IL CINEMA SECONDO DI LEO – TRA EROTISMO PERVERSO E NOIR PRE TARANTINO 18

RITORNO AL NOIR

Diamanti sporchi di sangue (1978)

Diamanti sporchi di sangue (1978) segna un episodico ritorno al noir per il regista pugliese che realizza un film molto vicino alle atmosfere di Milano calibro 9, anche se mi sembra eccessivo (come fanno alcuni critici) definirlo un remake della precedente pellicola.

Il film è prodotto da Umberto e Vittorio Russo per Teleuropa International Film. Distribuisce niente meno che Titanus. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Fernando di Leo mentre la fotografia è diretta da Roberto Gerardi. Il montaggio è di Amedeo Giomini, direttore di produzione è Franco Vitulano e organizzatore generale Mario Pellegrino. Le scenografie sono di Franco Cuppini, i costumi di Elisabetta Lo Cascio e la colonna sonora è dell’ottimo Luis Enriquez Bacalov. Interpreti principali: Claudio Cassinelli, Martin Balsam, Barbara Bouchet, Pier Paolo Capponi, Olga Karlatos, Vittorio Caprioli, Riccardo Perotti Parisio, Raoul Lo Vecchio, Fernando Cerulli, Camillo Chiara, Fulvio Mingozzi, Santo La Barbera, Agostino Crisafulli, Paul Oxon, Franco Beltrame, Erigo Palombini, Salvatore Billa, Domenico Di Costanzo, Sergio Sinceri, Paolo Manincor, Alberto Squillante e Roberto Reale.

Guido Mauri (Cassinelli) sta compiendo una rapina in un’agenzia assicurativa insieme all’amico Marco, per conto del boss Rizzo (Balsam) da cui attende quaranta milioni per un colpo andato a buon fine. Una telefonata anonima denuncia il tentato furto alla polizia che irrompe sul luogo del crimine e dopo una sparatoria ferisce Marco (che scappa) e arresta Guido. Il bandito sconta cinque anni di reclusione, ma non tradisce l’amico che resta libero, manda avanti un’attività di garagista e si occupa di Maria (Karlatos), la compagna di Guido. Mauri esce di prigione con l’idea di vendicarsi del torto subito, soprattutto perché pensa che sia stato Rizzo a denunciarlo. La corriera sulla quale viaggia insieme alla compagna viene assalita dai banditi per compiere una rapina, ma Guido pensa che siano emissari di Rizzo e li uccide in uno scontro a fuoco. Purtroppo nella sparatoria perde la vita Maria e il figliastro Enzo (che già odiava Guido) lo aggredisce al commissariato, dice che non vuole più vederlo e non gli perdona la perdita della madre. Il boss Rizzo cerca di venire a patti con Guido e di fargli capire che non è stato lui a denunciarlo, ma quando si accorge che il suo ex collaboratore non gli crede passa alle minacce. Il picchiatore psicopatico Tony (Capponi) viene incaricato di seguire Guido e di farlo fuori se entro tre giorni non lascerà Roma. Enzo sta insieme a Lisa (Bouchet), una provocante ballerina di night che lo convince a contattare Rizzo per organizzare un furto di diamanti, ma il boss elimina il ragazzo e si appropria della refurtiva. Mauri si mette contro Rizzo e insieme all’amico Marco trafuga la partita di diamanti rubati proprio mentre vengono tagliati. Tony si scatena e in un eccesso di violenza non condiviso da Rizzo uccide Marco, crocifiggendolo con tre chiodi a una parete del suo garage. L’ultimo chiodo affonda nel cuore dell’amico di Guido che muore senza parlare e non confessa il nascondiglio dei diamanti. Lisa si dimostra una vera dark lady senza morale e adesso che Enzo è morto si mette dalla parte di Tony e va a letto con lui, ma non esita a tradirlo a favore di Guido. Una lotta all’ultimo sangue tra Tony e Guido vede il primo soccombere sotto gli occhi della donna terrorizzata. Alla fine è proprio Lisa che confessa a Guido la verità. Non è stato Rizzo a denunciarlo alla polizia ma il giovane Enzo che è sempre stato geloso della madre. Guido si pente e comprende di aver fatto un errore, quindi si consegna a Rizzo davanti ai suoi sgherri schierati e riporta i diamanti rubati. Il finale vale l’intero film e presenta le figure di due persone dotate di grande senso morale che si rispettano e si apprezzano. Il boss finge di uccidere Mauri davanti ai suoi uomini, ma si limita a ferirlo a una spalla e il colpo di scena è assicurato, perché quando tutti se ne vanno Guido si alza e comprende di averla scampata. Il finale è stupendo e procede con dialoghi ben congegnati secondo precisi tempi tecnici. Guido porta i diamanti a Rizzo nel vecchio mattatoio, sfila in mezzo a due ali di uomini convocati per la resa dei conti. La musica intensa evidenzia un momento importante della pellicola. “Ho sbagliato tutto, Rizzo” confessa Guido.  “È vero, ma non hai solo sbagliato su di me. Ti sei messo contro di me. Hai ammazzato molti uomini. Hai sbagliato senza onore. Per questo morirai…” replica il boss. Ritorna il tema del vivere con onore e la morte di Guido deve rappresentare un insegnamento per coloro che vogliono campare da delinquenti secondo un preciso codice. Rizzo è un perfetto uomo d’onore. Deve uccidere Guido ma chiede: “Devo fare qualcosa per te?”. E Guido risponde: “Uccidimi tu, Rizzo. Fa che tra te e me non ci siano boia”. Una frase che concede al boss la possibilità di salvare la vita a Guido senza perdere l’onore. “Mi dispiace, Guido. Mi dispiace, ma mi ci hai costretto…” mormora. Tra i due c’è solo il tempo per un abbraccio, il boss punta la pistola e spara, ma la canna scivola sulla spalla. Guido ottiene salva la vita, ma resterà un segreto tra uomini d’onore. Rizzo è un malavitoso con una precisa moralità e di Leo lo descrive così bene da renderlo simpatico allo spettatore.

