SERGIO MARTINO, UN REGISTA DI GENERE 04

Il lacrima movie secondo Martino

Il lacrima movie è un genere che prende campo in Italia nei primi anni Settanta, ma in questa definizione non va compresa qualsiasi pellicola struggente, patetica o strappalacrime. Serve qualcosa di più, occorre la morte di un protagonista, magari in conseguenza di un incidente, di una malattia, di un evento tragico che fa precipitare la situazione verso un finale lacrimoso. Un film manifesto del genere è L’ultima neve di primavera di Raimondo Del Balzo (1973), ma come celebre antecedente d’autore dobbiamo citare Incompreso di Luigi Comencini (1966). In ogni caso tutto comincia con Love Story di Erich Segal (1970), un successo internazionale che anticipa le tematiche del nostro cinema lacrimoso, come non va dimenticato il precedente L’albero di Natale di Terence Young (1969).

In Italia Raimondo Del Balzo si fa portavoce del genere con L’ultima neve di primavera (1973), ma di Mario Gariazzo non si dimentica Il venditore di palloncini (1974). Altri titoli interessanti sono: L’albero dalle foglie rosa di Armando Nannuzzi (1974), Bianchi cavalli d’agosto di Raimondo Del Balzo (1974), L’ultimo sapore dell’aria di Ruggero Deodato (1977), Stringimi forte papà di Michele Massimo Tarantini (1978), Questo sì che è amore di Filippo Ottoni (1978), Cuore di Romano Scavolini (1973) e Dedicato a una stella di Luigi Cozzi (1976). L’elenco non è esaustivo, perché il genere imperversa in Italia durante gli anni Settanta.

Raimondo Del Balzo è il primo a cominciare e l’ultimo ad abbandonare il lacrima movie, nel 1988, con un tardo prodotto come Le prime foglie d’autunno. Per un inquadramento storico del genere dobbiamo tenere presente il decennio 1970 – 1980 che vede l’affermarsi di una ben precisa tipologia di pellicola. Non vanno considerati lacrima movies i melodrammi anni Cinquanta, le sceneggiate di Mario Merola e Nino D’Angelo, ma neppure le pellicole tratte dai romanzi di Carolina Invernizio, realizzate nel periodo 1973 – 75, come Il bacio di una morta di Carlo Infascelli e Sepolta viva di Aldo Lado.

Luigi Comencini realizza in Italia il primo esperimento di lacrima movie adattando per il cinema il commovente Incompreso che presenta tutte le caratteristiche del genere. Il lacrima movie italiano è cinema con una ben precisa identità, che si fa apprezzare per cura formale nella realizzazione delle pellicole, grande attenzione al commento musicale, fotografia suggestiva e soggetti patetici ma interessanti. I nostri lacrima movies sono formalmente perfetti e difficilmente incontriamo sottoprodotti inguardabili. Le uniche eccezioni sono rappresentate da alcune pellicole tratte da canzoni di Domenico Modugno come Piange il telefono di Lucio De Caro (1975) e Il maestro violino di Giovanni Fago (1976), ma in questi casi non siamo di fronte a veri lacrima movies, ma a drammi sentimentali costruiti su testi di canzoni in voga.

Il vero genere patetico a base di morti strappalacrime dopo incidenti e malattie annovera alcune pellicole così ben fatte da vincere la sfida del tempo. Basti pensare allo splendido Dedicato a una stella di Luigi Cozzi interpretato da Pamela Villoresi e da Richard Johnson, senza dimenticare L’ultima neve di primavera di Raimondo Del Balzo e L’ultimo sapore dell’aria di Ruggero Deodato.

Sergio Martino non poteva evitare di cimentarsi con un genere interessante come il lacrima movie e anche lui consegna alla storia della cinematografia popolare un ottimo prodotto come La bellissima estate (1974). La pellicola è scritta e sceneggiata dal regista con la collaborazione di Sauro Scovolini, mentre Giancarlo Ferrando realizza un’ottima fotografia a base di tramonti e suggestive riprese marine. Il montaggio di Daniele Alabiso è abbastanza rapido e rende il film scorrevole, mentre le suggestive scenografie sono curate da Francesco Calabrese. La musica di Alberto Pomeranz sottolinea con forza i momenti topici del dramma, accompagna la storia e la rende palpitante, secondo i canoni di un buon lacrima movie. Produce la pellicola Luciano Martino per Dania Film e distribuisce niente meno che Medusa, visto che il genere funziona bene sia in Italia che all’estero.

In questo periodo il mercato cinematografico orientale compra i lacrima movies italiani e si narra che in Giappone e in Corea si vendano biglietti con allegati fazzoletti per piangere. In Italia non si arrivava a tanto, ma l’indice di gradimento del pubblico, soprattutto femminile, viene sempre misurato secondo la quantità di lacrime versate.

