GLI ENIGMI DELL’ANAMORFOSI

… dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte…

(Parco dei Mostri di Bomarzo, Viterbo)

“…Perchè l’occhio del dolore, lucido di lacrime accecanti,

divide una cosa intera in tanti oggetti,

come le prospettive che, guardate a modo giusto,

mostrano nient’altro che confusione e, guardate di sbieco,

distinguono la forma…”

…così, nel 1593, si esprime William Shakespeare (1564 – 1616) nel Riccardo III (atto II, scena 2) riguardo quelle curiose deformazioni prospettiche che vengono definite Anamorfòsi.

Il grande drammaturgo di Stratford-on-Avon faceva, all’epoca, parte della compagnia teatrale Lord Strange’s Men che, a Withehall Palace, aveva rappresentato sei opere teatrali tra il 27 dicembre 1591 e l’8 febbraio 1592. E’ quindi più che plausibile ipotizzare che egli, nell’opera citata, intendesse riferirsi a un bizzarro dipinto “anamorfico” – eseguito nel 1546 – del re Edoardo VI, conservato proprio in quell’edificio e osservato appena un anno prima della pubblicazione del citato dramma storico, in gran parte basato sulle Anglicae Historiae (1534) dell’urbinate Polidoro Virgilio (1470 – 1555).

Il ritratto rivelava le esatte proporzioni del viso del sovrano soltanto se veniva osservato, di sbieco, attraverso una piccola apertura laterale praticata in un coperchio che ne celava a tutti la vista.

L’opera riportava l’iscrizione Guilielmus pinxit, oggi scomparsa, e se ne attribuì la paternità dapprima a Marc Willems, pittore di Anversa, poi a Guillim Stretes, olandese, infine a Williams Scrots, attivo presso la corte inglese tra il 1537 e il 1553.

Chiunque l’abbia dipinto, essa appare indubbiamente come un elegante esempio di “Anamorfòsi”.

Ma cosa si intende per pittura “anamorfica”?

Leonardo da Vinci e l’Anamorfòsi

Artificio pittorico per inserire in una composizione scene o immagini non percepibili se non osservate di scorcio o da un determinato punto di vista”, recita un qualsiasi dizionario alla voce “anamorfòsi”. Il termine – che deriva dal greco ana, con il significato di ritorno verso, e morphè, cioè forma – fu usato per la prima volta, nel 1657, da Gaspar Schott.

Inoltre, come nasce l’idea di deformare oltre ogni limite un’immagine affinché essa non sia percepibile a un esame superficiale, a chi non conosca il “trucco”, l’esatto punto del dipinto da cui osservare la scena raffigurata?

Nasce dal concetto stesso di prospettiva, essa stessa un artificio, una “manipolazione” della realtà necessaria a restituire in un dipinto – per sua natura bidimensionale – la terza dimensione, la profondità, lo “spessore”. Essendo un artificio, però, la prospettiva può – diciamo così – rivolgersi contro sé stessa, utilizzare le sue stesse leggi per ottenere effetti apparentemente aberranti, mostruosi.

Esamineremo più avanti l’ipotesi che alcuni dipinti e disegni “anamorfici” ebbero, forse, lo scopo di “trasmettere” informazioni solo a chi ne conoscesse la giusta chiave di lettura, similmente a tantissime simboliche raffigurazioni “alchemiche”: limitiamoci per ora a identificarne la genesi e a esaminarne la storia in un rapidissimo excursus.

Jurgis Baltrušaitis, profondo studioso del simbolismo nella produzione artistica, affermò che, relativamente al concetto di prospettiva, l’Anamorfòsi “…ne inverte elementi e principi: essa dilata e proietta le forme fuori di se stesse invece di ridurle progressivamente ai loro limiti visibili, e le disgrega  perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato…”.

Probabilmente il primo artista che applicò – forse senza volerlo  e solo embrionalmente – questi princìpi dell’Anamorfosi fu il grande Leonardo da Vinci.

“…E se dipingerai ciò su un muro davanti al quale potrai spostarti liberamente, ti sembrerebbe sproporzionato… E se tu volessi, ciò nonostante, dipingerla bisognerebbe che la tua prospettiva sia vista attraverso un solo foro…”.

Abbiamo testimonianza di queste idee di Leonardo sulle deformazioni prospettiche nel Codice Atlantico (1483-1518, Milano, Biblioteca Ambrosiana), in cui il genio vinciano disegnò il viso di in bambino e un occhio molto deformati e visibili nelle loro reali proporzioni solo osservandoli con l’usuale tecnica necessaria con i dipinti “anamorfici”.

