DAVIDE LORENZELLI: CHI ERA COSTUI?

Il thrilling. Il nostro amato thrilling anni ’70, di matrice rigorosamente italiana, che ci ha fulminato gli occhi con le visioni argentiane, fatto assaggiare luoghi e ambienti provinciali con Avati, fatto delirare con Martino, Fulci, Di Leo. Oltre centocinquanta pellicole, alcune sconosciutissime, che sulle pagine della Zona Morta abbiamo avuto modo di ripercorrere, e io in primis il piccolo onore di recuperare dalla rete e mettere assieme, per vedermele tutte, da vero malato di genere quale sono diventato.

Eppure, su carta non si può certo contare un tale numero di successi. Qualche timido tentativo, tra l’altro già citato sulla Zona (Buzi e Di Marino su tutti), poi il nulla.

Allora vale la pena andare alla scoperta di un autore di sicuro insuccesso, dedito al thrilling come un devoto si piega di fronte alla statuetta del suo idolo.

Parlo di Davide Lorenzelli, che nel 2009 esce per una piccola casa editrice con un testo letto da una ventina di persone in tutto: “Il necromane”. Uno dei pochi tentativi di fare thrilling su carta.

In breve: ad Arpiola di Mulazzo un mostro innamorato di cadaveri fa strage di donne e di coppiette; il panico dilaga nel paese e presto una sequela di omicidi non direttamente collegati alle attività del mostro prende vita. La base di partenza è chiara: il mostro di Firenze. L’ambientazione di paese ricorda “La casa dalle finestre che ridono” e siamo catapultati indietro nel tempo ai ’70. A far luce sui fatti, dovrebbe esserci Montandon, il classico commissario, anti eroe che fa tutto tranne indagare. E poi storie di partigiani, donne incatenate  sui monti, tanto sangue e molta violenza nevrotica e necrofila. Si respira un odio nei confronti della vita, un’esigenza regressiva che pulsa in piena empatia con il thriller degli anni gloriosi su pellicola. L’irrazionalità è dilagante, il tentativo di detection ad opera di un improvvisato indagatore, il becchino Digado, inesistente.

Fin qui, direi tutto molto bene.

Cosa non funziona.

Funziona poco la tendenza a far quadrare i pezzi del puzzle, sintomo di una dipendenza ancora latente nei confronti del giallo su carta. Gli svolazzi  irrazionali tipici del thrilling ci sono, ma poi si finisce con il ricondurli nell’alveo della razionalità. E infine il linguaggio: manca il tentativo di inscenare una tecnica linguistica che sia l’equivalente su carta di quelle bellezze erotiche, irrazionali e fobiche che erano i nostri beneamati su pellicola.

Tutto questo è  perdonabile, in quanto Lorenzelli era allora alla sua prima esperienza di scrittura e il tentativo nel settore poco utilizzato del thrilling già di per sé  lodevole da parte di noi fanatici.

Ma quel Lorenzelli che fine ha fatto?

Un simile minuscolo campioncino del settore sarà rimasto nei cuori di almeno alcuni seguaci stretti del genere… Ebbene, purtroppo la risposta è no. Lo ritroviamo diversi anni dopo, ormai dimenticato dal pubblico e dagli editori della carta stampata, autoprodursi su Lulu.com, sotto il nome (stavolta autentico) di Davide Rosso.

Ebbene sì, proprio lui.

Su Lulu compaiono gratis, tra gli altri libri, alcuni thriller brevi: “L’assassino ha riservato sette poltrone” e “I racconti di Lucedio”. Sono breve incursioni nel genere, che vedono il nostro uomo calcare strade differenti rispetto agli esordi, cercare un linguaggio più adatto al settore, abbandonare la razionalità tipica dei gialli.

Ma sono soltanto delle prove generali.

L’anno del thriller per Rosso – Lorenzelli è il 2015.

Escono in serie “L’occhio malefico”, “Il diavolo” e “Arcana”. Lo scrittore acquista uno stile che finalmente possa rappresentare il tentativo di tradurre il thrilling nostrano su pellicola: traendo spunto dai poeti surrealisti, impreziosisce il tracciato con visioni improvvise, accostamenti arditi, voli nel mondo dell’immagine.  Il sesso, quello morboso, trova il proprio epicentro e si snoda un racconto malato, da appassionati di porno fumetti, senza ritegno. La trama viene polverizzata, cancellata dalla assenza di detection, che qui scompare. Rimane solo il “wudunit” finale, con lo smascheramento, ecc.

Ma a trionfare, soprattutto, è il male che soggiace al trauma dell’assassino, che diviene fuoco attorno a cui si snoda la trama intera, come in “Arcana”, dove l’esigenza di sfuggire alla morte e di farsi leggenda umana da parte di una ragazzina, rappresenta l’icona attraverso cui leggere la trama nel suo intero. Le pagine sono sempre sulla cinquantina: una giusta dose per poter dare fuoco alle polveri e non arrivare ad annoiare il lettore.

Quel che più piace di queste nuove prove è l’assenza di paura. Non siamo più di fronte a uno scrittore con la fregola di aderire ai canoni, di rendersi credibile, leggibile, adatto. Al contrario, qui si fa tutto fuorché aderire, accettare, seguire. È il regno della libertà – delirio, del togliere cose, del mescolare generi (porno, soprattutto), del fare le cose più semplici possibili. I racconti seguono dei tracciati brevi e semplici, ma erodono la trama dall’interno, la spolpano  nelle sue fasi salienti, restituendo invece spazio a parti normalmente meno importanti.

Su Lulu, amici malati di thriller,  troverete gratis un malato come voi che si è  preso la briga di scrivere qualche bel thrillerino.

Perché andare a spendere soldi  e tempo dietro gli scrittori delle grandi case editrici, che tanto vi fanno il solito giallo con il killer malato, mentre noi quel che vogliamo è ben altro, è  avere su carta la poesia, la morbosità, il vizio e la libertà delirante di quelle pellicole sacre?

Daniele Vacchino