TERZO DAL SOLE – SOGNI E SPERANZE DELL’ANIMALE UOMO ALLA RICERCA DELLA VITA 13

CAPITOLO XIII: NOI SIAMO QUI

Stephen Hawking è conosciuto per la sua apertura mentale verso le previsioni future nella comunità scientifica. È stato Hawking ad affermare che ha paura del contatto con la vita extraterrestre, avvisandoci che la vita aliena potrebbe provare a conquistare e colonizzare la Terra. Ha continuato citando esempi della storia per provare la sua teoria, dicendo che “Se arrivassero gli alieni, il risultato sarebbe simile a quando Colombo arrivò in America, situazione che non è finita bene per i Nativi Americani,” Hawking lo ha dichiarato in un documentario girato per Discovery Channel e afferma che, piuttosto che provare a comunicare con la vita nel cosmo, gli umani farebbero meglio a fare di tutto per evitare il contatto.

Diciamoci la verità: non è facile trovarci, è impossibile non sentirsi piccoli sapendo in quale piccolo angolino dell’universo noi viviamo. La Via Lattea fa parte di un super ammasso assieme ad altre decine di migliaia di galassie, quello della Vergine. Recenti studi hanno però collocato questo gruppo all’interno di un altro super ammasso, che lo comprende insieme ad altri. La scoperta, fatta dagli astronomi dell’Università delle Hawaii, ha permesso così di “disegnare” la mappa più dettagliata finora del nostro ‘angolo’ di universo: il super ammasso che ha preso il nome di Laniakea. Commissionata da Nature e realizzata dal team guidato dal professore R. Brent Tully, la visualizzazione in 3D, che comprende un’area larga circa 500 milioni di anni luce, mostra la disposizione di oltre 100mila galassie che, tutte insieme, possiedono una massa pari a 100.000.000.000.000.000 (cento milioni di miliardi) di volte quella del Sole. Oppure a 100mila volte quella della stessa via Lattea.

Difficile trovarci? Beh, sì in linea di massima non sarebbe possibile trovare un piccolo pianeta di un altro altrettanto piccolo sistema solare se non fosse che dalla nostra trincea, nella notte più profonda e senza stelle, non emettessimo continuamente dei segnali di luce e continuassimo a gracchiare per radio la nostra posizione. Il nemico, se c’è qualcuno, non avrebbe poi molte difficoltà a trovarci, se pure non lo ha già fatto.

La sonda spaziale Voyager 1 è stata una delle prime esploratrici del sistema solare esterno, ed è ancora in attività. Fu lanciata nell’ambito del Programma Voyager della NASA il 5 settembre 1977 da Cape Canaveral, a bordo di un razzo Titan IIIE, poco dopo la Voyager 2, la sua sonda sorella, in un’orbita che le avrebbe permesso di raggiungere Giove per prima. Le due sonde Voyager sono identiche. L’orbita in cui fu immessa la sonda la portò a sfiorare i due pianeti giganti, Giove e Saturno, per proseguire indisturbata verso l’esterno del sistema solare.

Attualmente  Voyager 1 è ancora funzionante (e ci vogliono circa 19 ore per ricevere il suo segnale) ed è attualmente l’oggetto costruito dall’uomo più distante dalla Terra. Il 23 gennaio 2016 la Voyager 1 si trovava nello spazio interstellare a una distanza di 134,657 UA (equivalenti a 18,665 ore luce o 20,144 miliardi di km dal Sole).

La sonda si sta allontanando dal sistema solare a una velocità di 17,004 km/s, pari a 3,587 UA all’anno; è in leggerissimo rallentamento a causa dell’attrazione solare.