Gli interpreti de La bellissima estate sono: Senta Berger, John Richardson, Alessandro Cocco, Lino Toffolo, Duilio Crociani, Renzo Marignano, Caterina Boratto, Mario Erpichino, Sabina Gaddi, Bizio Montinaro, Bernardo Toccacieli, Carla Mancini e Lorenzo Piani.

La trama narra una storia patetica con protagonista un bambino (Alessandro Cocco) al quale viene taciuta dalla madre (Senta Berger) la morte del padre (John Richardson) avvenuta durante una gara automobilistica. La mamma prolunga le vacanze al mare sulla costa tirrenica e iscrive il figlio Gianluca alla scuola elementare di Rosignano Solvay per non tornare a Milano. Festeggia il suo compleanno come se niente fosse, dice al figlio che quella stagione non dovrà mai finire perché è stata “una bellissima estate”. Il bambino non si rassegna, sente la mancanza del padre e lo ricorda in numerosi flashback che il regista rende al meglio utilizzando una fotografia flou. La mamma continua a dire che il babbo si trova in America per lavoro e intanto frequenta un misterioso architetto. Gianluca diventa amico di Olga (Sabina Gaddi), nipotina di una contessa snob (Caterina Boratto) che insinua il dubbio su una possibile separazione. Il bambino ricorda le liti per gelosia dei genitori, ma anche il padre che gareggia su pista e il patto segreto di non dire niente alla madre. Gianluca proviene da una famiglia benestante e a scuola combatte contro la diffidenza dei figli degli operai di Rosignano che lo accolgono con battute livornesi tipo: “Dhe, guarda chi arriva… il Cacini?”, che indicano un buon lavoro di documentazione linguistica svolto da regista e sceneggiatore. Una poesia di Rodari sull’odore delle cose e delle persone fa pronunciare a un compagno la battuta: “Di cosa puzzano i milionari?”. Gianluca si fa accettare quando dimostra di sapersi battere per difendere il proprio onore e soprattutto di non essere uno che fa la spia. Per questo motivo proprio Marco (Duilio Crociati), che lo sfotteva sempre, diventa il suo miglior amico. Gianluca conosce il Barone Rosso (Lino Toffolo), un singolare personaggio che vive in una baracca sul mare e racconta di aver fatto l’aviatore con Gabriele D’Annunzio. Gianluca, Marco e il Barone Rosso si procurano i soldi per andare a Milano, dove il bambino scopre la triste verità da una donna che lavora nella ditta del padre.

Questa parte tragica che rivela un elemento importante nell’economia della storia è preceduta da alcuni intermezzi comici di Lino Toffolo che allentano la tensione. Prima vediamo il macinino scassato con cui vorrebbe portare i ragazzi a Milano che perde pezzi e infine si comprende che il Barone Rosso non ha mai volato in vita sua perché ha paura di prendere l’aereo. Il padre è morto in un incidente automobilistico e la madre confida a Gianluca che lei non avrebbe mai voluto che corresse, ma quella era la sua passione e lui non poteva farne a meno. Gianluca sa tutto perché andava a vederlo correre e quella cosa gli faceva vedere il padre come un eroe. Madre e figlio leggono insieme l’ultima lettera giunta dall’America dove il padre dice che vorrebbe tornare in quel posto assieme al figlio per vedere le praterie sconfinate e i tramonti. Gianluca decide di restare a Rosignano insieme alla madre, perché a scuola ha trovato dei veri amici che gli fanno dimenticare la triste esperienza.

Sono molto ben girate le parti scolastiche dove il regista fa vedere il clima di complicità che si viene a creare tra i ragazzi. Gianluca è molto amico di Marco e passa le giornate in sua compagnia nella grande villa affacciata sulle scogliere di Castiglioncello. Il terribile finale viene preparato da una serie di bozzetti che illustrano la vita quotidiana, passeggiate sul mare e corse a perdifiato per i viali alberati della villa. Tutto è in sintonia con la poetica di un lacrima movie. L’autista (Renzo Marignano) aiuta i ragazzi a costruire un automobile di legno come quelle che andavano di gran moda tra i ragazzini degli anni Settanta. Gianluca vede il volto del padre come in un sogno e decide di imitarlo per diventare un campione. Per questo si lancia senza valutare il rischio su una pericolosa strada in discesa, l’amico vorrebbe fermarlo, ma non ci riesce e il ragazzo viene travolto da un auto. Le ultime sequenze mostrano Gianluca immobile su un letto di ospedale, il medico confida che non c’è niente da fare, la madre piange e lui chiede perdono, ma è felice perché sa che rivedrà suo padre. Il finale è ben fotografato, alterna tramonti rossi sul mare, voli di gabbiani e dissolvenze con il padre che prende per mano il figlio. “La mamma non può venire con noi” dice. Il film termina con la madre disperata alla finestra e i compagni di scuola che abbandonano in lacrime il parco dell’ospedale dove attendevano un’impossibile guarigione. La parte finale è un po’ troppo carica e la pellicola sarebbe potuta finire poche sequenze prima, evitando alcuni appesantimenti.

