LUIGI PASTORE

Regista cinematografico e televisivo, autore di molti programmi televisivi e documentari dedicati al cinema horror, fondatore della Lu.Pa. Film (vedere nella sezione link): è da tempo ormai che Luigi Pastore appare sulle nostre pagine presentandoci le ultime novità che lo riguardano. Ora è giunto il momento di conoscerlo meglio.
COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È LUIGI PASTORE?
Lo sai che a 33 anni suonati non lo so più nemmeno io chi sono? Ricordo solo che sin da bambino sono stato attratto dall’universo horror e avevo una passione morbosa per gli scheletri, forse anche perché in casa ne avevamo due…no davvero, non sto scherzando! Mio padre è un ricercatore del CNR con la passione per l’archeologia e all’epoca aveva ricevuto in consegna, per motivi di studio, due scheletri di antichi guerrieri greci spuntati durante gli scavi per la costruzione di un complesso residenziale nei pressi di Taranto, la città in cui sono nato. Ricordo che spesso, quando tutti dormivano, andavo in cantina per giocherellare con quei poveri teschi a cui ogni tanto staccavo un dente. Purtroppo i miei disturbi mentali si sono manifestati fin dalla tenera età. Poi a sette anni ho visto “Profondo Rosso” e…alleluia! La folgorazione è stata totale. Molti anni dopo, però, mia madre mi confidò che quando ero nella suo grembo, verso il nono mese, ebbe il coraggio di andare al cinema per vedere “Il gatto a 9 code” e ricordava benissimo che sussultai durante la scena dell’ascensore. Credo che lì sia avvenuto l’imprinting… tempo dopo, sul set de “La Sindrome di Stendhal”, ebbi modo di raccontare questo aneddoto a Dario Argento e lui si divertì moltissimo.
VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI CINEMATOGRAFICHE PRECEDENTI, DAI CORTI AI DOCUMENTARI AI PROGRAMMI TELEVISIVI?
Dunque, in quella famosa cantina dove erano custoditi gli scheletri c’era anche una vecchia cinepresa Doppio 8 a carica meccanica. Chiesi spiegazioni in merito a quello strano oggetto e quando seppi che serviva per girare i film divenne il mio giocattolo preferito. Anche se dentro non c’era pellicola ed era pure rotta, io mi divertivo lo stesso ad inquadrare tutto quello che mi circondava, soprattutto i teschi! Ricordo che, dopo alcuni anni, quando già erano arrivate le prime videocamere che costavano tantissimo, barattai la mia collezione dei "Masters of the Universe", castello di Grayskull compreso, in cambio di un proiettore Super 8 e di una cinepresa, sempre Super 8, con cui iniziai a girare i miei primi esperimenti. Ricordo che facevo grandi pasticci per montare con una piccola giuntatrice a mano, lente di ingrandimento e super attak, ma poi diventai abilissimo e i tagli non si vedevano quasi più. Molti anni dopo sono riuscito a recuperare alcuni di questi cortometraggi, li ho rimasterizzati, sonorizzati e inseriti in un DVD intitolato “I corti della follia”. Ricordo anche che riuscii a recuperare da un signore di Napoli, le cinque bobine in Super 8 di “Suspiria” e una notte d’estate pensai bene di proiettarmi il film sulla facciata laterale di una palazzina completamente bianca e mi divertiva moltissimo l’idea che qualcuno, magari alzandosi per andare al bagno, potesse spaventarsi nel vedere le efferate scene del film. Comunque, tornando ai miei inizi, dopo il diploma riuscii ad entrare in uno studio di produzione e post-produzione video di Taranto, la Video One, che si occupava esclusivamente di servizi matrimoniali. Iniziai come assistente operatore e, dopo qualche mese, riuscii a convincere uno dei soci a realizzare un mediometraggio. Fu un’impresa memorabile, con dei limiti pazzeschi, perché avevo un solo giorno per girare e una notte per montare. Venti attori da gestire con location reali, in città, senza permessi e in zone malfamate. Ricordo che in una scena avevo bisogno di cinque teppisti e, tranne due attori, gli altri si presentarono come veri e propri teppisti di professione. Ho un