LA NUVOLA DEL DEMONIO – UN INQUIETANTE, DIABOLICO, VOLTO IN UN DIPINTO DI GIOTTO NELLA BASILICA SUPERIORE DI ASSISI

Basilica Superiore di Assisi. Anno del Signore 2011

In anni recenti, la medievalista Chiara Frugoni – che ho avuto il piacere di conoscere – nella ventesima scena di affreschi di Giotto, intitolato Morte e Ascensione di San Francesco scopre uno strano, inquietante, viso con un ghigno che ha un qualcosa di “demoniaco”.

Nell’opera, i confratelli del Poverello di Assisi appaiono disperati accanto al corpo di Francesco mentre altri religiosi – caratterizzati dalle vesti bianche – sono intenti a celebrare il funerale. Nell’alto dei cieli gli angeli sorreggono un clipeus – in origine inteso come un grande scudo, successivamente come un’immagine inscritta in una forma rotondeggiante – in cui è raffigurato il Santo che già si trova in Paradiso.

“Morte e Ascensione di San Francesco”, ventesimo affresco attribuito a Giotto, visibile nella Basilica Superiore di Assisi.

Osservando con estrema attenzione la struttura delle nuvole nella parte destra dell’affresco, accanto all’angelo, la nota medievalista specializzata nell’interpretazione iconologica dei dipinti, ha notato un particolare che era sfuggito a milioni di persone negli ultimo otto secoli: infatti fa “bella” mostra di se il profilo di un arcigno Diavolo con tanto di corna di colore nero, un ghigno beffardo, e ben poco rassicurante, e un naso adunco.

In alto, indicato dalla freccia rossa e, ancora più ingrandito, in basso il demoniaco profilo individuato dalla medievalista Chiara Frugoni in un affresco giottesco.

La scena attribuita a Giotto o alla sua Scuola è considerata una tra le più importanti dell’intero ciclo ed è stata anche una tra le più impegnative.

I pittori del cantiere che otto secoli fa, tra il 1290 e il 1295, intraprendono la quasi titanica impresa di raffigurare in ben ventotto affreschi altrettanti episodi riferiti alla vita, ai miracoli e alla morte di Giovanni di Pietro Bernardone (1181 oppure 1182- 1226) – che oggi tutti noi conosciamo come San Francesco – si applicano diuturnamente durante oltre due mesi di intenso per completarla.

quant’esser può di nuvol tenebrata…
(Dante, Purgatorio, XVI, v.3)

Inserire quel volto diabolico tra le nuvole è stata una sorta di impertinenza dell’artista che completò l’affresco, forse alludendo a un confratello oppure a un committente l’opera? Così ipotizzerebbe infatti il capo dei restauratori della Basilica, Sergio Fusetti, secondo il quale ciò che Chiara Frugoni ha scoperto è di sicuro una “…novità iconografica, ma il demone non sembra entrare nella scena vera e propria, altrimenti sarebbe stato evidenziato con più visibilità. Forse è stato un dispetto dell’artista nei confronti di qualcuno o forse un suo divertimento…”.

Oppure, come sostiene la stessa Chiara Frugoni “…Nel Medioevo si credeva che anche nel cielo abitassero i demoni che ostacolavano la salita delle anime: è un significato ancora da approfondire, ma che sembra destinato a dare buoni frutti…”.

“Nel Medioevo – continua in un altro commento la medievalista – si credeva che il diavolo, essenza spirituale, per potersi mostrare agli uomini prendesse forma dal vapore acqua e dall’aria, nelle nuvole ove abitava e da cui scatenava spesso tempeste… A Solto – ella continua nei sui commenti e ricordi – quando ero bambina, all’arrivo dei temporali, mia nonna mi mandava a fare il giro della casa con l’ulivo benedetto, per cacciare i diavoli “che non mandassero la grandine” e intanto la chiesa suonava le campane…”.

Non appena Chiara Frugoni, forte della sua lunghissima preparazione nel campo dell’iconologia – branca della storia dell’arte che ricerca la spiegazione delle immagini, delle figure allegoriche e dei simboli – individua il “diabolico” volto seminascosto tra le nuvole, comunica subito la scoperta a padre Giuseppe Piemontese, Custode del Sacro Convento di Assisi, e al direttore della Sala Stampa, padre Enzo Fortunato.

