ALAN D. ALTIERI… JUGGERNAUT E IL PREMIO BLACKWOOD

Scrittore, traduttore, curatore, talent-scout… sono tante le cose che potremmo dire di lui e altrettante ce ne sfuggirebbero: già, perché Sergio “Alan D.” Altieri ha mille sfaccettature, mille modi di presentarsi, mille maniere per esprimersi… e quindi un’intervista sola non poteva bastarci. Ecco perché abbiamo deciso di incontrarlo nuovamente per voi, per farci raccontare qualcosa di più su una delle figure più importanti del panorama editoriale italiano.

CIAO SERGIO, L’ULTIMA VOLTA CHE CI SIAMO SENTITI ERA IN MERITO AL TUO RUOLO DI CURATORE PER MEZZOTINTS EBOOK, ESPERIENZA PURTROPPO TERMINATA PER VARI MOTIVI. COSA PUOI RACCONTARCI IN MERITO E COSA TI E’ RIMASTO DI QUELL’ESPERIENZA?

Davide, anzitutto grande grazie per avermi  di nuovo sulla tua eccezionale pagina web. E un ringraziamento a tutti coloro i quali vorranno seguirci in questo nostro dialogo.

Venendo dritti al punto, l’esperienza Mezzotints rimane per me molto  importante sotto  il profilo dell’impulso dello e-book non tanto come nuova frontiera del libro rispetto al cartaceo quanto come frontiera parallela. Riguardo alla conclusione dell’esperienza stessa, mi limito a dire che si sono presentate differenze concettuali sul concetto stesso di digital publishing. A tutti gli effetti, però, il mio rapporto etico e deontologico con tanti ottimi autori  ne è uscito rafforzato. Rapporto per  me fondamentale e che intendo sviluppare ulteriormente.

PRATICAMENTE TI SEI OCCUPATO DI TUTTO UN PO’ NELLA TUA CARRIERA DI SCRITTORE E TRADUTTORE, DAL GIALLO ALL’HORROR, DAL NOIR AL FANTASY, DALL’ACTION ALLA FANTASCIENZA… IN QUALE GENERE E IN QUALE FORMA DI SCRITTURA TI TROVI PIU’ A TUO AGIO?

La classica domanda da un milione di dollari. Come sai e, sono certo, come anche la maggior parte dei lettori sa, il cosiddetto “genere puro” ha cessato di esistere. Nell’infinito campo dell’immaginario, oggi ci troviamo, ritengo,  nella “era degli ibridi”. Vale a dire uno scenario di contaminazioni continue, intersecantesi, addirittura frattali. A tutti gli effetti, il genere nel quale mi  trovo meglio è quindi proprio il genere “ibrido”. “Kondor” è al  tempo stesso una storia di guerra, un thriller a intrigo e un futuristico apocalittico. Lo stesso “Trittico di Magdeburg”, che giustamente viene definito romanzo storico, è in realtà un coacervo di contaminazioni: dalle premesse della narrativa epica all’iconografia della fantascienza apocalittica, dalla rappresentazione metallica dello hard-combat ai meccanismi obliqui del  mystery-thriller. Un progetto che sto strutturando da tempo ha come fulcro le più monumentali, e sanguinarie, epopee di conquista della metà dello scorso millennio, presentate però in una prospettiva… vampirica. Difatti: historical horror supernatural. Il conquistatore in questione è… oops, can’t say no more.

TI SEI OCCUPATO SIA DI RACCONTI CHE DI ROMANZI: QUALI DIFFERENZE HAI RISCONTRATO NEI DIVERSI MODI DI SCRIVERE?

Sintetismo, questa, a mio parere, la chiave di volta. Il  racconto, formato narrativo che trovo sia eccezionale che eccezionalmente difficile, richiede un sintetismo concettuale e stilistico molto più rigoroso che non il romanzo nel quale, entro invitabili limiti, l’autore ha molto più margine di manovra. Al tempo stesso, il racconto permette di arrivare “sul bersaglio” con molta più rapidità e, per certi versi, anche maggiore efficacia che non il romanzo. Riallacciandomi alla tematica e-book, il racconto, in tutte le sue forme, continua a profilarsi come il formato cardine della proposta editoriale web.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA CERTA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Un significato fondamentale. I miei profeti rimangono Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft, che di Poe ha raccolto l’intero universo tematico e stilistico, universo di cui si è fatto erede e continuatore.. Certo, siamo immersi nella “epoca dei giocattoli” – tablet e smartphone, social network e app, – ma allo hyper hi-tech va ad associarsi, addirittura a coniugarsi, lo hyper-irrational.

