BATMAN: THE KILLING JOKE… ALFIERI

Fin dalla prima volta che lessi con grandissimo piacere Batman: the Killing Joke di Moore/Bolland/Higgins, mi dissi istintivamente: “Se dovessi spiegare Alfieri a scuola, credo che questa sarebbe la chiave che userei…”, anche se di Alfieri all’epoca non avevo che vaghi ricordi di liceale, niente di più, e di Batman e del suo acerrimo rivale solo quelli d’infanzia. Però sapevo a naso che quei due personaggi, Joker tiranno (perché tiranneggiato dal male) e Batman (che tenta disperatamente fin dall’anno della sua creazione, 1939, di diventare un liber’uomo, libero dai propri ricordi di papà e mamma morti ammazzati) condividevano qualcosa di essenziale, erano fatti della stessa pasta. O meglio – come dimostrano la prima e l’ultima vignetta del fumetto – della stessa acqua… sì, la pozza può anche venire separata per un po’ dalla linea retta dei fanali di un’auto, giusto il tempo di due brevi vite, ma alla fine si ricongiungerà nello stesso mare magnum amorale della creazione, di nuovo cellula al singolare.

Eppure, come dice Batman ad Alfred: “Non lo conosco [Joker]. Dopo tutti questi anni, non so chi sia. Non più di quanto lui sappia io chi sia. Come fanno due persone a odiarsi tanto, senza neanche conoscersi?” La risposta è ovvia: liber’uomo e tiranno incarnano due esigenze forse metafisiche, ma senz’altro storiche, opposte per definizione e quindi non occorre che si conoscano per odiarsi. Sono nemici, o avversari?, per la pelle. Il resto è idiosincratico, irredimibile dolore.

“Alfieri concepisce il teatro essenzialmente come azione parlata: ciò significa che le parole dei personaggi sono sempre finalizzate all’azione. Dialoghi e monologhi non dichiarano, semplicemente, ma esortano a fare qualcosa, cioè contengono in sé e prevedono la situazione scenica” (P. Di Sacco). Anche il tiranno/Joker ha un trono dal quale dispensa le proprie pillole di salvezza: vuoi sfuggire ai ricordi che ti fanno troppo male? Dimenticali sprofondando nella follia. Detto in monologo “alfieriano”: “Quando il mondo è male puro, e il tuo capo è uno spergiuro, quando stupri, fame e guerra mandan la vita a farsi fottereee io serbo qualcosa  che… ora insegnerò anche te, una cosa che mi fa sorridereee… divento pazzooo… come un disco rotto… semplicemente paz-zoo, mangio la ciotola e butto via il risotto… La vita è bella se imbottisci la tua cella. La tristezza si toglierà di torno… se scambi il malcontento con una stanza di contenimento… e due iniezioni al giorno!!! Diventa pazzooo, come un tossico, un malato, o un cartone della tivvù! Quando la razza umana ha una faccia strana, quando le bombe piovon da lassù, quando tuo figlio si buca e non c’è più… non ti crucciar. Puoi sorridere e tutto via scrollar! Quando sei paz-zooo, allora perché non… l’uomo è così piccolin… e l’universo tanto grossin… E se dentro sei ferito… non restare lì impietrito… se la vita ti ha scombinato il mazzo… diventa… diventa… pazzo!!!”.

Per Joker, ma forse non solo per lui, il cosiddetto “uomo normale” è sempre a un passo dalla follia: “Basta una Giornataccia per trasformare l’uomo più sano del mondo in uno svitato! Ecco quanto disto dal mondo: solo una giornataccia.” E la più razionale reazione a essa, paradossalmente, è proprio la follia. Quel che oppone tiranno e liber’uomo, qui, è sì il potere, ma su se stessi: mentre il primo è reso un semplice demente dai suoi traumi e ha deciso di seguire il caos dell’esistenza, se vogliamo un po’ come De Sade segue la Natura, il liber’uomo no: cerca di imporre delle regole al caos che lo circonda, ma anche in questo caso punizioni e violenza non mancano.

In Alfieri il tiranno è colui che impone la costrizione, prima di tutti a se stesso e quindi al popolo, mentre il liber’uomo è un anticonformista ribelle ma non rivoluzionario che si sottrae al compito di essere educatore della nazione (secondo un tratto tipico della letteratura Sette-Ottocentesca): ciò che cerca, piuttosto, è l’affermazione assoluta della propria libertà individuale. Forse proprio per questo aspetto comune in Saul tiranno e liber’uomo sono due facce dello stesso personaggio.

Il genere che viene prediletto dall’autore di Asti e da quello di Northampton è notoriamente quello tragico, tragedia generata in Joker dalla morte assurda di sua moglie così come il delirio omicida di Saul lo è dalla sua invidia per David, e possiamo addirittura trovare delle rassomiglianze fra il primo, che alla fine del fumetto si riconcilia con i propri traumi attraverso una sorta di riunione con Batman, e il secondo, che trova un riscatto sulla propria tirannide attraverso un suicidio eroico che lo restituisce a se stesso finalmente integro, uno, liber’uomo.

Esattamente come accade nelle tragedie di Alfieri, dove tutti i personaggi sono tolti di mezzo per lasciare spazio alla lotta fra eroe e tiranno, così in Batman: the Killing Joke la corte dei miracoli di Joker, Alfred, il commissario Gordon e Barbara sono semplici comprimari utili soltanto per scatenare il sadismo (feroce e didascalico) di Joker e la ferocia (sadica e didascalica) di Batman. Entrambi “spiegano” al loro avversario i propri traumi col terrore, come dei piccoli Hitler.

L’attenzione dello spettatore non deve essere distratta da null’altro all’infuori delle passioni dello scrittore di Asti (amore, ira, furore, gelosia, odio, ambizione, libertà e vendetta) che si ritrovano in una buona percentuale anche nel fumetto di Moore/Bolland/Higgins. Infatti, “ciò che interessa ad Alfieri sono le dinamiche profonde dell’agire umano, che non cambiano mai. Sulla scena campeggiano le passioni individuali degli eroi; le vicende si riducono a scontro terribile di grandi personalità” (P. Di Sacco).

Joker stesso, d’altra parte, potrebbe invitare Batman a ucciderlo con queste parole di sfida, sdegnate e temerarie: “Bieca, o Morte, minacci? e in atto orrenda, / l’adunca falce a me brandisci innante? / Vibrala, su: me non vedrai tremante / pregarti mai, che il gran colpo sospenda.”  A proposito, negli scontri finali fra Batman e Joker, fra Saul e Saul – chi vince? Batman capace di ridurre all’impotenza Joker o forse quest’ultimo che fa ridere Batman … fino a che le risate dei due nemici si confondono in una sola? Il Saul prometeico verso Dio (“Oh figli miei…/ – Fui padre. / – Eccoti solo, o re; non un ti resta / Dei tanti amici, o servi tuoi. / – Sei paga / D’inesorabil Dio terribil ira?”) o quello verso i filistei (“Ma, tu mi resti, o brando: all’ultim’ uopo, / Fido ministro, or vieni […]  Empia Filiste, / Me troverai, ma almen da re, qui… […] morto”?

Gianfranco Galliano

Si ringrazia per la collaborazione A. Di Tommaso