Diamanti sporchi di sangue arriva dopo un anno di inattività per di Leo e incontra qualche difficoltà di realizzazione a causa di una legge antiterrorismo che impedisce l’uso di armi sul set cinematografico. Di Leo rimedia con pistole giocattolo, ma il realismo a lui tanto caro risulta un po’ limitato. Il film è ambientato in una Roma solare e luminosa, niente a che vedere con i grigi navigli milanesi, ma neppure con la Palermo notturna e con la Napoli mediterranea dei precedenti lavori. Il titolo della sceneggiatura è Roma calibro 9 e sin da questo elemento è chiaro il riferimento a Milano calibro 9, soprattutto per le tematiche tipiche del cinema dileiano. Il titolo in lavorazione si modifica in Diamanti rossi di sangue e alla fine si arriva a Diamanti sporchi di sangue. Di Leo parla di senso dell’onore, stima e tradimento, ma anche di rispetto tra uomini della malavita e di un codice di comportamento non scritto. Viene alla ribalta anche il solito tema della rabbia che esplode dopo un grave torto subito e della vendetta da parte di un uomo colpito negli affetti più cari. Un altro tema caro a di Leo è quello della corruzione all’interno della polizia e anche in questa pellicola troviamo un informatore malmenato da Cassinelli, costretto a cambiar mestiere perché fare il poliziotto non è cosa per lui. In ogni caso il boss assume un nuovo informatore e dal commissariato continuano a trapelare notizie. Di Leo pare voler dire che dalla corruzione non c’è salvezza perché è un male antico quanto l’uomo. In questo film il traditore dovrebbe essere il boss, ma non è vero, lo si comprende solo alla fine, pure se il regista inserisce un evidente indizio nell’antefatto, quando inquadra il figlio di Maria che spia le mosse di Guido da una porta socchiusa. I plot di Milano calibro 9 e Diamanti sporchi di sangue si assomigliano: un rapinatore dopo alcuni anni di galera esce e si scontra con il vecchio boss, il protagonista è un duro dai nervi saldi desideroso di vendetta, il braccio destro del boss è un feroce psicopatico, il giovane è un traditore, la Bouchet balla in un night e fa la dark lady… Questa pellicola non è comunque un remake, anche se ci sono molte somiglianze che riconducono a uno stile comune, a una medesima ispirazione e a una poetica da completare. Il protagonista di Diamanti sporchi di sangue si rende conto di essersi comportato come uno stupido, ma ha salva la vita. Ugo Piazza/Moschin, in Milano calibro 9, fa una brutta fine, anche se si comporta da dritto fino all’ultima scena.

