tuttavia credo che un’altra serie sia alle origini di molto del thriller televisivo degli ultimi anni.

Penso alla serie Millennium, ideata nel 1996 da Chris Carter, autore del fenomeno di massa di X-Files; Millennium non è stata una serie di grande successo, in Italia la prima stagione fu trasmessa su Italia Uno, poi credo non l’abbia più vista nessuno, se non a tarda sera e le altre due stagioni rimaste sono riapparse poi in dvd e su Rai 4 agli inizi degli anni Duemila.

Serie troppo cruda, violenta, cupa.

In anticipo sui tempi.

Chris Carter aveva in mente la narrativa di Thomas Harris e il fenomeno (molto anni ’80) dei serial killer. Film come Manhunter (1986), Il silenzio degli innocenti (1991) e Seven (1995) ne hanno preparato l’estetica. La trama di Millennium è fortemente debitrice rispetto al romanzo Il delitto della terza luna (1981) di Thomas Harris, dove un detective di nome Will Graham ha il dono, la capacità di entrare nella mente dei serial killer e prevedere le loro prossime mosse. In Millennium il personaggio di Graham muta in Frank Black (Franco Nero in italiano!), impersonato da Lance Henriksen, volto espressionista e inquieto di tanto cinema di genere anni ’80. Il personaggio di Henriksen è un Graham consumato dal tempo, perseguitato dai suoi demoni personali, dall’aver passato troppo tempo nel guardare dentro all’abisso dell’animo umano. Anche Frank ha il dono di vedere (attraverso squarci lisergici) l’operato dei vari mostri contemporanei. E ad ogni discesa nell’abisso ne esce consumato, sfibrato.

Nella prima stagione Frank torna ad abitare a Seattle con la sua famiglia: una graziosa figlioletta (simbolo di una innocenza perduta) e una moglie paziente e comprensiva (la delicata Megan Gallagher, altra colonna della serie). La loro casa è una graziosa villetta giallo limone imbevuta di luce. Una luce che manca nella vita professionale di Frank. I vari episodi, autoconclusivi, infatti hanno una fotografia scura, realistica, opera del bravissimo Robert McLachlan. L’altro marchio di fabbrica della serie è la rappresentazione fondamentalista del male, un’essenza per nulla metafisica, bensì materica, concreta. Un male che viene da fuori per corrompere le anime e i corpi. Panico, sfiducia e disperazione intaccano l’ideologia rassicurante e paternalistica di Frank, formulando una parabola di espiazioni, sacrifici e citazioni bibliche.

Millennium è un post-thriller in cui i mostri hanno le facce rassicuranti e anonime dei passanti e la catarsi finale non è più possibile. Frank cerca di proteggere la sua famiglia dal contagio perverso del mondo esterno e fallisce miseramente, vedendo sgretolarsi poco a poco tutto quello che ha costruito. Ultimo eroe positivo e classico, Frank è un sopravvissuto di un’America che non ha mai smesso di pensare alla propria visione apocalittica, a Dio e all’Agnello, alle calamità naturali e ai sette sigilli. Ciò che rimane del mondo è una massa all’apparenza felice di persone, nascoste dietro le regole e i codici della civiltà, in realtà assediate da un’essenza venefica che scaturisce dalle più piccole increspature del quotidiano. Apocalissi tascabili senza Dio, magari in un night notturno infestato dalle visioni di sangue del serial killer di turno (nel primo, stupefacente, episodio), oppure sette fondamentaliste e omofobe (lo strano gruppo Millennium, coacervo di ex investigatori e politicanti, i cui veri scopi rimangono avvolti nell’ombra). Millennium mostra il volto più oscuro della società contemporanea, ne palesa le angosce e i demoni, confondendo i ruoli dei buoni e dei cattivi, rendendo difficile distinguere i giudici dai giudicati. Quasi tutta la prima serie sforna episodi altissimi, mai più visti in una serie tv, se non solo in True Detective: tutto il caos latente del nostro mondo viene sublimato in storie che affrontano tutto il lato oscuro del nostro quotidiano; giustizieri solitari, sette religiose, serial killer cristologici, pedofili, bevitori di sangue, stupratori e stalker misteriosi (tutti gli episodi della prima stagione sono tenuti insieme da una sotto trama che ritorna nelle varie puntate e narra di alcune misteriose polaroid che arrivano a casa di Frank e ritraggono la sua famiglia nei momenti più semplici della giornata). Non mancheranno strani esperimenti clinici e un confronto ambiguo con l’invadenza rapsodica del Diavolo, mostrato nella sua iconografia classica. La fine della prima stagione segnerà un passaggio, una perdita di umanità per Frank.

