MARUO: DA PLANET OF THE JAP A ULTRA-GASH INFERNO

I manga di Suehiro Maruo apparsi in Italia lasciano un po’ perplessi sulle sue reali qualità: ciò vale tanto per il grandguignolesco Il vampiro che ride che per i più classici e temperati Midori e Tomino la dannata; i lavori tratti da Edogawa Rampo (La strana storia dell’isola Panorama e Il bruco), soprattutto nel secondo caso dimostrano alcune soluzioni visive molto interessanti – ma pur sempre di opere altrui si tratta, che l’autore si limita a sceneggiare e illustrare da ottimo regista della carta con tutte le libertà erotiche che ci si possono prendere a distanza di molti decenni dalla loro prima pubblicazione in forma letteraria, assai più allusiva per ovvie ragioni di censura. Nel complesso, meglio le storie brevi (in cui il mangaka appare assai più a suo agio) che compongono Notte putrescente: incuriosiscono maggiormente e spingono a conoscere il fumettista al di fuori dei nostri troppo ristretti confini linguistici, oltrepassati i quali, in effetti, Maruo esplode.

Planet of the Jap (compreso in Comics Underground Japan), per ammissione dello stesso Maruo è ispirato a La svastica sul sole: come nel romanzo di Dick, infatti, sono i giapponesi ad aver vinto la II Guerra Mondiale, ma a differenza di quello, l’autore è fra i veri sconfitti e il suo interesse s’incentra in prevalenza sul rapporto fra potere militare e sesso, relazione dichiarata fin dalla prima vignetta, dove un efebico soldato è seduto a gambe larghe su un carrarmato che sbava sperma dal cannone. In questo sogno di vittoria, Los Angeles e San Francisco prendono il posto di Hiroshima e Nagasaki sotto le atomiche, mentre come nel Pianeta delle scimmie (riecheggiato anche dal titolo) la Statua della Libertà è distrutta, quasi inabissata in mare dalle truppe nipponiche, festosamente formicolanti su di essa. Non poteva mancare il tripudio dello stupro d’una giovane madre americana (con tanto di bandierina del Sol Levante nell’ano), costretta a una sessione di sesso orale mentre nella vignetta precedente il figlioletto – in posizione simile a quella materna – viene sanguinosamente sbattuto con la testa contro il muro. Il culmine del sogno/incubo di Maruo è però costituito dall’esecuzione capitale di Mac Arthur: nel momento in cui la sua testa viene tagliata, l’efebico boia eiacula, in un’ideale ripresa del primo quadro. Infine, un militare a cavallo ricompone l’iconografia classica del guerriero, e mentre una didascalia ci assicura che il Giappone è il paese più forte al mondo, siamo persuasi semmai che “di cari inganni, / non che la speme, il desiderio è spento”.

Ultra-Gash Inferno è un’antologia di storie brevi, tradotte in inglese da James Havoc e Takako Shinkado, che presenta l’intero repertorio erotico-grottesco tradizionale giapponese reinterpretato in modo personale e a tratti magistrale.

Putrid Night è una variazione rovesciata de Il bruco di Ranpo: nel racconto la metafora del titolo riguarda un reduce ridotto allo stato di larva umana dall’amputazione degli arti e tormentato dalla moglie sadica, qui i “bruchi” sono due amanti, resti di individui ai quali Gozo, marito geloso, ha tagliato le braccia e che ha accecati: come contrappasso, Sayoko e Michio non possono evitare di unirsi un’ultima volta, così come Gozo non può evitare di venire guardandoli.

La fonte ipotizzabile di Sewer Boy potrebbe esser l’episodio di Storia segreta del signore di Bushu di Tanizaki nel quale Terukatsu arriva involontariamente al di sotto del cesso dell’amata donna Kikyo: Tetsu, infatti, è un bambino gettato dalla madre nella fogna che sta sotto una toilette per studentesse; per lui, quindi, la cloaca è da sempre il mondo e l’asse del gabinetto può ben fargli da mamma: già a questo punto, grottesco e patetico si confondono persuasivamente, ma essi vengono ancor più rilanciati quando Tetsu lecca una donna per pulirla delle feci. In questo caso, eros coprofagico-masochistico (1) e irresistibile impulso alla sollecitudine da parte d’un figlio verso la donna in quanto madre, che pure ha voluto liberarsi di lui (o forse proprio perché ha voluto liberarsi di lui?), diventano indistinguibili.

Nonresistance City è la Tokyo del 1946, dunque il Giappone del dopoguerra già al centro di molti film nipponici (2) dove la fame e gli USA sono padroni assoluti; in tale contesto Setsuko e il figlioletto Hikaru dipendono dal malvagio nano Hirai. Questi racconta la fine ingloriosa del Paese con un’immagine fortemente carica di eros masochistico: posti a sedere simbolicamente in alto, un americano e una giapponese ridono di un nipponico vestito da geisha, ma con la barba di due giorni, che lecca i piedi alla donna; e Hirai conclude: il samurai “sopravvisse non squarciandosi il ventre, ma tagliandosi il cazzo e diventando una femmina”; nella scena, gioca un ruolo importante il dettaglio della barba lunga: chi la porta non può certo essere un onnagata (l’attore che impersona un personaggio femminile nel teatro kabuki), ma un ibrido inqualificabile, sporco e disordinato sotto il profilo morale –  come diceva qualcuno, non si può finire con stile. La situazione di Setsuko, in attesa che ritorni dal fronte il marito del quale non ha notizie, precipita d’improvviso in pura tragedia greca: Hirai uccide Hikaru, glielo fa mangiare come yakitori (una sorta di spiedino) e quindi la mette incinta. Dopo essere venuta a conoscenza del proprio atto di cannibalismo, la nonresistente scorge il marito finalmente rientrato in città, fugge via e si suicida: d’una sensibilità empatica toccante il disegno ripetuto del viso di Setsuko che mentre sta morendo si trasforma in teschio col cappello del piccolo Hikaru. Ancora due parole su un particolare e sul sottotesto che percorre il manga. Il particolare: totale frontale d’una prostituta con il volto nell’ombra; mezzobusto a bocca aperta: sta fumando; primo piano, la bocca a forma di “O”; dettaglio della bocca aperta, cavità scura come nel primo quadro – un’anfibologia fisica per la quale sarebbe difficile arrestarla come adescatrice, una maniera tutta fumettistica per esprimere l’illusione di una conoscenza che si vorrebbe tanto maggiore quanto più s’avvicina al proprio oggetto e che invece resta opaca come all’inizio (3). Il sottotesto: nel corso della storia, diversi personaggi credono, alla stregua di certe specie animali, che la maniera migliore per proteggersi dai nemici sia pietrificarsi restando immobili fino a diventare macchie nel muro; così fa Hirai, una volta ricercato dalla polizia, scomparendo davvero e denunciando in questo modo la propria essenza demoniaca; lo stesso pensa Setsuko morente: “Prima che mio marito arrivi a  casa, voglio nascondermi come una macchia nel pavimento”.

