IL MOSTRO DI FIRENZE E “LA STRATEGIA ALCHEMICA DELLA TENSIONE”

Mercoledì 26 giugno 2017 il quotidiano la Nazione apre la prima pagina con una notizia che riporta all’attenzione il caso del mostro di Firenze e la storia delle otto coppiette trucidate nel capoluogo toscano. Il giornalista che segue il caso scrive un pezzo molto suggestivo, capace di riassumere bene le nuove piste investigative. Non starò qui a fare nomi e cognomi, non sono un criminologo, inoltre non voglio amplificare l’attenzione mediatica su persone che poi, e non sarebbe la prima volta in questa infinita vicenda, potrebbero risultare completamente estranee. In sintesi, si parla di un ex legionario di 86 anni del Mugello legato ad ambienti dell’estrema destra e dei servizi segreti. Le nuove indagini, condotte prima dello scoop de la Nazione in gran segreto dall’ostinato procuratore Paolo Canessa, aprono uno scorcio inedito, finora mai ipotizzato o quasi. E se i delitti del mostro, anziché avere una matrice psicologica e sadica, avessero altro movente? Quale? Delitti studiati a tavolino per distrarre magistrati e opinione pubblica da ciò che accadeva nell’Italia della strategia della tensione. Il giornalista accosta i delitti ad alcuni episodi storici accaduti durante gli anni ’70 e ’80. Eccoli: il 4 agosto del ’74 esplode la bomba sull’Italicus e il 14 settembre il mostro uccide a Sagginale Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. Il 6 giugno dell’81 vengono massacrati a Mosciano Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi e nel medesimo periodo imperversa lo scandalo della loggia P2 legata alla figura di Licio Gelli, senza dimenticare l’eco mai sopito della bomba a Bologna dell’estate precedente. Il 23 ottobre sempre dell’81, il giorno successivo all’uccisione di Susanna Cambi e Stefano Baldi, c’è uno sciopero generale. Il giorno prima che Antonella Migliorini e Paolo Mainardi morissero sotto i colpi della calibro 22 era stato ritrovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra il banchiere Roberto Calvi. Il 9 settembre dell’83 tocca alla coppia di gay tedeschi e il 10 agosto era evaso Licio Gelli dal carcere svizzero. Coincidenze? Suggestioni? Chi scrive, lo ripeto, non è un criminologo e nemmeno un complottista. Nel caso del mostro tuttavia è difficile non lasciarsi trascinare dalle correnti, affascinati da un qualcosa che già Filastò, in quel labirinto inesauribile di semi-fiction che è Storia delle merende infami, aveva presagito. Il caso del mostro è ormai diventato altro, non solo un truce fatto di cronaca. Nel mostro (e negli infiniti testi letterari che ne sono derivati, quasi tutti assolutisti, sicuri di possedere una chiave o la chiave dell’enigma) il cruento, l’iperbole, il mistero sono serviti ad alimentare un’informazione che dell’indeterminatezza ha fatto bandiera. L’indagine degli inquirenti, dei curiosi, di tutti noi è stata usata come gioco per divertire, per distrarci. La gente, ci ricorda Filastò, ama la distrazione. Il mostro è divenuto una fiction in cui il frastuono di voci, complotti, teorie, nuove piste investigative, ha causato un rimbombo che è equivalente al silenzio, un silenzio cosmico da cui non è più possibile cavare nulla.

Certo i nuovi articoli usciti sulla Nazione sono ricchi di spunti “narrativi” di non poco conto. Immaginare che quei delitti, dilatati in uno spazio temporale lungo 17 anni, siano serviti per depistare l’opinione pubblica di allora è difficile da credere, anche perché nella babele di accadimenti degli anni ’70, i delitti non ricoprono alcun ruolo, visto che fino all’81 nessuno si accorge del mostro e nell’81, ormai la strategia della tensione è finita.

