THOMAS… GLI INDEMONIATI

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: Thomas… gli indemoniati

Anno: 1969

Regia: Pupi Avati

Soggetto: Pupi Avati, Giorgio Celli e Antonio Avati

Sceneggiatura: Giorgio Celli, Enzo Leonardo e Pupi Avati

Direttore della fotografia: Toni Secchi

Montaggio: Enzo Micarelli

Musica: Amedeo Tommasi

Effetti speciali: Gianni Amadei e Alfonso Cioffi

Produzione: Gianni Amadei

Origine: Italia

Durata: 1h e 38’

CAST

Edmund Purdom, Anita Sanders, Bob Tonelli, Giulio Pizzirani, Gianni Cavina, Mariangela Melato, Graziano Giusti, Andrea Matteuzzi, Lola Bonora, Ines Ciaschetti, Daniele Samory, Pina Borione, Gino Cassani, Fanny Bertelli, Torivio Travaglini, Vincenzo Busi, Gilberto Fiorini, Claudio Trionfi

TRAMA

Una sconclusionata compagnia teatrale sta inscenando una commedia il cui protagonista è un inesistente bambino di nome Thomas che una donna crede di avere avuto. Uno strano personaggio invita gli attori a prender parte a una seduta spiritica per sapere come andrà lo spettacolo. Al termine di questa, appare un bambino che viene battezzato proprio Thomas. Tutti vogliono averlo e decidono di passare a turno una giornata con lui ad attendere che faccia la sua scelta. Durante il viaggio in treno verso il paese in cui si dovrà svolgere la commedia, un ex-attore afferma di essere l’unico superstite di una compagnia che durante una prima, in quella stessa località, è stata massacrata dal pubblico inferocito. In effetti il giorno dello spettacolo il pubblico, già prima dell’inizio, assalta l’enorme serranda posta a difesa del palco. La commedia però inizia con la protagonista e Thomas che improvvisano ricordando momenti della loro vita. Il finale mette in dubbio che tutto ciò che abbiamo visto fosse reale.

NOTE

Thomas è un film di impossibile classificazione, soprattutto non è cinema di genere, certamente non è una pellicola horror come molti – che non l’hanno vista – la definiscono, limitandone significati e significanti. Cinema fantastico, certo, surreale, a tratti pure psicologico, parapsicologico e introspettivo. Cinema sessantottino, debitore di una cultura  superata dal tempo e dalla storia, scritto per stupire, per sconvolgere e coinvolgere emotivamente lo spettatore. Avati dispone di un buon budget grazie al suo misterioso finanziatore; lo impiega per scritturare come protagonisti l’hollywoodiano Purdom e la Sanders dello sconvolgente Nerosubianco (19688) di Tinto Brass, altro film debitore della cultura sessantottina. Non manca quello che diventerà il tipico cast di Avati: Cavina, Tonelli (miglior attore non protagonista a Locarno), Pizzirani, Ciaschetti, Matteuzzi (un folle e allucinato uomo del treno), Bonora…Thomas è il piccolo Samory, spontaneo e diretto, adeguato al silenzioso ruolo. Giusti è il medium che evoca il bambino e dimostra tutte le sue doti teatrali, come è molto brava la debuttante Melato in un suggestivo ruolo onirico. Pizzirani si occupa del casting, è lui che presenta Mariangela ad Avati, che per quel ruolo avrebbe preferito una bionda longilinea. Il regista in un primo tempo si mostra poco soddisfatto di quella mora milanese dallo sguardo intenso, ma cambia idea quando la sente recitare: “Sono al mio secondo film, ed è la prima volta che avverto che ciò che ho scritto, restituito da un’attrice vera, improvvisamente si trasforma in gemme preziose”, scrive nella sua autobiografia (La grande invenzione, Rizzoli 2013).