“…E se dipingerai ciò su un muro davanti al quale potrai spostarti liberamente, ti sembrerebbe sproporzionato… E se tu volessi, ciò nonostante, dipingerla bisognerebbe che la tua prospettiva sia vista attraverso un solo foro…”
L’Anamorfosi leonardesca, semplice ma efficace!

Vediamo però qualche vero esempio di Vexierbild, ovvero di quadro con segreto, ipotizzando che possano esistere altri simili dipinti in cui siano celate immagini aventi valenza simbolica e – perchè no ? – “alchemica”.

In un’incisione, realizzata tra il 1531 e il 1534, di Erhard Schön – che operò a Norimberga e fu allievo di Albrecht Dürer (1471 – 1528) – l’osservazione “frontale” fa percepire soltanto quattro zone trapezoidali in cui le uniche cose direttamente percepibili sono alcune piccole figure di uomini e animali.

Però, osservando di lato l’incisione, tenendo l’occhio molto vicino al foglio, emergono, come dal nulla, quattro teste sovrapposte: quelle di Carlo V, Ferdinando I, Clemente VII e Francesco I, insieme ad alcune iscrizioni in latino e in tedesco che identificano i personaggi citati.

Non solo, come d’incanto, appaiono anche immagini legati alle loro vicende politiche!

Anamorfosi di Erhard Schön in cui, osservando l’immagine dal punto appropriato, compaiono le teste di quattro importanti personaggi. 

Un piccolo aiuto per i lettori: questi sono  solo alcuni particolari delle immagini che appariranno ai vostri occhi osservando opportunamente l’Anamorfosi di Erhard Schön.

Alle spalle di Carlo V (1500 – 1588) diventano infatti visibili alcuni cavalli e dei soldati in battaglia, dietro Ferdinando I appare l’assedio di Vienna (1529 – 1532), vicino al Papa compare una nave armata e l’Onnipotente che minaccia un cavaliere turco, mentre dietro Francesco I, per mettere in evidenza i suoi rapporti diplomatici con i Turchi, Schön “nascose” dei personaggi in abiti orientali e un cammello.

Stranamente esiste un’altra versione della stessa incisione (del 1535), in cui il Papa Paolo III sostituisce l’altro Papa, Clemente VII.

Perchè fu realizzata questa seconda opera? Non lo sappiamo ma proseguiamo…

L’Anamorfòsi di S. Antonio di Padova…

In una tavola di Jacques Lipchitz – che ad un esame superficiale appare quasi un’opera astratta, composta da “farfalle”, “gigli” e “tavolini”! –  mediante la tecnica “anamorfica” è stato celato addirittura S. Antonio di Padova mentre si inginocchia davanti al Divin Bambino, in ricordo di alcune leggende che narrano come al Santo, appena prima di morire, apparve Gesù, mentre il suo volto si illuminava all’improvviso.

Ciò che più sorprende in questa opera del Lipchitz è la “magica” trasformazione che assumono – osservandoli di traverso – gli elementi che compongono la strana “anamorfosi”.

Uno dei “tavolini” visibili frontalmente si trasforma incredibilmente in un libro, l’altro “tavolino” diventa una croce, mentre le “farfalle” si trasformano in gigli, elementi che riconducono a episodi caratteristici della vita di S. Antonio.

Anamorfosi di Jacques Lipchitz in cui, “magicamente”, appariranno S. Antonio di Padova e il piccolo Gesù….

…e quella di Saul

Ma proseguiamo nel nostro excursus con un altra interessante pittura “anamorfica”, della fine del XVI secolo, appartenente alla “Scuola fiamminga”. Si tratta della Morte di Saul nella battaglia sul Monte Ghilboa…

Ora i Filistei combattevano contro Israele, e gli uomini di Israele

si diedero alla fuga d’innanzi ai Filistei, e cadevano uccisi sul Monte 

Ghilboa… Saul prese dunque la spada e si gettò su di essa...”

(1 Samuele, XXXI ,1,4)

Ebbene, nell’opera citata, davanti a una città in fiamme, sulle rive del fiume Giordano, si svolge la biblica scena: solo il personaggio principale, Saul, non sembra visibile.

Però, osservando il dipinto da destra, come al solito di traverso, ecco apparire Saul coperto da un’armatura – che all’osservazione frontale è occultata tra alcune lastre di pietra – mentre si suicida come narrato nel passo veterotestamentario!