Voyeur in the Attic ricorda La casa delle perversioni di Edogawa Ranpo di Tanaka, ma solo per l’atmosfera iniziale e la collocazione della storia nella soffitta. Il voyeur guarda la protagonista incinta mentre sta partorendo da sola; subito dopo, uccide il proprio figlio e lo lascia nella soffitta in pasto ai topi. Lui, inorridito, decide di sospendere la sua attività favorita per qualcosa che sente più urgente e essenziale: prende il corpo del neonato e lo mette in casa della puerpera in sua assenza. Quando lei torna, si spaventa a morte, ma il giorno seguente lo riporta in soffitta; e il voyeur di nuovo in casa: altro grido di terrore della madre. “E così esso marcì e venne fatto a pezzi mentre noi lo conducevamo avanti e indietro tra la soffitta e il mondo di sotto”. All’apparenza si tratta d’una storia anodina, ma lo è allo stesso modo di certi testi di Cechov, che dopo qualche tempo colpiscono e lasciano tramortiti. Dunque, riassumiamo: il voyeur, inizialmente mosso solo dagli scopi che lo definiscono come tale, d’improvviso si trova di fronte a una situazione eccezionale che lo devia da essi in maniera involontaria, dimettendolo provvisoriamente dal suo ruolo. Non è il senso civico che lo spinge all’azione (in tal caso avrebbe denunciato la donna), né il desiderio d’una maligna vendetta, anche se così può sembrare; inoltre, se volessimo leggere il manga in una prospettiva psicanalitica, “rimettere il cadavere in casa” corrisponderebbe metaforicamente al riaffiorare del complesso di colpa ogni volta che la giovane torna col pensiero al proprio delitto… No: il voyeur sotto shock porta continuamente il corpo di sotto, confidando nel fatto che la madre lo riporterà sempre di sopra, perché questa è la sola maniera – materiale e delirante – per mantenerlo vivo attraverso l’essenza stessa della vita: l’incessante movimento. Che altro aggiungere? (4).

Gianfranco Galliano

NOTE

(1) Quale si ritrova per esempio in alcuni disegni di un Namio Harukawa, ma ancor più nel classico Kachikujin yapu (Yapoo, il bestiame umano) di Shōzō Numa.

(2) Un titolo per tutti: Neve nera di Tetsuji Takechi.

(3) Forse una criptocitazione del Sejiun Suzuki di La giovinezza di una belva umana.

(4) Poiché alcune storie che compongono Ultra-Gash Inferno sono comprese in Notte putrescente, chi raffrontasse edizione angloamericana e italiana di esse resterebbe deluso dal trattamento che hanno subito da noi, trattamento sulla cui arbitrarietà si può discutere poiché il testo è stato tradotto da Yume no Q-saku (Collection of short stories) e non dalla raccolta (frutto di una selezione occidentale) U-GI e inoltre riporta questa nota in esergo: “Italian translation arranged with Suehiro Maruo”. Fatte queste necessarie precisazioni, vi sono alcune questioni in merito alla traduzione e alla sostituzione di diverse vignette che vanno riferite. Ne La stagione dell’inferno leggiamo questo frammento di monologo: “Una cosa che nessuno comprende. Questo è l’unico pregio”, mentre in A Season In Hell (en passant, Una stagione all’inferno): “I am understood by no-one… and that is my only source of pride” (“Non mi capisce nessuno… e questa è la mia sola fonte d’orgoglio”); più oltre: “In me non c’è neanche la vita”, in inglese: “There’s nothing in life for me” (“Non c’è nulla nella vita per me”). Il titolo Il ragazzo vergine in U-GI è Sewer Boy (ovvero, “Il ragazzo delle fogne”). Quanto alle vignette: in Come si prepara la zuppa di cacca, l’occhio posto nella vagina viene cancellato, per cui non si capisce a cosa sia riferita la battuta della ragazza: “Che ne dite?! E’ carino…” (l’eliminazione risulta incomprensibile anche per il fatto che in Giappone sono irrappresentabili gli organi sessuali, non altro); per concludere, in Sentaro l’onanista vi sono due quadri diversi rispetto a quelli corrispondenti in The Great Masturbator: 1) in U-GI vediamo un uomo con la mano immersa fino al polso nella ferita all’addome di una ragazza, mentre in NP l’uomo è seduto accanto alla donna tutta insanguinata; 2) nell’edizione anglosassone una giovane viene penetrata da una serpe, in quella italiana si assiste a una sessione di sesso orale totalmente annerita.