Da quel momento in poi la notizia è stata ampiamente diffusa sul web e sui vari mezzi di stampa poiché, indubbiamente, la scoperta effettuata dalla professoressa Frugoni è estremamente interessante dal punto di vista degli aspetti legati alla diffusione delle vicende legate al Poverello di Assisi, ma appare anche di rilevante importanza dal punto di vista della Storia dell’Arte.

Io vidi già cavalier muover campo…
(Dante, Inferno, XII, V. 1)

Fino alla scoperta del viso del Principe delle Tenebre nell’affresco di scuola giottesca, si sapeva soltanto che il primo artista ad aver inserito dei “messaggi”, delle figure, nelle nuvole raffigurate nei dipinti, era stato Andrea Mantegna (1431 – 1506) con la sua tempera su tavola Martirio di San Sebastiano, databile al 1460 circa e conservata  presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Nelle due immagini, particolari del “ Martirio di San Sebastiano” di Andrea Mantegna. In alto, a sinistra, si vede chiaramente un cavaliere che emerge dalle nuvole.

In alto, a sinistra della colonna in rovina di un monumento romano dove il Santo è legato e trafitto dalle frecce del martirio conficcate in profondità nel suo corpo, si vede abbastanza chiaramente un cavaliere – forse uno dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse? – che emerge dalle nuvole.

L’aver scoperto il volto demoniaco nell’affresco di Assisi consente quindi di retrodatare di circa due secoli l’idea di introdurre tali criptici “messaggi” nei dipinti, nelle opere d’arte in genere.

Bisognerà però attendere il Rinascimento per scoprire l’Anamorfosi, ovvero un’illusione ottica che rende percepibile un particolare del dipinto solo se esso viene osservato da un ben preciso angolo visuale.

“Gli Ambasciatori”, dipinto che risale al 1533 di Hans Holbein il Giovane (1497-1543), conservato alla National Gallery di Londra. Osservando da destra, dall’alto, il dipinto, la “macchia” in basso si trasforma… nel teschio del particolare a destra.

Molti pittori si avvalsero di tale tecnica per nascondere “messaggi” visivi come, ad esempio, fece Leonardo da Vinci, forse tra i primi artisti a ricorrere a tale inusuale mezzo, oppure Hans Holbein il Giovane il quale “nascose” nella sua opera Gli Ambasciatori – del 1533, ora presso la National Gallery di Londra – l’immagine di un teschio che è visibile soltanto osservando il dipinto da destra con gli occhi molto vicini al piano del quadro. Ma questo è tutt’altro argomento di ricerca e, per i lettori de La Zona Morta, ci torneremo in un prossimo futuro…

Roberto Volterri

BIOLOGIA DELL’IMPOSSIBILE, pubblicato per i tipi di Eremon Edizioni, vi accompagnerà in una lunga, interessante, a volte incredibile visita tra le infinite stanze che compongono un virtuale laboratorio del Dr. Victor Frankenstein. Osserverete da vicino qualche esperimento realmente effettuato da medici ai confini tra una geniale follia e il desiderio di far progredire le tecniche dei trapianti. Inoltre vi introdurrete di soppiatto nei laboratori del Dr. Voronoff e vedrete ciò che sperimentava in una villa al confine tra la Liguria e la Francia per donare all’Uomo l’Immortalità. Constaterete come la Natura sia a volte ben più Matrigna che Madre poiché mette al mondo poveri infelici affetti da ogni sorta di anomalie morfologiche. Draghi, mostri veri, finti ed immaginari – forse anche “Vampiri” – vi faranno compagnia per qualche Capitolo mentre vi avvicinerete alla parte più “preoccupante” del libro: le Appendici Sperimentali in cui imparerete a realizzare qualche semplice esperimento che vi introdurrà, embrionalmente, nel misterioso mondo dove si aggirarono Luigi Galvani, Giovanni Aldini, Sergej Voronoff, Ulisse Aldrovandi, Konrad Dippel, Raimondo Di Sangro e vari altri folli ingegni che osarono affacciarsi su un mondo strano, affascinante, a volte… inesistente.