La pellicola conserva i momenti migliori in alcune scene di grande tensione e nelle sequenze di azione, rese con crudeltà e realismo. I protagonisti sono molto bravi, anche se Claudio Cassinelli non è il massimo nei panni del malavitoso tutto d’un pezzo. Non ha l’aspetto adatto e neppure il fisico, ma soprattutto la sua espressione è identica per tutta la durata della pellicola. In un primo tempo il protagonista doveva essere Franco Gasparri, famoso come attore di fotoromanzi e per la trilogia di Mark il poliziotto di Stelvio Massi (1975 – 76). Non credo che la pellicola ne avrebbe tratto grande giovamento, perché Franco Gasparri non è il massimo dell’espressività. Forse per dare maggior credibilità alla vicenda sarebbe servito un attore come Gastone Moschin o Mario Adorf. Pier Paolo Capponi è bravissimo nei panni dello psicopatico e violento Tony, che rende a dovere arricchendolo di tic e con espressioni gergali da siciliano trapiantato a Roma. Tony usa ripetere alla fine di ogni discorso la domanda retorica: “Conforme?”, poi ironizza su Guido, lo chiama “uomo d’acciaio”, aggiunge “E chi è mai questo Guido Mauri, Diabolik?”, infine si lascia andare a eccessi di violenza inaudita. La scena durante la quale inchioda l’amico Marco a una parete del suo garage è tra le più dure del film, soprattutto quando Tony conficca l’ultimo chiodo nel cuore e lo uccide. Lo scontro a mani nude Cassinelli – Capponi è un’altra parte stupenda di cinema d’azione, perché i cazzotti sembrano veri e le immagini sono riprese dal regista in modo credibile. Pier Paolo Capponi lascia un marchio importante su questo film e anche se lo spettatore parteggia per l’imbambolato Cassinelli e odia con tutto il cuore il fetentissimo Tony, alla fine ricorda solo la parte del cattivo. Vittorio Caprioli è bravo come sempre ed è una presenza immancabile nei film del regista pugliese, quasi un attore feticcio, un portafortuna napoletano. Il suo commissario è molto atipico e la scena più divertente che lo vede protagonista è quella girata nella casa del boss. Di Leo si diverte a mostrare un battibecco tra il commissario napoletano e un improbabile avvocato veneto. Caprioli conclude imitando il dialetto del legale e se ne va infuriato maledicendo il momento in cui ha deciso di parlare con il boss. Martin Balsam rende a dovere la figura romantica di un malavitoso vecchio stampo che segue un codice d’onore e prova sentimenti forti. Barbara Bouchet ci riporta alla buona interpretazione di Milano calibro 9 e anche qui si esibisce come ballerina supersexy in una danza che la vede vestita con un bikini giallo fiammante. Il suo ruolo è quello della dark lady che ammalia il ragazzino, lo convince a compiere un furto rischioso insieme ai malavitosi, ma quando lui muore non esita a cambiare uomo e a schierarsi dalla parte del vincitore. I giornali scandalistici del tempo riportarono per molte settimane la notizia (non sappiamo quanto lanciata ad arte per pubblicizzare il film) di una sua fuga d’amore con il maestro d’armi Gilberto Galimberti. Olga Karlatos è una presenza rapida ma convincente con i suoi occhi stupendi che esprimono amore e preoccupazione per il suo uomo e angoscia e dolore un attimo prima di morire. Il ruolo della Karlatos è breve ma significativo e pure lei, come Barbara Bouchet, riveste un’importanza superiore alla media delle apparizioni femminili nel poliziottesco. In realtà di Leo non gira film polizieschi, ma noir duri e anche questo film non è da meno. Le scene di violenza sono realistiche e truci, in perfetto stile di Leo che non si smentisce e firma un altro capolavoro immortale del noir italiano. Luis Bacalov realizza un’ottima colonna sonora che sa essere dolce e accattivante nei passaggi sentimentali, sottolineando i ricordi del passato. La musica cresce di intensità quando accompagna momenti decisivi e violenti della pellicola. Diamanti sporchi di sangue è l’ultimo noir dileiano che esce al cinema, perché Killer contro killers (1982), interpretato da Henry Silva sullo stile de Il boss, non viene distribuito.