Il film racconta le vicissitudini di una compagnia teatrale che sta mettendo in scena una nuova commedia. Protagonista è Thomas, un bambino immaginario, una sorta di Godot di beckettiana memoria, figlio mai avuto (ma desiderato) di Giorgia (Sanders) e Marcus (Purdom). A un certo punto un medium evoca Thomas, che appena arrivato dovrà trascorrere un’intera giornata insieme a ogni personaggio per metterne a nudo la vera essenza. Una simile trama si sviluppa alternando realtà e fantasia, confondendo i due piani della rappresentazione teatrale e della finzione filmica. Il film si sviluppa secondo sentieri onirici, partendo da un viaggio in treno verso la città dove si svolgerà la prima, passando per l’incontro con un folle individuo sceso da un albero, mettendo in primo piano i timori della compagnia per la presunta ferocia di un pubblico che li attende al varco. Ricordiamo tra le sequenze più sessantottine la surreale lezione di sesso tenuta da Bob Tonelli all’Università (il bacio come atto sadico, la violenza nel fare l’amore…) e la parte in cui si mostra un pubblico inferocito che assedia il palco protetto da una serranda. Il limite della pellicola sono i dialoghi troppo teatrali e un testo molto letterario, anche se da un certo punto di vista proprio certi difetti possono essere visti ancora oggi come elementi di fascino e di sicuro interesse. Avati subisce l’influenza dell’estetica sessantottina e di molti registi che venera come maestri. “Thomas è un film che non riesco ad amare, non avverto neppure la necessità di rivederlo. Produsse in me molti rammarichi, è legato a cose molto negative, anche della mia vicenda familiare. È un film con il quale io credo di aver risolto tutti i miei conti”, confida Avati.

Thomas è un film ambizioso quanto velleitario, pieno di simboli e di metafore, spesso poco comprensibili, per fortuna distante anni luce dal cinema che Avati deciderà di realizzare. Opera criptica e irrisolta, datata e incomprensibile per chi non abbia dimestichezza con la temperie culturale sprigionata dalle suggestioni sessantottine. Un film dal tono onirico – fantastico, sospeso tra realtà e sogno, con il merito di aver introdotto innovazioni visive sconcertanti ed elementi surreali che colpiscono e disorientano. L’opera è pervasa dalla colonna sonora intensa di Tommasi, a metà strada tra il jazz e il pop, senza dimenticare la musica d’atmosfera tenebrosa e inquietante. Tecnica di regia che si sviluppa per gradi, tra dissolvenze fantastiche e primi piani di particolari degli occhi e dei volti, con musica sepolcrale che sottolinea sequenze fantastiche. Abbiamo – come in Dario Argento e Mario Bava – le nenie infantili e le filastrocche per bambini impiegate in funzione horror; ricordiamo un telefono che suona senza sapere chi stia all’altro capo del filo, ma anche la sospensione dell’azione, a tratti spaventosa e inquietante. Molte trovate vengono scritte solo per stupire, dal pazzo che attende il treno sopra l’albero, alla fermata surreale in campagna, fino alla nebbia soffusa che conduce in una dimensione sognante. Molto ben fatta la metafora del personaggio vampiro che succhia la vita dell’attore fino a diventare una cosa sola con il ruolo interpretato. Da  ricordare l’ospedale – ricovero per vecchie attrici in attesa di morire, dove qualcuna è morta ma nessuno si ricorda e ci si rende conto solo per caso della scomparsa. Una fotografia giallo ocra del diligente Secchi conferisce alla narrazione un tono onirico e psichedelico per raccontare la storia di un amore segnato dalla mancanza di un figlio. Realtà e fantasia si intersecano, perché in quel periodo nasce Tommaso, il secondo figlio di Avati. Prodotto da Cidierre Cinematografica di G. Avati & C., Thomas… gli indemoniati viene presentato in commissione censura il 9 settembre 1970, ottiene il visto il 6 novembre dello stesso anno, dopo una buona accoglienza al Festival di Locarno, con Bob Tonelli premio Stefen per il miglior attore non protagonista. Thomas ha un destino persino peggiore di Balsamus perché non viene distribuito in sala per colpa del fallimento del distributore regionale che l’ha opzionato. Il film rimane in circolazione – si fa per dire – con due sole copie, la prima conservata alla Cineteca Nazionale di Roma e la seconda al Centro Cinema Città di Cesena. Resta nell’oblio fino agli anni Novanta, quando comincia un momento di riscoperta e di rivalutazione del cinema di genere italiano, viene riproposto nei festival e in alcune retrospettive. Ancora inedito – come Balsamus – sul mercato Home Video, il solo modo per farsene un’idea è il mercato dei collezionisti, se non si decide di scaricare una pessima copia da internet.

Gordiano Lupi

(tratto dal libro Tutto Avati di Gordiano Lupi e Michele Bergantin – Edizioni Il Foglio, 2012)