SARA BASILONE

Sara Basilone è un nome molto interessante per tutti gli amanti dell’horror, un nome da tenere ben presente perché sentiremo parlare spesso di lei nel prossimo futuro, ne siamo certi: laureata in scienze della comunicazione e marketing con una tesi sul cinema horror, operatrice di cabina cinematografica e diplomata come tecnico audio-video alla Scuola nazionale di cinema indipendente, la Nostra realizza spot pubblicitari, scrive testi di canzoni, racconti brevi e da poco ha terminato il suo primo romanzo… insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti! E noi non potevamo certo esimerci dall’incontrarla!

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È SARA BASILONE?

Una ragazza di 30 anni appena compiuti che come tutti cerca di ritagliarsi il suo spazio nel mondo, convinta che questo perimetro si componga in tutti i suoi lati da declinazioni artistiche.

COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

Ricordo che avevo 17 anni e in maniera molto naturale si è creata nella mia testa la storia di un tatuatore con la passione per Picasso e gli omicidi. Ho preso un quaderno a quadretti e ho iniziato a scrivere il racconto “Les Demoiselles d’Avignon”. E da lì i personaggi della mia fantasia sono andati avanti a parlarmi di loro e io a trascrivere ciò che avevano da dire.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI, IN PARTICOLAR MODO DI QUELLE A CUI SEI PIU’ LEGATA?

Sono molto affezionata al corto “Quattro note” che ho realizzato per Cupidity Algida. Del corto ho scritto la sceneggiatura e la musica e sono riuscita a girarlo a Berlino. E’ stata un’esperienza unica ed era la prima volta che avevo a disposizione un budget che mi permettesse di collaborare con artisti e artiste – soprattutto – che amo. Sono molto legata anche al mio primo romanzo, “Aforismi perduti nel nulla”, che purtroppo ancora non ho avuto modo di pubblicare, mentre attualmente sono in contatto con la Polini Editore, una giovane e dinamicissima casa editrice di Milano, che vorrebbe seguirmi nella pubblicazione di un libro per bambini che ho creato con la mia compagna.

RECENTEMENTE HAI PUBBLICATO PER PROFONDO ROSSO EDIZIONI IL SAGGIO “LO SGUARDO CHE UCCIDE – IL METACINEMA NEL GENERE HORROR”. CE NE VUOI PARLARE?

“Lo sguardo che uccide” è iniziato come lavoro di tesi specialistica che poi ho continuato ad ampliare per 6 mesi. Mi sono sempre stupita del fatto che nessuno avesse ancora parlato del metacinema nel genere horror in maniera diretta e comparata e quindi ritengo una fortuna aver avuto la possibilità di scrivere di un argomento ancora poco esplorato dalla saggistica cinematografica. Quando il libro era finito l’ho mandato per mail a diverse case editrici molte delle quali non hanno mai risposto. Una mattina – ero a Berlino a lavorare – mi sono alzata e mi sono detta “ora mando Lo sguardo che uccide alla Profondo Rosso!”, cosa che non avevo ancora fatto perché mi sembrava di voler puntare troppo in alto, e invece dopo pochi giorni l’editore e regista Luigi Cozzi mi ha risposto, trovava il libro molto interessante e voleva pubblicarlo.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA SCELTA DEGLI ARGOMENTI E COME TI SEI MOSSA NELLA RICERCA DEL MATERIALE PER QUESTO SAGGIO?

La difficoltà maggiore ha riguardato più che la scelta dei contenuti la loro organizzazione. La mia passione per il cinema horror mi porta a “consumare” molti prodotti di questo genere che come una digestione alimentare spesso vengono trasformati, elaborati e in parte assorbiti per sedimentarsi nella mente. A volte mi capita di ripensare a questo mare magnum di ricordi filmici fusi tra loro e mi diverto a cercare dei comuni denominatori che leghino la nuova materia organica fatta non più da pezzi singoli di film ma da un unico corpo cinematografico. In quest’ottica le arterie che danno vita a “Lo sguardo che uccide” sono molteplici e indagano parallelamente diversi aspetti del genere horror – i meccanismi percettivi e catartici, l’evoluzione dell’estetica horror, l’indagine sulla paura come emozione primaria – per arrivare infine al cuore, rappresentato appunto dal metacinema.