Proviamo a lasciarci suggestionare. Non costa nulla. L’uomo attualmente attenzionato dagli inquirenti non è estraneo alle indagini. Il suo nome era già saltato fuori nell’85, ai tempi dell’ultimo delitto del mostro. Poi gli inquirenti di allora preferirono puntare sul cavallo di Pacciani e dei compagni di merende. A quanto si capisce questo anziano ex fascista di 86 anni riuscirebbe a tenere in piedi tutte le piste, tutte le ipotesi. Conosceva Pacciani, conosceva il clan dei sardi, inizialmente sospettato dei delitti. A casa di questo pensionato, durante una perquisizione avvenuta nell’94 (a causa di una denuncia di un vicino) erano stati trovati 180 proiettili Winchester serie H, gli stessi del mostro, fuori produzione, all’epoca, già da una dozzina d’anni. Nella precedente perquisizione dell’85, a casa dell’anziano legionario (arruolato nel 1952, 8 anni in Vietnam, poi a Marsiglia dove ha aperto un nightclub) gli investigatori trovarono articoli della Nazione sul delitto del ’74 e una pagina sulla strage dell’Italicus. Oggi il legionario sembra voler tirare in ballo il suo ex medico curante, un altro ultraottantenne mai entrato prima nelle indagini. Una figura silenziosa. Sconosciuta. Solo un nome negli elenchi della massoneria fiorentina. Ancora una volta l’ombra di certi potentati si allunga sopra gli omicidi delle coppiette trucidate. La scia di sangue e misteri sembra infinita e un odore di fossa aperta emana da questi nomi. Lotti, Vanni, Pacciani sono tutti morti, e con loro una serie di figure losche e inquietanti che si sono mosse ai margini della vicenda. Penso alle tante morti collaterali che hanno accompagnato la vicenda del mostro, o dei mostri. Nell’84 l’uccisione a coltellate di un pensionato di 69 anni, quasi certamente un guardone, vicino alle cave di Maiano. Lo scannano con 15 coltellate e su questo delitto non esistono indagati, non esiste l’ombra di un sospetto plausibile. Viene ammazzato a coltellate anche un altro guardone, un travestito e transessuale che bazzicava le Cascine. Nell’84 Paolo Riggio e Graziella Benedetti, due fidanzati, vengono uccisi sul greto del fiume Serchio a colpi di calibro 22. Siamo a Lucca e non a Firenze e mancano le orribili mutilazioni, tuttavia il duplice delitto rimane a tutt’oggi insoluto, senza neppure l’ombra di un sospettato. E che dire di Francesco Vinci, a lungo ritenuto il mostro, appartenente al clan dei sardi, attenzionato dai carabinieri e ritrovato incaprettato e carbonizzato nella sua auto, insieme al corpo del suo servo-pastore, in quel di Pisa nel 1993? O della fine analoga di Milva Malatesta, prostituta che si accompagnava col Vinci, anche lei bruciata nella sua auto col figlioletto nel mese di agosto del 1993? Sapevano qualcosa sui delitti? In Storia delle merende infami Nino Filastò riporta di una serie di brutali uccisioni ai danni di alcune prostitute fiorentine avvenute tra il 1982 – 1984: donne sole accoltellate e massacrate in varie parti del corpo, pube compreso. Quale strategia della tensione poteva perseguire l’assassino armato di coltello? E dov’è finita la famigerata Beretta cal. 22 long rifle modello 73/74 che ha compiuto tutti i delitti ai danni delle coppiette? Silenzio di tomba. Tanto tempo è passato ed è difficile che oggi, dopo anni, si possa ricostruire una verità definitiva. Chi scrive non ha mia creduto ai compagni di merende e non crede all’eco politico di queste nuove piste nere eversive. Il mostro come agente dei servizi segreti, incaricato di massacrare corpi per condizionare la vita politica del Paese? Un agente al servizio di Gladio, legato alle strategie americane per impedire con mezzi non ortodossi una vittoria elettorale del partito comunista italiano? La strategia della tensione fu questa cosa qui. E crebbe d’intensità, dagli abissi degli anni ’60, col primo tentativo abortito del Piano Solo – colpo di stato abbozzato all’interno dell’arma dei carabinieri – fino alla costruzione di una loggia massonica come la P2. I servizi segreti italiani di quegli anni ebbero gravissime responsabilità e la loro ombra è dietro a tanti atti neofascisti di allora, gruppi eversivi che si ispiravano alle teorie neonaziste del filosofo Julius Evola (riletto dal pensiero originale dell’editore/terrorista Franco Freda, il quale postulava una svolta dottrinaria che segnò il terrorismo nero della seconda metà degli anni ’70 e fece fermentare figure disumane come Valerio Fioravanti e Francesca Mambro; Freda immaginava una lotta totale contro lo Stato