UN CANNIBALE DI NOME DEODATO: IL CINEMA THRILLER – HORROR DI UN REGISTA AMERICANO

Introduzione

Ho conosciuto Ruggero Deodato a Collesalvetti, una località nei pressi di Livorno dove un gruppo di giovani cinefili aveva organizzato un Festival Indipendente del Cinema Horror. Lui era presidente di giuria e io uno dei membri insieme all’amico Antonio Tentori. Mi ha subito affascinato con quel modo di proporsi estroverso ed esuberante, sempre sopra le righe. Deodato è l’antitesi della diplomazia. Lo ammette anche lui. Al Festival era ospite per un solo giorno anche Antonio Margheriti ed è bastato poco per capire quanto affetto e stima provava Deodato per quello che considerava un maestro.  Al momento in cui scrivo queste righe Antonio Margheriti non è più tra noi. Ho avuto appena il tempo di conoscere uno dei più grandi artigiani del cinema di genere italiano. Deodato ha girato con lui i primi film da regista della seconda unità, grazie a Margheriti è riuscito a emanciparsi e a mettersi in proprio. Prima che Margheriti arrivasse Deodato mi ha confessato: “Ora vedrai che differenza c’è tra me e lui. Io dico quel che mi passa per la testa, ci sto poco a pensare. Lui invece è sempre misurato, diplomatico. È un galantuomo, un personaggio d’altri tempi. Parla tanto ma lo fa con molto tatto”.

Deodato dice sempre pane al pane e vino al vino, anche in quell’occasione non ha lesinato critiche feroci ai giovani autori in concorso, quando lo meritavano. Come non si è risparmiato in complimenti per i più bravi. Alla luce del sole, come suo stile. Deodato sa essere umile e sta volentieri in mezzo ai giovani che dopo Cannibal Holocaust ne hanno fatto un mito. Certo, non proprio tutti. Gli animalisti, decisamente, non lo amano…

Il mio incontro con Deodato nasce con una gaffe e merita di essere raccontato. Avevamo appena assistito a Gay Holocaust, opera in concorso girata dal bresciano Piero Galli. Un lavoro amatoriale, certo mediocre, ma ricco di trovate originali e di omaggi al cinema cannibalico italiano. Mi imbatto subito fuori della sala in un tipo piccoletto con i capelli bianchi e un marcato accento romano. Non so chi sia. Parliamo del film.

“Non male” dico “un omaggio ironico al cinema di Deodato…”

Lui mi guarda e sorride.

“Bene. Sono contento allora, perché Deodato sono io”.

Di Deodato sino a quel momento avevo visto solo una foto che risaliva a quando il regista non aveva neppure quarant’anni, pubblicata in un vecchio libro di cinema di Luigi Cozzi. Era ritratto a cavallo della macchina da presa.

Abbiamo cominciato così.

“Che razza di esperto di cinema sarà mai questo che non mi ha neppure riconosciuto…” avrà pensato.

La mia considerazione però esprimeva ammirazione per il suo cinema e non era mera adulazione. E quello credo che l’abbia apprezzato.

Abbiamo continuato a parlare dei corti in concorso. Deodato sino a quel momento non era molto soddisfatto della qualità e a un certo punto ha ripensato alla mia gaffe.

“Ma davvero facevo film così brutti?” ha chiesto.

“No, no. Ci mancherebbe altro. Dicevo solo che Gay Holocaust è un omaggio, che l’autore si è ispirato. Tutto qui”.

“Ah, meno male. Però poteva ispirarsi meglio” ha concluso.

Nei giorni successivi Deodato ha parlato a lungo di sé e delle sue prime esperienze nel mondo del cinema. Soprattutto ha raccontato i suoi film cannibali, quelli che bene o male lo hanno reso famoso.

“Ho poco a che spartire con l’horror” mi ha detto “io sono un regista di genere all’americana. Ho fatto di tutto: commedie, thriller, peplum, fantastico… A chi definisce Cannibal Holocaust un film horror rispondo che non l’ha capito, che deve guardarselo per bene e storicizzarlo. Era il periodo degli scoop giornalistici a tutti i costi e il mio film è un atto di accusa contro un certo modo di fare giornalismo. Cannibal Holocaust è una pellicola di denuncia ed è il mio lavoro più riuscito”. Dopo la visione Deodato si è lasciato andare ancora di più. “Non so come ho fatto a girare un film così bello” ha detto.

Non pensate che sia soltanto immodestia. Andatevi a vedere Cannibal Holocaust senza pregiudizi e poi ne riparliamo. Nel film si lanciano accuse precise contro il sensazionalismo e la caccia allo scoop, mali dai quali la nostra società è tutt’altro che guarita. Ma affronteremo l’argomento a suo tempo, come diremo qualcosa di un certo The Blair Witch Project che deve molto al capolavoro di Deodato.

Personalmente non sono d’accordo con il regista quando si chiama fuori dal genere e afferma: “Io non c’entro niente con l’horror”. Penso che Deodato sia un autore capace di andare oltre il semplice cinema dell’orrore, perché è un geniale contaminatore dei generi. Resta il fatto che le sue pellicole più riuscite sono proprio quelle che riproducono atmosfere tipiche del cinema del terrore. Non per niente i francesi lo hanno soprannominato Monsieur Cannibal, appellativo che a Deodato piace poco. Ma lui, come il medico di Moliere, è destinato a essere, suo malgrado, il signore dei cannibali.

(continua)

Gordiano Lupi