LUCA TARENZI… IL FANTASY E ORFEO

Scrittore, traduttore, saggista, Luca Tarenzi è nato nel 1976 a Somma Lombardo (Varese) e vive ad Arona (Novara). Affermato autore di oltre 15 romanzi fantasy, dopo la maturità scientifica si è laureato in Storia delle religioni all’Università Cattolica di Milano. Insegna scrittura creativa, si interessa di scienze occulte, ascolta musica folk-metal e pratica la scherma storica del Seicento. Attualmente è impegnato nella promozione, con la sua compagna Sara A. Benatti anche lei scrittrice di storie fantasy, in un tour di presentazioni, nelle librerie e nelle biblioteche, del suo ultimo romanzo “Orfeo – Sogno e morte”, edito da Giunti.

COSA C’E’ ALLA BASE DELLA TUA PASSIONE E DELLA TUA VOGLIA DI APPARTENERE AL MONDO DEL FANTASY?

Se la vita è un teatro, allora i personaggi, i sentimenti, le azioni, le situazioni che compongono la commedia umana sono alla fin fine sempre gli stessi, dalla notte dei tempi. In altre parole, ci appassioniamo e ci emozioniamo sempre per le stesse cose: siamo umani. Quando queste cose le descriviamo in una storia, cambiano solo le scenografie e gli abiti che mettiamo addosso agli attori. E dobbiamo stare attenti, perché gli abiti sono importantissimi: cambiano il mood, modificano le emozioni, influiscono enormemente su come viene recepito quel che accade sul palco. Ora, la differenza tra la narrativa realistica e la narrativa fantastica è che la prima come guardaroba per gli attori ha un baule pieno di costumi, la seconda ha una fila di armadi che arriva fino all’orizzonte e lo supera. Potenzialmente, è una fila di armadi che non ha mai fine, perché il suo limite è l’immaginazione umana. A questo punto, sul serio mi si chiede come mai scelgo il guardaroba infinito anziché il baule?

QUANTO TI HANNO INFLUENZATO LE LETTURE E I MITI DEGLI DEI O DEGLI EROI STUDIATI A SCUOLA? E QUAL E’ IL PRIMO LIBRO CHE RICORDI DI AVER LETTO?

Ancora più e ancora prima che studiati a scuola, letti da solo, nella mia cameretta di bimbo. Ho la fortuna di possedere ancora oggi il primo libro che ho letto in vita mia (che ovviamente conservo come una reliquia), quando sapevo a stento farlo: era un regalo dei miei genitori, e si tratta di un libro di mitologia greca per bambini. Quindi non sbaglio se dico che le primissime storie su cui ho posato gli occhi da solo erano proprio quelle degli dèi e dei mostri, dei prodigi e delle grandi avventure alla ricerca di tesori sovrumani. Non riuscirei a immaginare un imprinting più potente di questo, che infatti poi si è fatto sentire sulla mia vita intera, dalle scelte di studio (sono laureato in Storia delle religioni) alla carriera artistica, da quel che amo ancora oggi leggere al mio stesso sentire spirituale.

E INVECE QUANDO HAI INIZIATO A SCRIVERE E COSA?

Mia madre conserva una fotografia di me a dieci anni che batto furiosamente con i soli indici su una macchina da scrivere anni Settanta, pezzo d’antiquariato che troneggia ancora in casa dei miei genitori. A detta sua, scrivevo buffe ma per me serissime storielle di mostri. Quindi si potrebbe dire che ho iniziato presto, ma la verità è che poi la cosa non ha avuto seguito: durante l’adolescenza non scrivevo, anzi se mi avessero detto che un giorno la scrittura sarebbe stata non solo la mia passione ma anche il mio mestiere sarei scoppiato a ridere. Ho ricominciato a 27 anni, e solo perché ero disoccupato e depresso e la mia ragazza insisteva (a ragion veduta) che mi trovassi qualcosa da fare: prendendo spunto da un sogno che avevo fatto, ho buttato giù di getto “Pentar”, il mio primo romanzo fantasy, che con mia notevole sorpresa sarebbe stato pubblicato un paio d’anni dopo da un piccolo editore di Milano che oggi non esiste più. Da allora non mi sono più fermato, ho pubblicato con una mezza dozzina di case editrici diverse e a parte un romanzo storico abbandonato prima di metà (ma che ancora lì mi fissa dal cassetto) ho scritto solo fantasy, anche se in varie declinazioni.

QUAL E’ IL SOGNO RECONDITO O L’AMBIZIONE DELLO SCRITTORE FANTASY: CREARE MONDI PERFETTI, MIGLIORARE IL MONDO?