Il film è ottimo, scorre con rapidità e si fa ancora apprezzare per una trama fresca, dialoghi brillanti, sceneggiatura sempre all’altezza e recitazione credibile. Senta Berger è molto brava a interpretare una madre contesa tra l’amore per il figlio, il ricordo del marito e un nuovo spasimante che la corteggia. Lino Toffolo è un esperto attore di cabaret che contribuisce a sdrammatizzare le parti più patetiche e lacrimevoli della storia. I bambini sono tutti molto bravi, sia il piccolo protagonista, Alessandro Cocco, che i due comprimari Duilio Crociani e Sabina Gaddi. È tutto merito del regista, perché non è facile far recitare in modo credibile degli attori in erba. John Richardson si vede soltanto in pochi flashback e non è molto impegnato, ma se la cava con disinvoltura.

La colonna sonora sottolinea i momenti cruciali della storia e fa parte del film in tutto e per tutto. Si tratta di una musica suadente e romantica che non risulta mai invadente ed eccessiva, ma accompagna lo spettatore lungo la visione degli eventi drammatici. L’ambientazione sul litorale tirrenico è perfetta, sia quando l’azione si svolge a Rosignano Solvay, che nella villa sulle scogliere di Castiglioncello. Alcune scene ritraggono anche la Venezia di Livorno tra i fossi della città lasciati in uno stato di abbandono tipico dei primi anni Settanta. Un bel documento storico che fotografa la vita di un paese formato soprattutto da famiglie di operai che lavorano nel grande stabilimento chimico. Sono molto suggestive anche le inquadrature sul lungomare renoso delle Spiagge Bianche di Vada, finto paradiso tropicale prodotto dai residui chimici della Solvay. Sono ottime le parti oniriche e le dissolvenze con il bambino che ricorda il padre e il tempo passato insieme prima della sua scomparsa. Ben girata anche la sequenza dell’incidente in cui perde la vita il bambino, la vera parte drammatica del lacrima movie che prelude alla scena madre stereotipata sul letto d’ospedale.

Marco Giusti racconta il film per sentito dire nel suo Stracult e come spesso accade non è attendibile sulla trama. Secondo il critico romano “il bambino sospetta che il padre è morto e lo confida a un misterioso amico invisibile – angelo che chiama Barone Rosso”. In quale film? Non solo: “Quando scopre la verità prende una macchina e si uccide esattamente come è morto il padre”. Errare è umano ma perseverare è diabolico.

Gli altri Dizionari di cinema non citano neppure una pellicola che invece merita rispetto e considerazione. Per fortuna la rivista Nocturno Cinema gli dedica una bella recensione a firma Antonio Guastella nell’indispensabile Dossier “Preparate i fazzoletti – guida al lacrima movie”. Riscontro una sola inesattezza nel bel commento di Guastella, perché l’azione non si volge in Versilia come lui afferma, ma sul litorale tirrenico. Riconosco che sono avvantaggiato perché il film è girato dalle parti di casa mia e non è difficile accorgersi che la scuola elementare di Gianluca si chiama Ernesto Solvay. Il lungomare tra Livorno e Rosignano non si può confondere con la Versilia, perché le scogliere di Castiglioncello e le Spiagge Bianche di Vada sono una zona di pineta e mare unica in Toscana. Il commento di Guastella è preciso e puntuale sulla trama e anche certi giudizi risultano condivisibili. “La bellissima estate è di grande impatto emotivo, con una grandiosa capacità di cogliere l’identificazione da parte dei bambini… inframezzata da due tonalità espressive fondamentali, quella sognante – idilliaca dei flashback e quella catastrofico – intristente del tempo primario del film…”. Condivido meno la definizione di horror sentimentale che Guastella affibbia a una pellicola essenzialmente lirica, struggente e patetica, ma non certo terrificante. Secondo il critico di Nocturno Cinema i motivi dell’horror sentimentale andrebbero ricercati “nell’obliquità del viso di Cocco” che farebbe scorgere “l’ombra medusea di una predestinazione demoniaca”. Mi pare eccessivo.

La bellissima estate rappresenta la sola incursione di Sergio Martino nel lacrima movie e conferma l’estrema versatilità di un regista che ha esperimentato con successo tutti i generi del nostro cinema popolare.

(4 – continua)

Gordiano Lupi