La Voyager 1 è alimentata da una batteria RTG che le permetterà di funzionare, seppure in modo limitato, fino al 2025 quando avrà raggiunto oltre 25 miliardi di chilometri di distanza dalla Terra. Tuttavia nel 2025 la comunicazione con la sonda sarà molto improbabile perché il giroscopio, che permette di tenere orientata l’antenna verso la Terra, smetterà di funzionare nel 2017 quando è previsto che la sonda si trovi a una distanza dal Sole compresa tra 137 e 141 UA. Fra 30.000 anni circa, la Voyager 1 uscirà completamente dalla Nube di Oort ed entrerà nel campo di attrazione gravitazionale di un’altra stella.

A bordo delle sonde c’è quello che viene definito “un messaggio nella bottiglia e cioè il Voyager Golden Record che è un disco registrato placcato in oro contenente immagini e suoni della Terra, che la sonda, così come il Voyager 2, porta con sé. I contenuti della registrazione furono selezionati da un comitato presieduto da Carl Sagan. Le istruzioni per accedere alle registrazioni sono incise sulla custodia del disco, nel caso “qualcuno lo trovasse”.

Anche il  Voyager 2 è entrato nella storia  il 20 Agosto 1977. A bordo vi sono delle immagini fotografiche della Terra e, incisi su disco, un messaggio di saluti e un pout-pourri di composizioni musicali. Voyager 2 porta un nostro invito ad altre specie intelligenti dell’universo: Vi preghiamo di visitare il nostro pianeta Terra…

Voyager 2 è stato ed è ancora una delle missioni più riuscite in assoluto dell’Ente Spaziale americano NASA. La sonda ha raggiunto dapprima Giove nel 1979 e Saturno nel 1980, assieme alla sua gemella Voyager 1. Mentre la prima era destinata a sprofondare subito nello spazio interplanetario, il successo del Voyager 2 continuò con il sorvolo, nel 1986 di Urano e di Nettuno nel 1989. Ora la sonda sta viaggiando nello spazio appena al di fuori del sistema solare, Superati i confini del Sistema solare, continua a viaggiare indisturbata verso lo spazio interstellare, portando con sé, a sua volta, il glorioso Voyager Golden Record, una placca di metallo su cui sono incise le principali informazioni relative alla specie umana e alla vita sulla Terra. Una sorta di “capsula” del tempo destinata a eventuali intelligenze extraterrestri che dovessero incrociarne la rotta.

Ora, supponiamo che sia vero perché non ne abbiamo notizie certe e i ciarlatani abbondano, parrebbe che Voyager 1 avesse ricevuto quello che sarebbe una sorta di messaggio alieno, prendiamo la notizia con le pinze ma è comunque vero che stiamo dicendo a “tutti” dove siamo. Non diciamo che sia una cosa negativa ma è come se lasciassimo la porta d’ingresso in un città…Non sai mai chi potrebbe entrare…

Ma il nostro desiderio, o incoscienza che sia, non si è fermata qui.

Il Pioneer 10 è stato lanciato il 3 marzo 1972, quindi ancora  prima, da un Atlas-Centaur da Cape Canaveral in Florida. Tra il 15 luglio 1972 e il 15 febbraio 1973 è diventato il primo veicolo spaziale ad attraversare la fascia principale. Cominciò a fotografare Giove dal 6 novembre 1973, da una distanza di 25.000.000 km, e trasmise un totale di 500 immagini circa. Il massimo avvicinamento al pianeta avvenne il 4 dicembre 1973, ad una distanza di 132.252 km. Durante la missione gli strumenti a bordo vennero usati per studiare la fascia degli asteroidi, l’ambiente gioviano, il vento solare, i raggi cosmici e, successivamente, i luoghi più lontani dell’eliosfera.

Le comunicazioni radio con la sonda sono state perse il 23 gennaio 2003 a causa della perdita di potenza elettrica della sua radio trasmittente, quando l’oggetto si trovava ad una distanza di 80 UA (pari a 12.000.000.000 di km) dalla Terra.