QUANTO PENSI SIA PROFONDA L’IMMEDESIMAZIONE FRA SPETTATORE E IMMAGINI SUL GRANDE SCHERMO, SPECIE NEI FILM HORROR?

Personalmente credo che nell’horror l’immedesimazione, così come la proiezione del pubblico, sia profonda e massiccia, e questo porti inevitabilmente a una liberazione sensoriale. Nel libro chiarifico le due antitetiche psicologie legate all’horror: una sostiene che la visione di immagini violente istighi all’aggressività, l’altra che, appagando l’istinto di morte freudiano, l’horror ci “purifichi”. Penso sia una questione molto personale, ho una sorella gemella che odia gli horror e non riesce proprio a vederli, io d’altro canto è come se traessi energie positive da questi film e davvero sento scaricare le mie rabbie, tensioni e paure con la fine del film.

OLTRE CHE SAGGISTA, SCRIVI ANCHE TESTI DI CANZONI, RACCONTI BREVI E DA POCO HAI TERMINATO IL TUO PRIMO ROMANZO. VUOI PARLARCI DI QUESTE TUE ATTIVITA’ COLLATERALI?

La scrittura mi piace in ogni sua forma e devo ammettere che esercita un potere su di me che spesso non riesco a ignorare. In generale più che sulla storia vera e propria – che si tratti di scrivere canzoni, cortometraggi o racconti – punto sui personaggi poiché è sempre stata la testa che sta dietro all’azione ad affascinarmi, un po’ come dire che preferisco il colore alla forma. Ad ogni modo amo la polimorfia e l’eterogenesi quindi non vorrei soffermarmi su un solo tipo di scrittura perché credo che le influenze reciproche in cui tutto si mischia per risorgere siano la parte più viva e prolifica dell’arte.

VISTO CHE ULTIMAMENTE CAPITA SEMPRE PIU’ SPESSO DI LEGGERE MOLTI AUTORI, SIA EMERGENTI SIA AFFERMATI, ANCHE IN FORMATO DIGITALE, SECONDO TE QUALE SARA’ IL FUTURO DELL’EDITORIA? VEDREMO PIAN PIANO SCOMPARIRE IL CARTACEO A FAVORE DEGLI E-BOOK O PENSI CHE QUESTE DUE REALTA’ POSSANO CONVIVERE ANCORA PER LUNGO TEMPO?

L’e-book è indubbiamente pratico e vantaggioso. Anche in questo caso – come per chi ama o non ama l’horror – sono molto aperta mentalmente e non credo esista né una risposta uguale per tutti né un’unica risposta per ognuno. Quando però tiro fuori il mio libro dallo zaino penso che con quel volume – che ha un certo spessore, un odore tutto suo, una particolare copertina – sia possibile restituire un po’ di gratitudine all’autore che ha sudato per scrivere qualcosa che ha un peso effettivo, riscontrabile appunto nel momento in cui sfogliamo e teniamo il libro tra le mani.

ALTRA TUA PASSIONE, OLTRE ALLA SCRITTURA, E’ ANCHE LA PUBBLICITA’: SAPPIAMO CHE HAI REALIZZATO ALCUNI SPOT PUBBLICITARI: DI COSA SI TRATTA?

Come molti giovani ho lavorato nel settore pubblicitario principalmente vincendo concorsi su piattaforme per videomaker. E’ un lavoro che mi ha permesso di vivere due anni a Berlino e sbarcare il lunario divertendomi. Poi non essendo un’occupazione fissa il fantasma dell’incertezza che molti conoscono è diventato insistente e ho deciso di fare lavori meno soddisfacenti ma più stabili. L’advertising è un genere vero e proprio ma credo che in Italia sia ancora troppo irrigidito in schemi banali e di politically correct e anche quando una pubblicità si vanta di essere “innovativa” o d’avanguardia è solo la stessa frittata rigirata dalla parte meno bruciata.

QUAL E’ IL TUO RAPPORTO CON GLI AUDIOVISIVI?