Paolo Mereghetti nel suo Dizionario concede due stelle al film che definisce un interessante noir crepuscolare, con un antieroe che sbaglia tutto e una sceneggiatura tutt’altro che banale. Degna di Scorsese la scena della tortura. Peccato per i mezzi limitati e gli attori (quasi tutti) svogliati. Condivido solo in parte il giudizio, perché il solo attore inadatto al ruolo (più che svogliato) mi è parso Claudio Cassinelli. Pino Farinotti conferma le due stelle ma come al solito non motiva e si limita a raccontare la trama. Per Il Morandini i film del regista pugliese continuano a essere colpevolmente omessi. La critica del tempo non è tenera con di Leo, segno di un marcato perbenismo cattolico tipico del periodo storico. Il Corriere della Sera scrive in un redazionale non firmato del 1978: La regia di Fernando di Leo perde mestiere e il film sconfina nel ridicolo anche a causa delle forzate figure di contorno, dei caratteristi dialettali. Claudio Cassinelli è Guido, la figura chiave attraverso la quale il regista aveva probabilmente pensato di costruire la logica di un vero e proprio melodramma gangsteristico, che finisce con l’essere, invece, soltanto un film confuso, privo di forma e ritmo. Un recensore anonimo rincara la dose su L’Ora: Esperto in fumetti spettacolari ove la mancanza di fantasia è compensata dalla ricerca di effetti sensazionali, generi preferiti quello caldamente sexy e quello truculento poliziesco, Fernando di Leo persiste con tenacia nel suo cinema vietato ai minorenni e indirizzato alle platee di facili gusti. Il risultato è un nuovo fumetto a base di violenza e di sesso, le cui cattiverie si inseriscono giustamente in una cattiva fine stagione. Sono critiche cattive e gratuite che rilette adesso fanno sorridere, ma al tempo devono aver provocato sofferenza nel regista.

Fernando di Leo confida a Nocturno Cinema: “Lo girai in un periodo molto difficile per l’industria cinematografica perché ormai le televisioni occupavano l’80% dello spazio dello spettacolo e il cinema, quello fruito nelle sale, iniziava i suoi spasmi mortali coinvolgendo, ovviamente, grandi firme, piccole firme e medie, come me. Poi non potevamo usare pistole finte né colpi a salve, una leggina temporanea lo impediva… isteria per il terrorismo. Il giorno prima dell’uscita al Supercinema, uno dei più importanti locali di Roma, scoppiò l’affare Moro… Roma diventò deserta di sera, l’Italia era sbigottita e gli incassi di tutti i film furono letteralmente azzerati dalle circostanze”.

(18 – continua)

Gordiano Lupi