“Morte di Saul”: solo osservando dal giusto angolo la scena in basso comparirà Saul coperto da un’armatura…

Un’ipotesi sulla tecnica “anamorfica”

Come facevano i pittori della prima metà del XVI secolo a dipingere – estremamente deformate – immagini con caratteristiche “anamorfiche”?

Forse è possibile avanzare un’ipotesi.

Già nell’XI secolo l’arabo Ibn al- Haytham aveva fatto cenno a un dispositivo simile alla “camera oscura”, ma è nel 1520 circa (in quegli anni dunque!) che il grande Leonardo da Vinci descrisse in modo abbastanza particolareggiato il principio di funzionamento di questo dispositivo fotografico.

Proprio partendo da ciò, ho pensato fosse plausibile che, tramite una rudimentale “camera oscura”, i vari Schön, Lipchtiz o l’Holbein che fra poco incontreremo, proiettassero su una superficie – molto inclinata rispetto alla direzione di provenienza dei raggi luminosi – l’oggetto da dipingere deformato e che poi, tracciati i contorni e i particolari dell’oggetto stesso, lo dipingessero definitivamente sulla tela.

Osservando in seguito il dipinto da un angolo visuale identico a quello utilizzato per deformare l’oggetto “anamorfico”, quest’ultimo sarebbe apparso “reale”, come se lo si fosse osservato senza alcuna eccessiva deformazione prospettica.

Ho effettuato qualche esperimento in tal senso, utilizzando un ingranditore fotografico come sorgente di luce e un normalissimo negativo in bianco e nero: la foto riportata in queste pagine è il miglior commento all’ipotesi formulata.

Osservando da un opportuna angolazione il disegno sottostante, dovrebbe apparire il teschio che è servito all’Autore di questo articolo per realizzare questa sperimentale Anamorfosi.

Osserviamo ora – avviandoci alla conclusione di questo nostro excursus nel magico mondo delle Anamorfòsi – una delle più conosciute pitture “anamorfiche”: Gli Ambasciatori di Hans Holbein, conservato a Londra, nella National Gallery, per la quale, quasi certamente, è stata utilizzata la tecnica appena descritta.

“Gli Ambasciatori” di Hans Holbein. Sempre osservando il dipinto da un’opportuna angolazione la “macchia” in basso, sul pavimento, diventerà un teschio come quello qui raffigurato!.

Il teschio si vede solo osservando il dipinto da destra verso sinistra, con una piccola inclinazione, con il dipinto messo quasi di profilo….

L’opera è del 1533 e rappresenta i due ambasciatori francesi Jean de Dinterville, signore di Polisy (1504 – 1565), e Georges de Selve, vescovo di Lavour (1509 – 1542), davanti a un tavolo, o scaffale, coperto da una tela orientale. Sul pavimento si vede il mosaico del presbiterio di Westminster, fatto eseguire per ordine di Enrico III nel 1268.

Il signore di Polisy, a sinistra, ha al collo le insegne dell’Ordine di Saint-Michel e sul pugnale che tiene nella mano destra è possibile leggere la sua età, ventinove anni.

Il vescovo di Latour ha ventiquattro anni, come si legge su un libro posto vicino al suo braccio destro.

Molti altri oggetti sono stati dipinti con cura da Holbein: strumenti astronomici, una meridiana, una squadra, un compasso, in liuto, L’arithmétiques des marchands di Petrus Apianus, pubblicato a Ingolstadt nel 1527 e, in onore del vescovo Georges de Selve, amante della musica, il Gesangbuchlein di Johann Walter, pubblicato a Wittemberg nel 1524, lasciato aperto sul corale di Martin Lutero.

Tutto normale, quindi.

Invece no! Quasi sospesa sul pavimento appare una strana “macchia”.

E’ l’inquietante “anamorfòsi” di un teschio, osservabile “normalmente” guardando il dipinto, molto da vicino, dall’alto verso sinistra, con gli occhi all’altezza della mano sinistra del vescovo.

Individuare in una pittura “anamorfica” l’oggetto “nascosto” dall’artista non è sempre facile. Innanzitutto bisogna avere quella sensibilità visiva che permette all’osservatore di “percepire” la presenza di “qualcosa” di anomalo. Poi, una volta individuata l’anomalia, l’anamorfosi, bisogna trovare l’esatto punto di osservazione, altrimenti è praticamente impossibile “decrittare” il “messaggio” inserito dall’artista.

A meno che non vengano forniti, ad arte, utili “indizi” o “suggerimenti” inconsci.