bellissimo ricordo di quell’esperienza ma anche tanta amarezza perché il nostro obiettivo era quello di partecipare, anche fuori concorso, al festival di Torino nella sezione giovani. Ma l’allora direttore del festival, Stefano Della Casa (che adesso si fa chiamare Steve Della Casa, perché gli suona più fico) bocciò il film con una lettera insulsa, che ancora conservo, senza specificare le motivazioni di tale diniego. Io, allora, incavolato e deluso da un giudizio non espresso pensai bene di andare a Roma a trovare il mio nuovo amico Dario Argento (lo avevo conosciuto da poco tempo) per sentire il parere di uno che il cinema lo faceva veramente. Dario fu molto gentile e disponibile e mi ricevette in casa sua. Ci mettemmo seduti e lui guardò “Pazzia” in rispettoso silenzio e concentratissimo nella visione, mentre io me la facevo sotto dalla paura e dicevo a me stesso che accidenti mi era venuto in mente per rompere le scatole a un regista di fama internazionale, costringendolo a vedere la mia boiata di filmetto amatoriale. Terminati i circa venti minuti di proiezione (e di agonia per me), lui mi guardò e sorridendo mi disse che era un lavoro interessante, se pur pieno di difetti tecnici, ma era rimasto colpito da alcune situazioni come quella in cui tutto prende velocità, quando il protagonista si accorge che ormai è intrappolato nella follia del mondo. Così ebbi la mia personale rivincita sulla mancata partecipazione al festival di Torino che è valsa molto più di una qualsiasi targa di latta. Da quel momento ho deciso che non avrei mai più partecipato a nessun festival e confermo questa mia intenzione anche adesso. E se il buon Steve leggerà mai questa intervista, vorrei ringraziarlo per quel rifiuto: grazie Steve!
DA QUALCHE TEMPO HAI SIA UN SITO INTERNET DEDICATO ALLE TUE MOLTEPLICI ATTIVITÀ SIA UNA CASA DI PRODUZIONE, LA LU.PA. FILM. VUOI PARLARCI ANCHE DI QUESTI TUOI IMPEGNI CHE TRA L’ALTRO SONO COMPLEMENTARI A QUELLO CHE GIÀ FAI?
Lu.Pa. Film è nata nel 2002 con l’obiettivo di iniziare un percorso produttivo indipendente, sia in ambito cinematografico ma anche televisivo. Credo molto negli sviluppi della tecnologia internet che, negli ultimi tempi, ha aperto nuove possibilità. Oggi fare televisione e cinema è sempre più difficile, ma non impossibile. Proporre l’horror in Italia è un grande problema e, soprattutto in televisione, devi sempre fare i conti con la censura e le fasce orarie. Io sono sempre stato molto critico nei confronti di questa falsa morale televisiva, di coloro che fingono di inorridire per una scena splatter, estrema, ma comunque artistica e di fantasia, mentre fanno a gara per accaparrarsi le immagini esclusive sui fatti di sangue più spaventosi che accadono nella realtà. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e andrebbe approfondito. Comunque, per quanto riguarda la produzione indipendente di qualsiasi genere, chi decide di intraprendere questa strada oggi deve fare i conti con una realtà molto triste, popolata da squallidi personaggi della stessa consorteria, che si scambiano favori e tendono ad ostacolare chi si propone con nuovi progetti. Due anni fa, ad esempio, ho realizzato otto puntate di un format intitolato “Cinemaestranze”, dedicato a tutti quei professionisti che lavorano da anni nel cinema e che vengono menzionati solo nei titoli dei film. Ho dovuto lottare per trovare un’emittente disposta a trasmettere, gratuitamente, un’ora di trasmissione settimanale e con ospiti di un certo livello come Luis Bacalov, Claudio Mancini, Giannetto De Rossi, Claudio Simonetti, Antonello Geleng, Luciano Tovoli e tante altre firme importanti del nostro cinema. Ho investito molto in un progetto che però è rimasto fine a se stesso, nonostante sia stato visto e apprezzato dagli addetti ai lavori e che ha anche ricevuto un premio. Ma io sono caparbio e continuerò lo stesso a produrre quello che mi piace, perché dico sempre che è meglio fare piuttosto che non fare.
IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL GENERE HORROR E PER IL MISTERO IN GENERALE. CHE SIGNIFICATO HANNO PER TE QUESTE TEMATICHE?
Sono tematiche che da sempre esercitano un certo fascino nell’uomo, non solo su di me.
Il genere horror, non a caso, è quello che ha destato sempre grande attenzione da parte del pubblico, soprattutto all’estero dove è amato molto di più. Dal punto di vista cinematografico credo che sia l’unico genere che ti permette di sperimentare linguaggi nuovi, anche irrazionali, perché sconfina nell’onirico e nel visionario senza mai conoscere limiti.
Ad esempio l’idea di un uovo che scappa dal frigorifero per vivere la sua libertà individuale, ignaro di essere seguito da un martello cattivo e punitore, che si nasconde nell’ombra per poi tendergli un agguato e schiacciarlo senza pietà, con il sangue che schizza e si allarga sul pavimento a formare una sorta di Italia, è un modo di raccontare in maniera folle e totalmente irrazionale una metafora su un terribile fatto di cronaca che insanguinò il nostro Paese nel 1992, ovvero le stragi di Capaci e via D’Amelio. Lo realizzai proprio nell’Agosto di quello stesso anno, ma il messaggio può essere esteso a tutti i martiri uccisi per i propri ideali e per l’affermazione della libertà. All’epoca passò inosservato mentre oggi, grazie a internet, più di 30.000 utenti su Dailymotion lo hanno visto e giudicato.
SE NON VADO ERRATO, MOLTE TUE ATTIVITÀ SONO LEGATE AL MONDO CINEMATOGRAFICO DI DARIO ARGENTO. CHE RAPPORTO HAI CON IL GRANDE REGISTA?
Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con Dario e, ancora oggi, mi emoziono quando ho occasione di frequentarlo. E’ una persona straordinaria e ricordo con piacere un altro aneddoto, che mi ha segnato profondamente. Nel 1997 decisi di trasferirmi a Roma in pianta stabile e RVM Studio, la mia prima attività di produzione con cui avevo già realizzato un altro mediometraggio intitolato “Fine Millennio”, si trasformò in BLUE STUDIO. Ricordo con grande gioia l’inaugurazione di via Trapani, con Mietta in veste di madrina al taglio del nastro e il grande Dario come ospite d’onore. Avevo già avuto modo di vivere l’emozione del set sul film “La Sindrome di Stendhal”, dove realizzai un piccolo backstage personale, ma l’esperienza più importante è stata sicuramente “Il fantasma dell’Opera” in cui ho lavorato ufficialmente, anche se non accreditato, per la realizzazione del dietro le quinte nelle grotte di Pertosa. Tutte le interviste contenute negli extra del dvd le ho girate personalmente ma, per motivi di produzione, il mio nome non appare nei credits. Tuttavia, proprio mentre le riprese del film terminavano, mi trovai una sera a cena con Dario e gli presentai l’invito che i ragazzi del cineclub Detour di Roma mi avevano chiesto di fargli avere, perché stavano organizzando la prima edizione della rassegna “La porta sul buio”, con una retrospettiva dedicata proprio ai suoi film. Dario fu ben felice di partecipare e, consultando il programma, si accorse che l’ultimo giorno sarebbe stato proiettato anche “Fine Millennio”, che aveva già avuto modo di vedere qualche anno prima. Così decise che sarebbe venuto proprio l’ultimo giorno. Io rimasi estremamente lusingato, ma mai e poi mai avrei potuto immaginare quello che sarebbe accaduto. Restammo d’accordo che sarei andato da lui per accompagnarlo ma, quando giunsi a casa sua, cambiò idea e decise di prendere la sua auto perché poi da lì si sarebbe spostato in un altro posto. Così lo seguii con la mia Kadett ma, per colpa del traffico, lo persi per strada e fui assalito dal panico. Che figura ci avrei fatto con quelli del Detour? Quale scusa inventare? Come potevo rintracciare Dario che non aveva il cellulare? Mentre queste domande mi affliggevano, arrivò una telefonata. Era Giuseppe, uno degli organizzatori, che con voce allarmata mi informava:”Guarda che Dario è qui, tu dove sei?” Tirai un sospiro di sollievo e in cinque minuti, correndo come un pazzo, giunsi trafelatissimo a destinazione.