A bordo del Pioneer 10 e poi anche dell’11 c’è una placca . Entrambe mostrano le immagini di un uomo ed una donna nudi attorno alle quali si trovano vari simboli che hanno il fine di fornire informazioni sull’origine delle sonde. Le Pioneer sono stati i primi oggetti costruiti dall’uomo ad avventurarsi verso le regioni esterne del sistema solare. Le targhe sono fissate sui fronti dei supporti delle antenne in una posizione che le protegge dall’erosione della polvere interstellare. Le placche sono in alluminio dorato di circa quindici centimetri per ventitré e le due figure umane sono state disegnate dalla moglie di Sagan, la pittrice Linda Saizman Sagan.

Mentre il primo problema dei segnali e delle immagini delle sonde potrebbe avere il primo fantastico riscontro nelle conseguenze di un’invasione del nostro pianeta e, per questo, vorremmo che prendeste in considerazione di quante spedizioni, di quante guerre è stata devastata la Terra per il possesso di zone di conquista. In fondo gli alieni ci hanno invaso molte volte per possesso dei nostri territori, del nostro fertile pianeta e pure per le nostre donne che sembrano le più belle e le più rare dell’universo.

Lasciamo stare la fantasia e passiamo alla realtà.

Tutti quanti sappiamo, o dovremmo conoscere la storia dell’invenzione della radio ma se ci ponessimo su Chi ha inventato la Radio? Tutti o quasi tutti risponderemmo: “Guglielmo Marconi”. Questo non è esatto perché il vero inventore della radio non è lui. E’ più giusto affermare che il signor Marconi ha mostrato al mondo quello che altri avevano già scoperto.

Tutto cominciò con Micheal Farraday (1792-1867) il quale dopo ripetute ricerche, si rese conto di come ci fosse una forte influenza reciproca tra elettricità e campi magnetici e, quando osservò che l’ago di una bussola cambiava direzione in presenza di elettricità, fu in grado di affermare con certezza che l’elettricità genera i campi magnetici. Però è giusto anche dire che, alla base dei risultati di Farraday ci furono le scoperte di H.C. Oëster, le cui ricerche sull’interazione tra campi magnetici ed elettricità lo portò a enunciare che nello spazio c’è un vettore che è un trasportatore di messaggi.. Antonio Pacinotti, fisico italiano, sfruttò le scoperte di Farraday per inventare la dinamo. In questo modo fu possibile produrre elettricità tramite energia meccanica. J. C. Maxwell scoprì a livello teorico l’esistenza delle onde elettromagnetiche, ma sarà H. R. Hertz ad individuarle a livello pratico e infatti non è assolutamente sbagliato dire che fu proprio Hertz a compiere passi importanti sulla invenzione della radio della radio. Infatti giunse a dire che le onde elettromagnetiche sono movimenti di propagazione di elettricità e fu pure in grado di misurarle Ora si può dire che le basi sono state create. Il compito di chi verrà dopo sarà quello di trovare, creare inventare i dispositivi in grado di di catturare queste onde e trasformarle in suono.

Augusto Righi arriva poi a scoprire che l’atmosfera è piena di correnti elettriche. Eduard Branly (1844-1940) inventa una tecnologia: il Coherer, un rilevatore che è allo stesso tempo ricevitore di onde elettromagnetiche. Senza questa invenzione, capace di mostrare sperimentalmente l’esistenza delle onde elettromagnetiche, Marconi non sarebbe ricordato oggi perché il primo a captare le onde a distanza attraverso il vuoto, circa 700 metri, fu Oliver Lodge. In conclusione, alla fine del XIX secolo gli scienziati hanno le prove e quindi la certezza che si possono trasmettere messaggi attraverso l’etere attraverso l’impiego delle onde elettromagnetiche.

Non è a conoscenza di tutti che, in Brasile, e precisamente nel 1893 Roberto Landell De Moura (1861-1928) arriva ad un passo dall’esperimento marconiano. Riesce, infatti, a trasmettere un impulso da una parte all’altra, a una distanza notevole. Notate che siamo a due anni prima dell’esperimento di Marconi. Anche in Russia, Alexander Stepanovich Popov riuscì a dimostrare che era possibile trasmettere un messaggio da un punto a un altro, solo che non lo eseguì in maniera così plateale come fece invece Guglielmo Marconi.