La seconda stagione (meno compatta, forse più sperimentale), vede subentrare alla guida della serie Glen Morgan e James Wong (Carter doveva continuare a seguire la serie principale X-Files), i quali imprimono una svolta al realismo della prima stagione. Abbondano episodi curiosi e originali, vagamente fantastici o introspettivi, penso al bellissimo e riepilogativo episodio n. 7 intitolato La maledizione di Frank Black. Naturalmente il format di base non cambia e Frank si trova sempre a dover proteggere i suoi cari (il matrimonio in crisi, la lontananza dalla figlia) e a catturare pericolosi serial killer. Tra le vette più alte e originali (siamo nel 1997 è bene ricordarlo) l’episodio n. 13 Il killer di internet (scritto da Michael R. Perry e diretto da Roderick J. Pridy), rivisitazione del caso di Zodiac alla luce delle nuove tecnologie. L’episodio sembra anticipare il soggetto del Cartaio argentiano, solo che qui siamo a livelli di scrittura molto più alti. Zodiac (il nome è un altro, non lo ricordo) è tornato e utilizza sempre i suoi cifrari e simboli per sfidare la polizia e la mente di chi lo vuole catturare. Circuisce tra i disperati di internet le sue vittime e le offre in pasto al collasso di regole del vivere civile: omicidi in diretta, snuff della visione che possono dare libero sfogo agli impulsi della middle class americana. Il finale sospeso, la quasi sconfitta di Frank, lanciano un’ombra inquietante su questa seconda stagione, tra le punte più alte di quanto si andava vedendo allora sul piccolo schermo. Bellissimo anche l’episodio n. 15 Il lazzaretto: una sorta di slasher sul piccolo schermo con un maniaco omicida che ammazza dentro e fuori di un manicomio criminale. Il plot ricorda molto da vicino la riflessione portata avanti da Robert Bloch nel suo capolavoro del 1974 Il regno della notte.

Morgan & Wong si supereranno arrivando a immaginare una sorta di tabula rasa della serie, una epidemia veramente biblica che si scatenerà nelle ultime puntate della stagione, azzerando ruoli e rapporti, in un lungo finale dal sapore sperimentale e acido, qualcosa che sembra sondare quelle colonne d’Ercole oltre le quali si spingerà David Lynch nell’ultima puntata della terza stagione di Twin Peaks. Ciò che continua a colpire è la descrizione di una società biblica infittita di presagi e popolata da facce anonime e stucchevoli, manichini di cera pronti a scongelarsi sotto i riflettori di una nuova epoca ubriaca, annunciata dai profeti sanguinolenti del male, un’epoca di risacca e miseria, scollamenti e gocciolamenti che apriranno le paludi stigie di True Detective.

La terza stagione di Millennium sarà l’ultima. La serie rientrerà dentro parametri meno sperimentali, ma proporrà ancora episodi assai interessanti. Torna sempre alla memoria Robert Bloch e il suo Psycho 2 letterario, parafrasato nell’episodio Il maniaco dell’horror, forse l’episodio più bello (e autoironico) di una stagione finale al di sotto delle precedenti, ma comunque necessaria. La storia di Frank Black si conclude con una certa fretta e molti nodi rimangono aperti (tanto che ci vorrà un episodio della serie di X-Files per provare a dare maggiori risposte); tuttavia, il finale, con Frank ormai fuori dal gruppo dei Millennium (rivelatisi una sorta di setta di cospiratori che farebbe la felicità di qualunque paranoico) e in fuga con la figlia verso un altro futuro, ha un sapore nostalgico e delicato su cui possiamo chiudere gli occhi.

E dopo?

La fine avrebbe segnato come sempre un nuovo inizio. Il mondo non sarebbe finito. Il nuovo millennio avrebbe aperto gli occhi sugli aguzzini di Bolzaneto, sul crollo delle Torri Gemelle e una nuova crisi economica. Il mondo è cambiato davvero nel nuovo millennio, frammentando le nostre apparenze quotidiane in cinguettii robotici e uno spazio-tempo virtuale regolato da logiche diverse che impongono dissociazioni identitarie radicali e permanenti.

Davide Rosso