Basti solo pensare all’intero trend della cinematografia asiatica focalizzato su  mondi di spettri e di “entità” che emergono da telefoni cellulari, macchine fotografiche digitali e personal computer. Il fantastico, inteso nel senso più lato possibile, permea la narrazione umana fino dai suoi primordi — il primo “romanzo” in assoluto è considerato “l’epopea di Gilgamesh” — continuerà a permeare anche nel futuro.

TRA I TUOI ULTIMI PROGETTI SEGNALIAMO “JUGGERNAUT”: CE NE VUOI PARLARE?

“Juggernaut”  è il primo libro di “Terminal War”, una serie di cinque testi  che… più ibrida non potrebbe essere. L’ambientazione è la wasteland — parafrasando e onorando il genio immortale di Thomas Stearns Eliot — in cui il Pianeta Terra è stato tramutato da  troppi decenni di (in)umano, furibondo nichilismo, di cieca rapacità. L’evoluzione narrativa primaria rispetto ai miei lavori precedenti  è che in “Terminal War” andiamo out there, là fuori. Davvero molto, troppo lontano, dove incontriamo l’ultimo dei nemici che ci aspettiamo d’incontrare. Il nemico… terminale.

QUALI SONO STATE LE DIFFICOLTA’ CHE HAI INCONTRATO NELL’AFFRONTARE I PERSONAGGI E LE AMBIENTAZIONI?

“Terminal War” prende le mosse da “Ultima Luce”, il mio thriller futuristico del 1994. Esatto: sono passati esattamente vent’anni. La super-corporation Gottschalk -Yutani di “Ultima Luce” è ora una totalizzante mega-entità chiamata solo “Gottschalk”.  Gli hunter-killer – che in “Ultima Luce” erano gruppi anti-terrorismo altamente inquadrati – in “Terminal War” sono diventati gli ultimi guerrieri, mercenari con licenza di sterminio al soldo di un potere diventato talmente enigmatico da risultare metafisico. Da qui uno scontro che è certamente verso l’esterno, il nemico terminale di cui ho appena accennato, ma è intrinsecamente interno a personaggi che cerco di tratteggiare ben oltre qualsiasi “limite estremo”. “Terminal War 2/Magellan” è precisamente il testo sul quale sono al  lavoro in questo periodo.

RECENTEMENTE SEI STATO COINVOLTO COME GIURATO DEL “PREMIO ALGERNON BLACKWOOD”, GIUNTO ALLA QUARTA EDIZIONE: COSA PUOI DIRCI IN MERITO?

Tornando di nuovo al “fantastico”, voglio esprimere il mio più profondo apprezzamento a tutti gli autori finalisti del “Premio Algernon Blackwood”. Ogni singolo racconto aveva una valida storia da raccontare, solidi personaggi da sviluppare,  un centrato climax da raggiungere. E’ per me un onore, passami l’espressione, avere avuto l’opportunità di fare parte di questa eccezionale esperienza.

ULTIMA DOMANDA, ANCHE QUESTA DI RITO: A COSA STAI LAVORANDO E COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DAL FUTURO DI SERGIO “ALAN D.” ALTIERI”?

Oltre alla continuazione della serie “Terminal War”, ho scritto il pilot e continuo a seguire “The Tube/Nomads”. “Nomads” è un quintessenziale progetto pandemico-apocalittico direttamente in digitale presentato da Delos Books, l’ottima casa editrice indipendente condotta dai grandi Franco Forte e Silvio Sosio. “The Tube” è il vettore primario ideato da Franco. “Nomads” è uno spin-off parallelo di cui ho scritto il pilot in due parti, chiamato “Cold Zero”. “Nomads” è incentrato su una squadra di personaggi seriali ripresi da ottimi autori quali Danilo Arona, Massimo Rainer, Novelli & Zarini, Gianfranco Nerozzi. Tocca quindi nuovamente a me chiudere la prima “stagione” di “Nomads” entro l’anno 2014 con un ulteriore testo in due parti del tutto inedito. Franco, Silvio e io stiamo già allestendo “Nomads 2” per il 2015.

Hey, heaven is up there, hell… is on Earth!

WELL DONE! RESTEREMO IN STAND BY!

Davide Longoni