Ufficialmente l’esperimento di Marconi diede quindi vita alla possibilità di trasmettere verso l’etere. L’unica vera invenzione di Marconi fu la messa a terra del filo, per il resto tutto già era noto.

Gli ultimi due passi prima di arrivare alla radiodiffusione vera e propria furono compiuti nel 1900 e nel 1901. Nel 1901 l’ingegnere Reginald Audrey Fessenden fu il primo a trasmettere la voce umana utilizzando un microfono telefonico. Ma l’anno precedente, nel 1900, arriva la vera invenzione tramite la quale possiamo tranquillamente dire che la radio era nata: John Fleming diede vita al Diodo, una valvola termodinamica capace di trasformare l’impulso elettrico in suono. Il diodo sarà una componente insostituibile della radio, della televisione, dei calcolatori e di molti altri apparecchi elettronici fino all’invenzione del Transistor.

Marconi avrebbe quindi letto degli esperimenti compiuti dal fisico tedesco Hertz e il lavoro compiuto da Nikola Tesla. Partendo da questi testi, Marconi ha capito che le onde radio potevano essere usate per comunicazioni senza  fili. Nell’autunno del 1894, nella villa di Pontecchio presso Bologna, il giovane ventenne Guglielmo Marconi nel granaio adibito a laboratorio, lavorando notte e giorno tra rotoli di filo di rame, sfere di ottone, rocchetti di Ruhmkorff, tasti Morse e campanelli, realizzò i primi rudimentali apparecchi. I primi deboli segnali riuscirono a superare qualche centinaio di metri; dalla finestra del granaio dove era posto il trasmettitore fino alla collinetta in fondo al giardino ove si trovava il ricevitore, i tre punti della lettera S viaggiavano nello spazio arrivando a destinazione, e il colono Mignani sventolava un fazzoletto, indicando l’avvenuta ricezione. Marconi però voleva superare gli ostacoli del terreno e trasmettere tra due punti tra loro non visibili. Portò il ricevitore al di là della collina, dove il Mignani con il suo fucile attese che il campanello del ricevitore suonasse per tre volte. Dal suo granaio Marconi premette per tre volte sul tasto del trasmettitore e gli rispose lontano un colpo di fucile: le onde elettromagnetiche avevano superato l’ostacolo, le radio comunicazioni erano ora possibili! Da quel momento in poi la radio cominciò a trasmettere e il risultato fu ed è che ancora oggi, dalla Terra, le nostre trasmissioni vagano nello spazio: tutta una serie di segnali, di radiazioni, una specie di concerto di mille strumenti, una sorta di biglietto da visita per poter dire a chiunque, al di fuori del nostro pianeta, siamo qui!

Il S.E.T.I.

SETI è un acronimo per Search for ExtraTerrestrial Intelligence cioè ricerca di vita intelligente extraterrestre. La possibilità che esista vita e anche vita intelligente in altri pianeti è stata considerata da secoli, tuttavia l’attuale ricerca SETI si può dire che abbia origine nel 1959 quando Giuseppe Cocconi e Philip Morrison pubblicarono un articolo nel British Science Journal Nature in cui sottolineavano che in linea di principio sarebbe stato possibile comunicare con civiltà aliene usando onde radio nel range delle micro-onde. Si aprivano così due interessanti possibilità: intercettare segnali inviati nello spazio da altre civiltà (anche per altre finalità ! come noi stiamo inviando involontariamente trasmissioni radio-televisive, impulsi radar, segnali Laser…) e/o ricevere segnali inviati appositamente da civiltà aliene desiderose di comunicare.

