IL MACABRO RITO DELLA “DOPPIA SEPOLTURA” ALL’OMBRA DEL VESUVIO

“… Dopo la riesumazione, la bara viene aperta dagli addetti e si controlla che le ossa siano completamente disseccate. In questo caso lo scheletro viene deposto su un tavolo apposito e i parenti, se vogliono, danno una mano a liberarlo dai brandelli di abiti e da eventuali residui della putrefazione; viene lavato prima con acqua e sapone e poi “disinfettato” con stracci imbevuti di alcool che i parenti, “per essere sicuri che la pulizia venga fatta accuratamente”, hanno pensato a procurare assieme alla naftalina con cui si cosparge il cadavere e al lenzuolo che verrà periodicamente cambiato e che fa da involucro al corpo del morto nella sua nuova condizione. Quando lo scheletro è pulito lo si può più facilmente trattare come un oggetto sacro e può quindi essere avviato alla sua nuova casa – che in genere si trova in un luogo lontano da quello della prima sepoltura – con un rito di passaggio che in scala ridotta  riproduce quello del corteo funebre che accompagnò il morto alla tomba…”

All’ombra del Vesuvio, a Napoli e dintorni, viveva un’antica tradizione le cui origini si perdono nel fiume del tempo, le “Terresante”.

In ampie stanze prive di pavimentazione oppure in capienti vasche, i defunti venivano sepolti e ricoperti da pochissimi centimetri di terra. I naturali processi di decomposizione dei cadaveri, dopo un certo tempo, restituivano le ossa che, ripulite a dovere, venivano sepolte in maniera definitiva.

Da quel momento in poi il defunto era veramente tale, le parti deperibili del  suo corpo fisico erano state restituite alla nuda terra poiché… “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”, ovvero “Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai” ci ricorda la Vulgata della Bibbia in Genesi 3,19 riferendosi all’Onnipotente il quale, dopo l’episodio della famosa “mela” data da Eva ad Adamo, li scaccia dal Giardino dell’Eden, condanna l’uomo alla fatica del lavoro ed infine alla morte….

Con il sudore della fronte mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”

Sepolto così, per la seconda volta il caro estinto, le pie donne potevano dedicarsi alla cura della sua anima – definitivamente giunta nell’Aldilà – con particolari rituali, preghiere e messe di suffragio. Solo allora il defunto non appariva più pericoloso per i vivi perché trasformato in un’anima pacificata, in un’anima da pregare anche in piccoli altari domestici.

“Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”, Genesi 3,19.

Il momento della riesumazione era naturalmente vissuto in un’atmosfera quasi angosciante poiché – in funzione di come si sarebbe presentato ciò che del defunto rimaneva – si doveva decidere se il defunto era diventato un’anima “amica”, alla quale ci si poteva rivolgere nei momenti di necessità quasi come ad un santo, ricorrendo a rituali caratteristici della religiosità popolare.

“Polvere tu sei e in polvere tornerai!” sembra ammonire questa recente, macabra, estumulazione dopo circa venti anni di permanenza nel terreno. Il cranio è nella cassetta di ferro zincato…

Ma poiché i processi di “tanatometamorfosi”, della decomposizione cadaverica, sono estremamente mutevoli, dipendendo dalle condizioni del corpo, del luogo di sepoltura e anche da imponderabili variabili legate al vissuto in santità di vita del defunto – come abbiamo visto in numerosi casi di “corpi incorrotti” – poteva verificarsi il non infrequente caso che i corpi mostrassero la presenza di tessuti molli e di ossa non del tutte “purificate”, non completamente pulite dal tempo trascorso sotto terra.

Si trattava di “male morti”, di defunti la cui anima inquieta vagava ancora in questo mondo. In tal caso era necessario ripetere la sepoltura, attendere ancora un tempo abbastanza lungo ma difficilmente quantificabile e ripetere – forse con maggior angoscia… – la riesumazione del cadavere.

Uno scorcio delle cosiddette “Terresante” in area napoletana.

Naturalmente il Supremo Magistrato di Salute della città partenopea non apprezzava affatto tale usanza e, nel 1779, così stigmatizzava quella che definiva “barbara usanza” delle “Terrersante”…

“Sono queste ordinariamente sotto delle pubbliche Chiese, ed alcune a poca profondità, altre a livello delle strade, sulle quali sogliono avere le loro aperture […] In tanti piccioli parterre si seppelliscono li cadaveri in fossi che si cavano nel terreno, e colla terra li medesimi si coprono all’altezza di tre, o quattro palmi. Questa terra che cuopre li cadaveri si lascia smossa, e senza ne anche battersi. In questi ipogei o terresante ne’ dì festivi si dice anche la Messa, e molto popolo vi concorre. Nel dì della commemorazione de’ morti ànno il costume alcuni del volgo di andare a visitare li di loro congionti, ed amici nelle terresante, spogliarli delli cenci, e vestirli di nuovo. Dopo qualche mese di tempo, si scoprono li cadaveri, altri de quali si gittano nelle sepolture, ed altri si situano come per ornamento in alcune nicchie disposte intorno alle terresante medesime, ed ivi si lasciano proseguire la loro putrefazione (la quale è, come si è detto, di lunghissima durata), e diffondere per l’aria libera i loro mortiferi effluvi…”

Ai nostri convulsi giorni “tecnologici” il macabro, strano, rituale della “doppia sepoltura” è praticamente scomparso, salvo in piccoli centri urbani dove esiste una variante meno “fai-da-te” di ciò che avveniva in antico, poiché, dopo la tradizionale sepoltura in terra, dopo un periodo di tempo che sfiora i dieci anni, il corpo del defunto viene riesumato, le ossa vengono debitamente “purificate” e poste in una piccola urna – destinata alla definitiva collocazione – insieme agli oggetti che in vita gli erano stati particolarmente cari.

Le “cantarelle” del Cimitero delle Monache di Ischia.

Nel caso i lettori di La Zona Morta volessero visitare un luogo che molto si avvicina alle vicende fin qui descritte, potrebbero recarsi presso il Cimitero delle Monache, sempre in area napoletana, situato nella Cripta del Castello Aragonese di Ischia.

Fino dall’Anno del Signore 1575 le Clarisse portavano le loro defunte consorelle su alcuni sedili scavati nella pietra tufacea, muniti di un vaso posto al di sotto di un foro ricavato nel piano orizzontale del sedile stesso.

I cadaveri venivano lasciati a decomporsi e soprattutto a “scolare”, mentre i liquidi dei naturali processi di trasformazione della materia organica venivano raccolti negli appositi recipienti. Le “cantarelle” – così sono definiti i sedili-scolatoi a Napoli e dintorni – avevano proprio lo scopo di “pulire” le ossa e, in certi casi, di ottenere una sorta di mummificazione prima di tumulare definitivamente le defunte.

Il luogo, al di fuori della macabra atmosfera che poteva crearsi, nonostante la presenza dei mefitici liquami raccolti nei vasi sottostanti i sedili, induceva le monache a recarsi forse quotidianamente nella cripta per meditare sulla caducità e sulla vanità delle cose terrene…

Roberto Volterri

Tratto dal libro BIOLOGIA DELL’IMPOSSIBILE di Roberto Volterri, Eremon Edizioni.