e contro il comunismo e la fine di una sorta di contiguità coi servizi segreti, ponendo come obiettivo finale la distruzione dello stato borghese e della proprietà privata, a favore di un ritorno a un ruralismo primitivo e irreale). Bisognava fermare un caso italiano unico nel mondo, un paese che per la prima volta, stava cercando di redistribuire la ricchezza, ridiscutere le norme e le condizioni di lavoro a vantaggio dei lavoratori e prevedere una spesa sociale equa e sostenibile. La bomba del 12 dicembre 1969 alla banca centrale di Milano fu il primo tentativo concreto di indebolire queste forze progressiste (non uso la parola “riforma”, che il governo Renzi mi ha reso indigesta). Quel 1969, oggi impensabile, segnò un conflitto sociale crescente che abbracciava ampie fasce sociali tra loro molto diverse come operai e studenti, uniti da rivendicazioni comuni. A contrastare quei fronti unitari seguirono altre stragi gravissime come quella del 28 maggio in Piazza della Loggia a Brescia e l’ordigno sul treno Italicus del 4 agosto 1974 in prossimità di Bologna, città spaccata dalla bomba che farà deflagrare nel 1980 le speranze di costruire un paese civile (e qui sorvolo le psicosi del golpe, fantasma politico che imperversa per tutti gli anni ’70, dall’incompiuto golpe Borghese del dicembre 1970). Possibile che in quel mucchio indescrivibile di movimenti eversivi si muovesse qualcuno che, coperto da alte complicità istituzionali, si divertiva a mutilare giovani donne? Lasciamo agli inquirenti le indagini. In fondo hanno più fantasia di qualunque scrittore. Come si leghi la pista nera eversiva ai compagni di merende e alla setta massonica che ordinava i feticci non saprei. Perché nell’impostazione delle indagini, la setta dei mandati rimane. Anche questa cosa affascina, e lo dico senza tener conto di qualunque buon senso. I complottisti si sfregherebbero le mani. Quel che posso immaginare mi riporta alle stragi gravissime del 1974, che segnano una seconda fase nello stragismo di destra. La data stessa è importante, perché segna un cambio negli sviluppi internazionali del periodo, spingendo il ministro della difesa Giulio Andreotti a riformare e risanare i servizi segreti, troppo collusi col terrorismo ex-fascista. La DC guarda al crollo del regime dei colonelli in Grecia, all’imminente rivoluzione in Portogallo, al watergate in USA e intuisce che ricorsi autoritari, dittature militari e governi paleofascisti nel cuore dell’Europa non hanno futuro. I gruppi eversivi neri si sentono abbandonati dallo Stato e si vedono costretti a cambiare strategia. Da qui le idee di una disintegrazione del sistema democratico auspicato dall’editore Franco Freda, capace di coniugare le dottrine evoliane con alcuni aspetti dell’analisi marxista della società. Il risultato, l’ho già detto, è l’utopia nera di una ricostruzione del mondo fuori dalle orbite del capitalismo-borghese governato da istanze economiche di sfruttamento. Contro tutto questo Freda vede la costruzione di uno Stato popolare, non lontano da certe visioni socialiste, in cui la proprietà privata è abolita. Sulla scia di queste idee nascono alcune riviste neofasciste dalle uscite brevi e irregolari, penso a Costruiamo l’Azione (uscita dal 1977 al 1979) e soprattutto a Terza Posizione (uscita dal 1980), opuscoli nei quali si delineava un rifiuto in blocco delle ideologie, viste come idee cristallizzate in dogmi, prodotti di un pensiero comunque massificato e alienante. I redattori della rivista si sentono angeli con la spada, guardiani e apostoli di una rivoluzione che non sarà capitalista e nemmeno marxista, bensì coprirà una terza posizione, affine a quella elaborata in Romania nel 1924 da Corneliu Zelea Codreanu con la sua legione di guerrieri mistici. I nuovi neofascisti post-frediani accennano a una rivoluzione dello spirito, a una terza posizione, indipendente dalle ideologie che avevano dominato fino a quel momento e si contrapponevano con forza ai modelli culturali diffusi dagli USA e dall’URSS, preferendo alle fucine di nevrosi ed eroina delle cosmopoli gli abitanti delle campagne, rappresentanti di una civiltà contadina che aveva saputo resistere ai ritualismi del mondo industriale. In alcuni articoli si accenna all’asservimento al Dio denaro, alle banche e alle chiese e agli inganni dei partiti che hanno dissacrato e mistificato gli uomini, in particolare i giovani, incapaci di rifiutare radicalmente il sistema e i suoi immondi riti fatti di lussi, droga, mass media.