Un giovane astronomo americano, Frank Drake, era giunto indipendentemente alla stessa conclusione e nella primavera del 1960 aveva usato il radio telescopio da 30 metri di Green Bank, West Virginia, USA, per il primo tentativo di intercettare segnali radio artificiali provenienti dalle stelle. Dal momento che si ritiene più probabile che la vita possa essersi sviluppata su pianeti in orbita su stelle dello stesso tipo del nostro sole, F. Drake tenne sotto osservazione per due mesi due stelle di questo tipo: Tau Ceti e Epsilon Eridani, distanti dalla Terra circa 11 anni luce. Fu usato un ricevitore (a un solo canale) sintonizzato sulla “magica” frequenza di 1,420 MHz (cioè sulla linea di emissione a 21 cm dell’idrogeno neutro; tale frequenza era stata indicata anche da Cocconi e Morrison per la sua rilevanza astronomica: ogni civiltà con una tecnologia abbastanza evoluta avrebbe dovuto conoscerla e prenderla in seria considerazione per una trasmissione). L’esperimento fu chiamato Progetto OZMA dal nome della regina dell’immaginaria terra di OZ. Drake e i suoi collaboratori cercavano sequenze ripetute o strutture nei segnali che indicassero una loro eventuale origine ‘intelligente’. Anche se non fu trovato nessun segnale siffatto, il Progetto OZMA suscitò interesse nella comunità degli Astronomi e soprattutto in Russia. In effetti negli anni ’60 la ricerca SETI fu dominata dalla Unione Sovietica, i cui scienziati adottarono spesso strategie innovative. Per esempio, invece di osservare stelle vicine, venivano usate antenne quasi onnidirezionali per tenere sotto osservazione vaste porzioni di cielo, facendo assegnamento sull’esistenza anche di poche civiltà aliene molto avanzate tecnologicamente e quindi in grado di produrre trasmissioni di enorme potenza. Agli inizi degli anni ’70 un centro di ricerca della NASA (Ames Research Center in Mountain View, California) commissionò a un gruppo di esperti uno studio approfondito sulla tecnologia necessaria per una ricerca SETI efficiente. Il team di esperti, sotto la direzione di Bernard Oliver (della Hewlett-Packard Corporation) produsse tale studio, noto come Progetto Ciclope: su tale studio è stata basata gran parte della ricerca successiva. Anche se la schiera gigante di radio telescopi consigliata nel Progetto Ciclope non fu mai costruita, la crescente percezione che tale ricerca potesse avere dopotutto una ragionevole possibilità di successo portò, specialmente in America, a una rinnovata attività nel campo. Molti nuovi progetti di ricerca furono avviati, alcuni di essi durano tuttora, usando via via tecnologie più avanzate e sofisticate. Un progetto di lunga durata fu avviato alla Ohio State University, usando il grande radiotelescopio “Big Ear“. Proprio al Big Ear il 15 Agosto del 1977 fu ricevuto il più forte e promettente segnale dalle stelle, noto ora a tutti come  il segnale WOW (caspita! accidenti!). Il nome deriva dalla annotazione che lo scienziato in servizio quel giorno, Jerry Ehman, fece in margine al tabulato dei dati appena stampato. Tale segnale aveva tutti i requisiti giusti: purtroppo non si è più ripetuto a dispetto delle ripetute osservazioni successive lasciando il dubbio che dopotutto fosse spurio (magari una trasmissione terrestre riflessa accidentalmente da qualche oggetto nello spazio).