Non penso proprio esista un’ambizione che valga per tutti: ognuno scrive inseguendo il proprio orizzonte. Ci sono scrittori “cerebrali” che mirano alla trama perfetta, a prova di bomba, che sopravvivrebbe anche all’assalto del peggior critico al mondo. Ci sono gli scrittori “cardiaci” che mirano solo a suscitare potenti emozioni che i lettori non dimentichino più (e in genere sono più attenti ai personaggi che non al plot). Ci sono gli scrittori “worldbuilder” per i quali l’ambientazione è tutto e c’è sempre un mondo nuovo e ancora più ricco e intricato e fantasmagorico del precedente da trasformare in parole. E poi oltre alle variazioni individuali ci sono quelle epocali: ad esempio, ho notato che gli autori del presente sono più ossessionati dalla precisione dei dettagli rispetto agli autori del passato (forse perché il pubblico iperconnesso di oggi ha molta più probabilità di localizzare le inverosimiglianze e di diventare ferocemente critico…).

TOLKIEN, GAIMAN, MARTIN, BROOKS, LEWIS… CHI TRA I GRANDI TI HA INFLUENZATO E PERCHE’?

Tra quelli elencati direi Gaiman, perché ci piacciono le stesse cose: gli dèi vecchi e giovani, la magia nascosta nel tessuto del mondo di oggi, le storie di persone normali poste davanti alla sfida dell’immenso. Di lui poi ho sempre ammirato lo stile sintetico, asciutto, capace di dire mille cose con dieci parole: sicuramente è un ideale verso il quale tendo (arrancando) anch’io. Volendo indicare almeno un altro nome direi Ursula Le Guin. Lessi il suo capolavoro “La mano sinistra delle tenebre” da adolescente e ne rimasi fulminato: l’idea di un mondo popolato da persone che non hanno un sesso definito ma possono passare dall’uno all’altro e anche non averne nessuno, e hanno dunque dato vita a una società dove il concetto di genere semplicemente non esiste, mi si impresse nella mente e fu determinante per lo sviluppo di tutte le mie idee sull’argomento, le stesse che ho ancora oggi. E se anche non ci fosse stato tutto questo, lei è stata una maestra straordinaria nella descrizione delle società aliene e dei modi di pensare non umani.

COME GIUDICHI IL FANTASY ITALIANO?

In fase di netto miglioramento. Quando ho iniziato io quasi non esisteva: se ne pubblicava poco, lo facevano soprattutto piccoli editori (con rare eccezioni che cominciavano giusto ad apparire allora) e la qualità – duole dirlo – era mediamente molto bassa. Oggi è un altro mondo: se ne pubblica molto di più, a tutti i livelli, e la qualità media è tutta un’altra cosa. Persino il nemico più ostico di tutti, ovvero il pregiudizio del pubblico italiano verso gli scrittori italiani, va pian pian va diminuendo. C’è ancora tanta strada da fare, ma la direzione e il passo di marcia a me sembrano quelli giusti.

HAI SCRITTO OLTRE 15 ROMANZI. TRA LE TUE OPERE CHE HANNO RISCOSSO MAGGIOR SUCCESSO VI E’ LA TRILOGIA “L’ORA DEI DANNATI”, AVVENTUROSA SAGA DI FUGA DALL’INFERNO DANTESCO. L’IDEA TI E’ VENUTA A SEGUITO DI UN BRANO MUSICALE DI CAPAREZZA, CE LO VUOI RACCONTARE?

In realtà è venuta dall’incontro tra quella canzone, “Argenti vive” di Caparezza, e un’idea che mi girava per la testa fin dal 2014: appunto quella di prendere personaggi della letteratura italiana che tutti conosciamo perché tutti li abbiamo incontrati sui banchi di scuola, ovvero alcuni dannati dell’Inferno di Dante, e far progettare loro un’evasione con tutti gli stilemi del genere: il piano segreto, i contatti segreti tra tutti i partecipanti, la tensione che sale man mano che si avvicina il giorno, e ovviamente il detenuto che non dovrebbe  far parte del piano ma, avendo scoperto qualcosa, ricatta gli altri per convincerli a portarlo con loro. La canzone di Caparezza, oltre a farmi venire una gran voglia di usare il personaggio di Filippo Argenti nella mia storia (è appunto lui l’aggiunta non voluta nel gruppo), è anche una denuncia sui generis della dannazione come concetto sommamente ingiusto, il che rappresenta una delle chiavi di volta di tutta la mia saga sui dannati.

MA NON TI HA IMPRESSIONATO QUESTA TUA INCURSIONE NEL CAPOLAVORO DELLA LETTERATURA ITALIANA?

Non è la prima volta che me lo chiedono. Do sempre la stessa risposta: “L’ora dei dannati” è la mia fanfiction di Dante. Chi scrive fanfiction non si spaventa e non si impressiona: lo fa perché si diverte!

LA TRILOGIA E’ STATA ADOTTATA NELLE SCUOLE, CI SEI ANDATO A PRESENTARLA? SE SI’, COME L’HANNO PRESA GLI STUDENTI? CHE REAZIONI HANNO AVUTO?