Ecco, qui siamo a una svolta. Prendiamo brevemente un’altra strada.  Esiste un libretto, oggi introvabile, molto curioso, che approfondisce i legami occulti della vicenda “mostro di Firenze” e ci porta su altre strade, su altri laboratori della paura. Lo ha scritto Vittorio Fincati nel 2001, intitolandolo I mostri di Firenze e l’alchimia. Firenze viene vista come un centro esoterico tardo-rinascimentale, luogo di circolazione di una sapienza occulta celata dentro libri come il Picatrix o il Liber Vaccae. Fincati ripercorre nomi e situazioni macabre che trovano un certo legame coi fiorentini, ad esempio il mago Prelati, finito alla corte di Gilles de Rais a Tiffauges, in Francia. Il barone de Rais evocava, con l’aiuto del Prelati e dei suoi grimoires - patrimoni scritti di una tradizione orale delle schole occulte del Rinascimento – demoni, offrendo sangue, occhi e cuore di ragazzini violentati. In questa vicenda il puzzo degli anfratti si fa nuovamente sentire. Pesano su de Rais quelle “cacce infernali” di cui parla, in altri toni, anche il Boccaccio nella novella del Decameron dedicata a Nastagio degli Onesti e a riti ancestrali indagati da Marco Duichin: ieropornìa cruenta, ossia la sottrazione dell’anima di una giovane donna per mezzo di stupri, tormenti, cannibalismo e altri torbidi strati di primitive usanze misogine che riaffioreranno anche nell’oscura mannerbund fiorentina. La crudeltà inflitta alle donne è un tema che caratterizza anche il nostro tempo quotidiano ed è sempre motivata dal medesimo rifiuto della donna a concedersi agli istinti libidinosi della sessualità maschile. E poi il sangue, in generale, è un magnete per gli alchimisti, un succo peculiare la cui addizione nelle pratiche alchemiche è utile per raggiungere le modificazioni della materia auspicate. E qui l’argomento, ricorda Fincati, è sterminato, avendoci scritto un po’ tutti, da Raimondo Lullo, a Basilio Valentino, a Paracelso e i suoi derivati paracelsiani, i quali affermano senza troppi panegirici di trafficare con parti di cadaveri per realizzazioni magico-stregonesche di balsami di lunga vita. E su questa linea d’ostilità contro il femminile ha scritto anche Gustav Meyrink; l’odio occulto è poi rintracciabile nei Rosacroce, in cui il simbolo femminile della rosa si sposa con quello del supplizio della croce (Renè Guénon), originando una palingenesìa sdoppiata in due: palingenesìa delle ombre e dei corpi, dove quella dei corpi mira a ricostruire membra distrutte o ridotte a brani, persino in cenere. I paracelsiani si occuparono a lungo di questo e della resurrezione artificiale di animali, piante soprattutto, ed esseri umani, al fine d’inseguire miraggi d’immortalità. O rigenerazione di organi. Che davvero l’afrore di tomba del mostro di Firenze affondi le sue radici in queste ricerche occulte d’un clan di negromanti impotenti?

Salto indietro. Torniamo alle trame nere, alla strategia della tensione, al pensiero di una destra eversiva ormai sganciata dalle protezioni e dai favoreggiamenti dello Stato. Torniamo al pensiero di Terza posizione, al fervore contro gli idoli del consumismo e i giovani massa ipnotizzati dai neon della contemporaneità, lontani dal sangue della passione, dal mito dell’onore guerriero d’un mondo primitivo, archetipico da rifondare altrove rispetto alle danze macabre degli Apple Store. E se allora tutto il laboratorio di sangue del mostro di Firenze non fosse stato altro che questo? Non un modo per distrarre l’opinione pubblica dalle trame atlantiche e nemmeno una ricerca alchemica finalizzata a pratiche di magia sessuale e misoginie di fondo, bensì un rito punitivo e fondante. Colpire coppiette di giovani intossicati dai fumi del capitalismo, attinti e soppressi a colpi di pistola come in una esecuzione che vuole cancellare l’immondo merdaio, le finzioni di un mondo borghese costruito sui dogmi inumani dell’economia finanziaria. Le coppiette, anticipazione della famiglia borghese, ossia la base di consumismi (case, piscine, macchine, tecnologia, mutui) su cui si fonda il mondo moderno. Uomini e donne in sedicesimo che generano altri uomini e donne a loro volta contagiati dalle paludi del consumo dunque sono. Coppiette di giovani lavoratori destinati a un futuro precario e flessibile, condotti per mano all’interno di un universo del controllo pronto a degenerare nell’orgia digitale del superfluo. Fasce sociali sempre più umili, indebolite, marginali, il cui livello di vita è comunque incomparabile a quello a cui sarebbero obbligati se si fuoriuscisse una volta per tutte dalla logica imperialista. Il mostro dunque come legionario assoluto, uomo nuovo, punitore mistico di ciò che gli italiani sono e non dicono di essere.

Davide Rosso