Una serie impressionante di ricerche è stata effettuata dal gruppo SETI di Harvard. Il loro progetto Meta, operativo dal 1985 al 1994, ha trovato ben 27 eventi con i giusti requisiti: di nuovo, purtroppo, nessuno di questi possibili candidati si è ripetuto. Attualmente nel progetto Beta si sta effettuando una scansione completa del cielo settentrionale usando una antenna di 26 metri che alimenta un ricevitore a 80 milioni di canali. ll Progetto Serendip, invece, è una ricerca, portata avanti dalla Università di California (UC Berkely) e che usa il più potente radiotelescopio esistente, il disco di 305 metri di diametro dell’Osservatorio di Arecibo, che alimenta simultaneamente un ricevitore di ben 168 milioni di canali. Una versione del ricevitore è stata anche sviluppata in Italia presso l’Istituto di RadioAstronomia di Bologna. Collegato al Serendip, il SETI Australia Centre usa il radiotelescopio Parkes di 64 metri di diametro, il più grande nell’emisfero Sud della Terra. Attualmente si può effettuare uno scan di 8 milioni di canali di frequenza ogni 1,7 secondi ma un nuovo ricevitore porterà presto ad un tetto di 64 milioni di canali. Alla fine degli anni ’70 la NASA aveva varato due programmi SETI che avrebbero usato una duplice strategia. Il gruppo dello Ames Research Centre avrebbe “esplorato” le 1000 stelle del tipo Sole più vicine a noi con una strumentazione in grado di individuare e raccogliere anche segnali deboli e sporadici mentre un gruppo al Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena, California, avrebbe scandagliato la totalità del cielo (in cerca di segnali ‘forti’ da qualunque direzione). Dopo 10 anni di accurata preparazione e pianificazione, la NASA nel 1988 finanziò il progetto che richiese ulteriori 4 anni per divenire operativo. Tuttavia, dopo neanche un anno di attività, Il Congresso USA tagliò i fondi e il progetto fu terminato. Il SETI Institute (Mountain View, California), creato all’inizio per collaborare con il programma la NASA, ne ha ereditato la tecnologia e la strategia. L’Istituto è attualmente finanziato da privati, il suo presidente è quel F. Drake pioniere del SETI e autore della famosa omonima equazione (Drake Equation) in grado di fornire la probabilità di esistenza di civiltà aliene in grado di comunicare. Dal 1993 supporta il Progetto Phoenix, il più complesso che sia stato mai attuato, oltre a una vasta varietà di attività legate al SETI.

Il segnale Wow

Il 15 agosto 1977, nel corso di una ricerca di possibili segnali di provenienza extraterrestre, l’astronomo Jerry Ehman notò un segnale insolitamente forte nel tabulato che riportava le osservazioni del telescopio “Big Ear”, nell’Ohio. Accanto al segnale annotò il commento “Wow!”, e da allora quello è passato alla storia come “il segnale WOW”. Purtroppo non si è mai riusciti a trovargli una spiegazione convincente, per cui probabilmente si tratta dei migliore candidato ad un segnale artificiale extraterrestre. La storia è raccontata con un sacco di dettagli tecnici dallo stesso Ehman, a 30 anni da quell’osservazione.

La ricerca di segnali radio extraterrestri, il SETI, è un’impresa assolutamente disperata. Infatti per ricevere il segnale proveniente dalle sonde Voyager, a solamente 3 giorni luce dalla Terra, si adoperano i più grossi radiotelescopi esistenti, e anche se il telescopio Square Kilometre Array potrebbe in linea di principio rilevare un grosso trasmettitore a qualche centinaio di anno luce di distanza, i radiotelescopi oggi usati potrebbero rilevare solamente un segnale deliberatamente rivolto a noi. Anche il tipo di segnale è sconosciuto. Dovrebbe essere particolarmente semplice per poterne individuare la natura artificiale, e quindi si presume essere composto da una semplice portante, un’onda radio di frequenza fissa. Le possibili frequenze utilizzate dovrebbero essere comprese tra 1 e 10 GHz, regione in cui l’emissione radio naturale è minore. Le frequenze di alcune sorgenti naturali sono particolarmente indicate, in quanto gli astronomi le osservano già per scopi scientifici, e le emissioni naturali possono essere distinte in quanto tipicamente occupano una banda più larga dell’ipotetico segnale artificiale.