Dario appena mi vide iniziò a prendermi in giro, ironizzando sulle mie scarse doti di segugio, mentre il buon Giuseppe mi prese in disparte sussurrandomi all’orecchio: “Vedi che Dario mi ha detto che vorrebbe presentare il tuo corto”. Fu una doccia gelata!
Io, umile filmaker pugliese, presentato dal maestro del brivido? Non era possibile e la stessa incredulità si leggeva sul viso degli organizzatori. Invece andò proprio così e, ancora mi emoziono al ricordo, il mio mito Dario Argento parlò per mezz’ora di “Fine Millennio” e del mio stile bizzarro di fare cinema.
VENIAMO AD UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?
I sogni sono una buona fonte di ispirazione, perché hanno origine dal proprio inconscio.
Poi c’è la musica che per me è fondamentale e spesso, quando penso ad una storia, mi siedo al pianoforte e strimpello qualche nota immaginando una scena o un’emozione che può vivere un personaggio. Poi i paesaggi, i luoghi, le atmosfere naturali, qualunque cosa riesca a sollecitare la fantasia. Spesso mi ritrovo a vivere la realtà come se fosse un’inquadratura cinematografica, una sequenza su cui a volte immagino anche un commento musicale. Tempo fa, ad esempio, passeggiando all’alba per le vie del centro mi ritrovai a percorrere la facciata di un edificio con il viso che rasentava il muro. Mi feci prendere così tanto da quella situazione, che non mi accorsi di alcune persone che guardavano incuriosite quel mio strano comportamento. Chissà che avranno pensato…
ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Naturalmente poter fare un lungometraggio è la sfida che sto inseguendo da parecchio tempo. L’estate scorsa mi ero finalmente deciso perché avevo trovato la storia giusta, facile da realizzare e senza troppo dispendio di risorse. Infatti ho già iniziato a girare alcune cose, realizzando anche un breve trailer di presentazione del film che si intitolerà “Come una crisalide”. Recentemente ho conosciuto un produttore per il quale ho già scritto, su commissione, la sceneggiatura di un film intitolato “La curva della morte” di cui, però, non ho saputo più nulla. Mentre sembrerebbe esserci un forte interesse per un’altra mia sceneggiatura intitolata “Heléna Dictus”, che scrissi quattro anni fa per approfondire la storia sul personaggio ispirato da un presunto caso di possessione diabolica, che ho già portato sullo schermo televisivo in una puntata di “Corto Horror”. Invece il sogno nel cassetto è un film, scritto a quattro mani insieme al mio grande amico Antonio Tentori, che si intitola “Una lacrima dipinta di nero” e che anche Dario ha avuto modo di leggere. Chissà che un giorno non venga realizzato, anche perché è una storia molto bella e non sono solo io a dirlo, ma tutti coloro che l’hanno letta ne sono rimasti molto colpiti. Per adesso mi accontento di quello che ho fatto, ne sono molto fiero, soprattutto perché non ho avuto nessuno a spingermi ma ho dovuto conquistare duramente ogni passo che ho intrapreso lungo questa difficile strada. Dove porterà questa strada non lo so, ma l’importante è continuare a camminare.

02/01/2008, Davide Longoni