Sopra, il dottor  Roberto Volterri durante un semplice esperimento di “Anamorfosi cilindrica” effettuato nel laboratorio dell’Università, qualche anno fa. L’immagine da visualizzare compare solo utilizzando uno specchio cilindrico posto al centro dell’immagine deformata, come, ad esempio, quella sotto..

“Messaggi esoterici” nelle pitture anamorfiche?

È  infatti abbastanza probabile che il dipinto di Holbein fosse collocato da Jean de Dinterville, nel suo castello di Polisy, in una grande sala, con un ingresso principale e una porta secondaria: proprio accanto ad essa, alla sua destra, il quadro potrebbe essere stato appeso, quasi a filo del pavimento, quasi fosse una sua continuazione, in una sorta di strano trompe-l’oleil.

Immaginiamo ora un visitatore che entrasse dalla porta principale: dapprima avrebbe visto i due Ambasciatori, nei loro sontuosi abiti, come se avessero voluto accoglierlo e rendergli omaggio; poi sarebbe rimasto turbato dallo strano oggetto, dall’inquietante “macchia” ai loro piedi. Egli, quindi, sarebbe avanzato per osservarla più da vicino, ma essa avrebbe mantenuto il suo “segreto”.

Sconcertato e irritato dal non poter avere individuato in cosa consistesse l’oggetto deforme che sembrava sfidare la sua ragione, egli si sarebbe accinto ad uscire dalla porta secondaria, non prima, però, di aver dato un fugace sguardo di sfida al “mistero” racchiuso nel dipinto.

Ed ecco, all’improvviso, egli avrebbe “visto” la figura nascosta, mentre quasi sarebbe scomparsa la scena principale, i due Ambasciatori, la sontuosità dei loro vestiti, tutti i vari oggetti palesemente dipinti dall’artista.

All’opulenza del mondo materiale si sarebbe sostituito in un attimo – soltanto per chi avesse saputo “vedere” – un simbolo nato dal “nulla” e del “nulla” simbolo: il Teschio!

La scena che abbiamo immaginata – del tutto probabile – avrebbe così potuto avere una precisa valenza simbolica, un “messaggio” sulla caducità delle cose terrene.

Ma, forse, non solo…

Settecentesca anamorfosi in cui dei satiri osservano meravigliati, su uno specchio cilindrico, l’immagine di un elefante del tutto invisibile sul piano del tavolo.

In conclusione, non riterrei del tutto improbabile che in altri dipinti – soprattutto se eseguiti da artisti in qualche modo legati al mondo dell’esoterismo, della ricerca “sapienziale”, della ricerca alchemica – siano nascosti messaggi “anamorfici”, individuabili solo se consapevoli dell’appartenenza dell’artista a una cerchia iniziatica, ma  solo nel caso si riesca ad individuare l’esatto punto di osservazione.

Punto da cui potrebbe “emergere”, come dal nulla, un altro criptico ma preciso “messaggio”.

Ecco un’altra stimolante “sfida” per i lettori de “La Zona Morta”…

Roberto Volterri

BIOLOGIA DELL’IMPOSSIBILE, pubblicato per i tipi di Eremon Edizioni, vi accompagnerà in una lunga, interessante, a volte incredibile visita tra le infinite stanze che compongono un virtuale laboratorio del Dr. Victor Frankenstein. Osserverete da vicino qualche esperimento realmente effettuato da medici ai confini tra una geniale follia e il desiderio di far progredire le tecniche dei trapianti. Inoltre vi introdurrete di soppiatto nei laboratori del Dr. Voronoff e vedrete ciò che sperimentava in una villa al confine tra la Liguria e la Francia per donare all’Uomo l’Immortalità. Constaterete come la Natura sia a volte ben più Matrigna che Madre poiché mette al mondo poveri infelici affetti da ogni sorta di anomalie morfologiche. Draghi, mostri veri, finti ed immaginari – forse anche “Vampiri” – vi faranno compagnia per qualche Capitolo mentre vi avvicinerete alla parte più “preoccupante” del libro: le Appendici Sperimentali in cui imparerete a realizzare qualche semplice esperimento che vi introdurrà, embrionalmente, nel misterioso mondo dove si aggirarono Luigi Galvani, Giovanni Aldini, Sergej Voronoff, Ulisse Aldrovandi, Konrad Dippel, Raimondo Di Sangro e vari altri folli ingegni che osarono affacciarsi su un mondo strano, affascinante, a volte… inesistente.