I radioastronomi si trovano in continuazione ad avere a che fare con segnali artificiali, in realtà di produzione terrestre. Un tipico radiotelescopio sarebbe in grado di ricevere anche un normale cellulare che trasmettesse da Marte, quindi qualsiasi trasmettitore terrestre, anche se non si trova nella direzione puntata dal telescopio, crea grossi disturbi. In ogni osservatorio radioastronomico ci sono delle persone hanno l’ingrato compito di andare a caccia di trasmettitori “irregolari”: amplificatori d’antenna o telecomandi di cancelli malfunzionanti, isolatori di linee ad alta tensione che scaricano, circuiti elettronici di ogni tipo schermati male, forni a microonde che disperdono… Anche un detrito spaziale può riflettere verso il telescopio onde radio da lui prodotte. Quindi la ricerca di SETI è doppiamente difficile, perché esistono moltissimi segnali evidentemente artificiali che non sono di orine extraterrestre.

Il telescopio Big Ear era (è stato smantellato nel 1997 per far posto a un campo da golf e di questo chi ha promulgato questa idiozia accetti i nostri complimenti per la scelta) un telescopio di transito. Ogni giorno veniva puntato verso una direzione fissa e grazie alla rotazione della Terra osservava una sottile striscia di cielo nell’arco delle 24 ore. In questo modo, striscia dopo striscia, poteva osservare tutto il cielo: si tratta del tipo di strumento ideale per poter sorvegliare grandi zone di cielo. Però ogni posizione può essere osservata solo per pochi secondi (circa un minuto, nel suo caso) e non è possibile ripuntarlo in una direzione arbitraria, occorre aspettare che questa gli ritorni davanti. Dal 1973 al 1995 venne impiegato per quella che è stata probabilmente la più lunga ricerca sistematica di possibili segnali alieni mai realizzata. Era equipaggiato con un ricevitore sintonizzato alla frequenza di emissione dell’idrogeno, a 1420 MHz. Il ricevitore misurava la differenza tra l’emissione in due zone di cielo vicine, in modo da cancellare il rumore dovuto al ricevitore e al fondo del cielo, e scomponeva il segnale in strette bande da 10 kHz ciascuna. Il risultato veniva stampato ogni 12 secondi su un tabulato, usando numeri e lettere per rappresentare l’intensità del segnale.

Il segnale WOW era costituito dalla sequenza di caratteri “6AQU J5”, che trasformato in un grafico rappresenta un segnale che gradatamente aumenta d’intensità, fino a raggiungere un valore di 30 unità arbitrarie (54 Jansky, per i radioastronomi: il Jansky è una unità di misura del flusso e della densità di flusso elettromagnetico non appartenente al Sistema Internazionale usata comunemente in radioastronomia.), e poi cala. Il profilo corrisponde precisamente a quello che avrebbe un segnale extraterrestre, visto dal telescopio mosso dalla rotazione della Terra. Il segnale è stato visto solo in un canale di frequenza, come ci si aspetterebbe da un segnale artificiale. Ma in teoria un segnale extraterrestre dovrebbe vedersi due volte, in quanto transita davanti ad entrambi i “fasci” del telescopio. Il fatto che si sia visto solo una volta indica che nei cinque minuti necessari per passare da un fascio all’altro la sorgente si è spenta (o accesa, se è stata vista dal secondo fascio).

In questi quarant’anni anni si è inutilmente cercata ogni spiegazione per questo segnale. La regione di cielo è stata tenuta sotto controllo in continuazione, ma senza successo. Non conteneva all’epoca pianeti o asteroidi noti, neppure stelle vicine al Sistema Solare. Anche se ogni trasmissione è vietata a questa frequenza, è possibile che si potesse trattare di un segnale terrestre, in fondo i guasti non rispettano le regolamentazioni. Però avrebbe dovuto variare esattamente come farebbe un segnale proveniente dallo spazio, cosa alquanto improbabile. Non può essere causato da un aeroplano o un satellite artificiale, che si muovono molto più velocemente. Potrebbe essere un segnale riflesso da un asteroide, abbastanza lontano dalla Terra da non muoversi in maniera rilevabile in quel minuto, ma questo richiederebbe un trasmettitore a terra molto potente, non compatibile con una trasmissione accidentale. Potrebbe essere dovuto a un malfunzionamento del ricevitore, ma ancora è molto strano che questo si sia verificato una sola volta, e con le esatte caratteristiche di un segnale extraterrestre. Sono stati proposti, ed esclusi, i meccanismi più improbabili, come l’effetto di una lente gravitazionale che avrebbe amplificato il segnale di una galassia lontana. Alla fine rimaniamo con il classico problema dei casi unici: abbiamo solo quel tabulato e tante ipotesi che non possono essere verificate.

