NEANCHE GLI DEI – PARTE 01

La prima cosa che colpisce in “Neanche gli dèi”, romanzo arrivato dopo una decina d’anni di silenzio creativo da parte di Asimov, è la sua costruzione, bizzarra non meno che meticolosa. Innanzitutto ci troviamo di fronte a una suddivisione tripartita, pensata per la sua originaria pubblicazione su rivista di tre racconti consecutivi (Wikipedia), con un titolo complessivo che suonerebbe così: “Contro la stupidità umana…” “…Neanche gli dei…” “…Possono nulla?”. La frase è una citazione della “Pulzella di Orléans” di Schiller (a cui manca però lo speranzoso punto interrogativo asimoviano) ridotta molto opportunamente dallo scrittore di “Fondazione” a quel “Neanche gli dèi” che conosciamo, estremamente evocativo, promettente e dunque  autopromozionale.

Nella prima parte siamo sulla Terra, nel momento in cui un radiochimico, Frederick Hallam, si trova fortunosamente di fronte a un composto di natura aliena là dove avrebbe dovuto esserci del tungsteno: da qui nasce uno scambio in piena regola fra extraterrestri e uomini attraverso una Pompa Elettronica che permette a questi ultimi di ricavare energia pulita per tutti; pochi scienziati capeggiati da Lamont, ritenendo che lo scambio continuo prima o poi distruggerà il nostro mondo, osteggiano senza successo Hallam. Nella seconda sezione ci troviamo sul pianeta, collocato in un universo parallelo al nostro, da cui tutto ha avuto inizio; in esso la popolazione è divisa in creature: i Morbidi (suddivisi in Razionali, Paterni ed Emotive), che formano triadi per generarne altri esseri, e i Duri, detentori del potere ed effettivamente sul punto di sacrificare il nostro universo per continuare a ricavare l’energia che occorre loro. Anche lì, come sulla Terra, ci sono deboli movimenti di opposizione a un tale disegno. Nella terza parte, infine, Denison, uno degli scienziati oppositori di Hallam, emigra sulla Luna dove con l’aiuto di Selene, una lunarita, tenta di trovare una soluzione realistica al problema della Pompa Elettronica approfittando del diverso contesto scientifico in cui si trova a lavorare. Detto questo per offrire al lettore un minimo di coordinate contenutistiche, se proviamo a esaminare le ulteriori suddivisioni in capitoli del trittico, completamente sconvolte rispetto alla tradizione culturale e di cui daremo conto più avanti con precisione, ci troveremo di fronte alla puntigliosa stranezza a cui abbiamo accennato all’inizio.

Come dice Lippi, in questo modo Asimov senza dubbio “rifà garbatamente il verso agli sperimentalismi allora in voga nella fantascienza” (il romanzo è del 1972, mentre “Il salario purpureo” di Farmer, per fare un solo esempio di avanguardismo nella s.f., è del 1967), ma il gioco sembra prendergli la mano; nella dedica, infatti, egli afferma esplicitamente: “la storia comincia con il capitolo 6. Non è un errore. Ho i miei buoni motivi.” Con queste parole, egli pone quindi al lettore un enigma da risolvere (non dimentichiamo che è anche il creatore del “Club dei Vedovi Neri”) al quale non ci sottrarremo.

(1 – continua)

Gianfranco Galliano