Entusiasti, sempre. È una cosa che io per primo fatico a credere. Mi fanno milioni di domande e vogliono sapere tutto sui personaggi e l’ambientazione, persino i retroscena che non ho scritto. Potrebbero essere la parte più potente del mio fandom. Una scuola superiore di Pavia come progetto creativo ha persino prodotto un librogame basato sul primo volume della trilogia, e me lo ha regalato. Quel giorno non so come ho fatto a non piangere.

IL TUO ULTIMO LAVORO, PUBBLICATO QUEST’ANNO, E’ INTITOLATO “ORFEO – SOGNO E MORTE”, UN TESTO POETICO E AL CONTEMPO FEROCE, DI ARTI OCCULTE E FORTI PASSIONI. HAI DICHIARATO CHE E’ IL LIBRO CHE PIU’ SI AVVICINA A TE ED E’ UNA SVOLTA NELLA TUA SCRITTURA, PERCHE’?

In buona parte perché avevo in cuore di scriverlo da oltre vent’anni. Con la sua profondità, i suoi simboli e le sue contraddizioni, il mito di Orfeo mi ossessiona da quando ero adolescente: avevo già provato all’epoca a usarlo per produrre qualcosa, ma non avevo ancora l’esperienza necessaria. Lo avevo archiviato (ma mai dimenticato), e solo l’inatteso successo de “L’ora dei dannati” mi ha permesso di riaprire quel cassetto quando la mia agente mi ha chiesto se avevo qualche nuovo progetto che potesse provare a replicare il “colpo” dei libri precedenti. È una storia che parla di uomini e dèi, di magia e di ribellione, di amore e di morte, nella quale cerco di dare alcune mie risposte a tutte le domande che temi immensi come questi ci pongono ogni giorni.

CHE RAPPORTO HAI CON LA SCRITTURA? COM’E’ SCANDITA UNA TUA GIORNATA DI LAVORO?

Un rapporto tempestoso, da dramma romantico vittoriano. Io e la scrittura ci siamo lasciati e ripresi mille volte, ci siamo amati e odiati, ci siamo presi a botte, ci siamo perdonati solo per litigare di nuovo e perdonarci ancora. Forse solo negli ultimissimi anni abbiamo raggiunto una sorta di convivenza pacifica, da vecchia coppia di pensionati. Ma chi mi osservasse scrivere dall’esterno non lo direbbe (al di là del fatto che guardare uno scrittore al lavoro è la cosa più noiosa del mondo), perché il mio ritmo produttivo è piuttosto rilassato. Scrivo soprattutto al pomeriggio, e riesco a farlo per ore di seguito solo se mi interrompo spesso. Rileggo e correggo in continuazione, quindi in una giornata produco mediamente poco: sei-ottomila battute, raramente di più. Nelle pause faccio di tutto: preparo il tè, leggo la posta, infastidisco i gatti, cammino avanti e indietro parlando da solo ad alta voce (per fortuna ho uno studio dove non disturbo nessuno). La mia compagna, Sara Benatti, scrittrice anche lei ma immensamente più metodica e concentrata di me, dice che il solo guardarmi “lavorare” le dà sui nervi.

SEI ANCHE TRADUTTORE. QUALI TRA I ROMANZI TRASPOSTI TI HANNO APPASSIONATO PIU’ DEGLI ALTRI?

Al presente la scrittura praticamente mi dà da vivere, quindi mi dedico di più a quella e traduco meno che in passato: in media non più di un libro all’anno, di solito d’estate, per “staccare” un po’ tra un mio romanzo e il successivo. Negli anni ho tradotto un po’ di tutto, da romanzi di vari generi alla saggistica ai libri per bambini. Se dovessi indicare i volumi che mi sono rimasti più nel cuore, direi sicuramente due fantasy molto atipici: “Più nero della notte” di Ian Tregillis (Asengard) e “La ricerca onirica di Vellitt Boe” di Kij Johnson (Edizioni Hypnos).

TIENI ANCHE CORSI DI SCRITTURA. QUALI SONO LE LINEE GUIDA CHE DAI AI TUOI ALLIEVI CHE INTENDONO CIMENTARSI CON QUESTO GENERE LETTERARIO?

Una sola: fatelo perché vi piace, e per nessun’altra ragione al mondo. Qualunque altra finirà quasi certamente per deludervi. Se parliamo di fantasy o in generale di letteratura dell’immaginario (quindi anche fantascienza, horror e così via), pubblicare oggi in Italia è relativamente facile. Pubblicare a un certo livello è parecchio più difficile. Vendere un numero decente di copie, quale che sia il vostro editore, è difficilissimo. Vivere di scrittura è semi-impossibile (io ci sono arrivato dopo vent’anni e so di aver avuto una fortuna sfacciata). Se lo fate perché amate farlo, invece, non potete sbagliare. Poi magari arriverà anche tutto il resto, e ve lo auguro di vero cuore, perché ci renderebbe tutti più ricchi: il mondo ha bisogno di storie!

UN BELL’INCORAGGIAMENTO DA CHI CHE SE NE INTENDE DAVVERO! GRAZIE LUCA E ALLA PROSSIMA.

Filippo Radogna