Recentemente un astrofilo, il prof. Antonio Paris (professore di astronomia al St. Petersburg College di Tarpon Springs, Florida, e fondatore di un gruppo ufologico, “The Aerial Phenomenon Investigations Team”), ha reso disponibile sul web un articolo, annunciato in via di pubblicazione sul Journal of the Washington Academy of Sciences (fascicolo inverno 2016) in cui suggerisce che il segnale sia dovuto al gas nella chioma di una cometa, che accidentalmente è passata nel fascio del radiotelescopio (risulta anche un secondo autore, Evan Davies, che però non si è mai esposto pubblicamente sulla teoria). Secondo i calcoli di Paris le traiettorie della cometa 266P/Christensen e della P/2008 Y2 (Gibbs) hanno attraversato appunto uno dei fasci all’incirca al momento giusto. E suggerisce di riosservarle quando ripasseranno per lo stesso punto, il 25 gennaio 2017 e il 7 gennaio 2018.

La cosa però presenta diversi problemi. Nella chioma di una cometa è presente acqua, e la radiazione ultravioletta del Sole la scompone producendo ossidrile (ione OH), e idrogeno, che genera appunto un segnale radio a quella frequenza. Ma l’idrogeno ha un’emissione radio estremamente debole, e per produrre il segnale osservato servirebbe la quantità di questo gas liberata da alcuni chilometri cubi di ghiaccio. Il gas normalmente presente in una cometa è meno di un milionesimo di questo, e quindi produrrebbe un segnale alcuni milioni di volte minore di quanto osservato. L’ossidrile, che ha un’emissione molto più intensa, è stato osservato diverse volte nella chioma di comete, ma non esistono osservazioni radio di idrogeno in comete. L’idrogeno viene osservato correntemente in galassie esterne, ma in nessuna immagine di queste è mai apparsa accidentalmente una cometa. Anche presumendo che la cometa fosse molto vicina alla Terra, e che la velocità di evaporazione del nucleo fosse estremamente alta, non si riesce a raggiungere la luminosità radio del segnale WOW. Questa critica è già stata mossa da astronomi professionisti, ad esempio dal prof. James Bauer del JPL.

Analizzando in dettaglio l’articolo emergono altre grosse incongruenze. Le comete indicate come sorgenti del segnale non erano nel fascio del telescopio, ma a diversi gradi di distanza, al momento dell’osservazione. Il radiotelescopio quindi non era in grado di vederle. Inoltre gli oggetti nel Sistema Solare hanno velocità relative piuttosto alte, e questo causa uno spostamento Doppler della riga, che ancora per le due comete era molto differente da quello osservato. Le due comete erano oltre la fascia degli asteroidi e quindi poco attive, il che riduce ulteriormente l’intensità di un eventuale segnale. Infine non si capisce perché aspettare un anno per osservare nuovamente le comete: visto che il problema è se una cometa possa essere visibile a quella frequenza, la teoria potrebbe essere provata osservandone una qualsiasi.

In conclusione le comete non erano nella direzione osservata, si muovevano a una velocità differente da quella del segnale, e l’idrogeno prodotto da una cometa emette un segnale talmente debole da non essere mai stato osservato finora, mentre il segnale WOW era particolarmente intenso. Appare molto improbabile che questa ne sia una spiegazione.

(13 – continua)

Giovanni Mongini