Gli audiovisivi potenzialmente sono il Frankestein perfetto perché mi permettono di avere in un’unica arte più arti che amo come la musica, la scrittura, la fotografia e molte altre ancora. Questa è un’arma a doppio taglio perché da un lato facilita la possibilità di colpire l’osservatore proprio attraverso più canali, ma dall’altro rischia di divenire un’arte più d’assemblaggio che vera e propria. Quello che ho potuto sperimentare personalmente è che l’audiovisivo necessita dell’incontro armonioso quanto specializzato delle diverse discipline che lo compongono. Non sono a favore della moderna pratica in cui il videomaker è sceneggiatore, regista, montatore video montatore audio e magari anche attore. Il saper fare un po’ di tutto è utile nella vita ma non nell’arte; chi è bravo a sentire con gli occhi – regista – non può essere così bravo a sentire con le orecchie -musicista – o con la mente – sceneggiatore – o le mani – scenografo -. Il cinema è un’arte corale ed è fuori discussione che la sinergia tra diverse personalità e il lavoro di ogni reparto sono indispensabili per far sì che Frankestein viva liberandosi dallo scienziato che l’ha creato.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL GENERE HORROR, PROVA NE E’ ANCHE LA TUA TESI DEDICATA PROPRIO AL CINEMA DI GENERE. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Non so bene scavare a fondo in questa mia passione. Quando avevo circa 10 anni mia zia per farmi stare buona mise il VHS di “Profondo rosso”. Già dalla prima scena sentii qualcosa scuotersi dentro, era proprio una paura fisica che proveniva da una sensazione, quella non solo di vedere una scena di tensione ma di percepire attraverso tutti i sensi quel terrore. Chiaramente durante la scena in cui la medium viene spinta dalla finestra sono scappata a gambe levate e non ho dormito tutta la notte. Eppure qualcosa mi aveva colpito così a fondo che non potevo ignorarla e ho iniziato a guardare questo genere di film cercando sempre di capire queste mie reazioni: perché avvenivano e cose le scatenava? Era più la singola immagine, la musica, la storia? Finalmente quando avevo 17 anni sono riuscita a vedere “Profondo rosso” dall’inizio alla fine. Questa è la mia esperienza personale, ma accanto a questa spiegazione più passionale che mi lega a questo genere c’è anche la spiegazione più antropologica, poiché studiare l’horror significa studiare la paura nelle diverse epoche e nelle diverse culture e vedere come questa sia uno dei motori primi che ha spinto la civiltà a procedere in avanti e a scavare dentro di sé.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER I TUOI PROGETTI, CHE SIANO OPERE SCRITTE O FILMATE?

L’ispirazione di solito mi trova da sola per vie che non conosco e mi piacciono proprio perché restano ignote. Ho scritto racconti brevi di genere molto diverso: commedia, dramma, horror, sentimentale. Come ho già detto vengono prima i personaggi della storia e a volte mi sento una semplice mano per mezzo della quale “loro” comunicano in un linguaggio noto. Questo non significa che scrivere per me sia facile, è un lavoro che a volte odio perché vorrei arrivare alla frase perfetta e impiego ore sul suono di una parola o a tagliare, spostare, aggiungere. Lo stile è ciò che metto a livello più di riflessione mentre l’idea solitamente avviene a un livello più d’intuito. Chiaramente per l’ispirazione sono importanti i libri che leggo e i film che vedo; passo lunghi periodi di pigrizia in cui non scrivo niente ma mi cibo di letteratura e cinema e creo questa specie di terreno fertile, pronto a essere seminato. Poi, quando si presenta un personaggio che con insistenza bussa alla porta della mia mente, capisco che è tornata l’ora di prendere il computer e iniziare a raccontare.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Al primo posto metto Márquez e il suo realismo magico che non mi stancherò mai di leggere, amo lo stile di Virginia Woolf anche se sono troppo terrestre per seguirla con rigore, adoro le antologie di racconti di Murakami, di Bukowski e della Gioventù Cannibale, la perfezione formale di Calvino e le sue città invisibili, mi sento molto vicina a Cunningham e alla sua realtà e infine mi piacerebbe lanciare un sasso alla finestra di Claudia Durastanti.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ TI PIACCIONO, CHE CI DICI?

Come molti metto “Lo squalo” al primo posto, seguono “Lèon”, “Hong Kong Express”, “Il silenzio degli innocenti” ed “Edward mani di forbice” che ancora mi fa piangere tutti i Natali.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Di sogni ne ho tanti ma momentaneamente il più bello sarebbe vedere la mia ragazza guarire da una lesione al midollo spinale. Se questo sogno si avverasse gli altri pioverebbero dal cielo come una “baviana” reazione a catena e allora, insieme, potremmo costruire un cinema all’aperto per fare della Cinematerapia e far sognare ad occhi aperti molte altre persone con noi.

Davide Longoni