GIOVANNI CASERTA… E LA LETTERATURA FANTASTICA LUCANA

Professore a riposo di italiano e latino nei licei, Giovani Caserta è un critico letterario, storico e saggista di notevole valore, con una solida preparazione umanistica oltre che politica. Corposa è la sua attività di studioso raccolta in testi che vanno da Dante a Isabella Morra, da Giovanni Pascoli a Cesare Pavese, da Carlo Levi a Rocco Scotellaro, da Leonardo Sinisgalli a Michele Parrella. Nel 1993, Caserta ha pubblicato la “Storia della Letteratura lucana” (Edizioni Osanna Venosa) complessa opera che analizza e racconta l’evoluzione della cultura lucana dall’età della Letteratura latina classica al secondo Novecento. Inoltre, tra i suoi lavori vi sono anche raccolte di racconti e di fiabe e favole. Lo abbiamo già ospitato sulla nostra webzine, nel 2012, in occasione del centenario della scomparsa di Giovanni Pascoli che, lo ricordiamo, tra il 1882 e il 1884 insegnò a Matera al Liceo classico “Duni” (lo stesso liceo nel quale ha insegnato per lungo tempo anche Giovanni Caserta). Questa volta, invece, insieme al critico materano abbiamo fatto un’incursione nella letteratura lucana, con particolare riferimento a quella fantastica, riandando soprattutto ai secoli scorsi. Riteniamo sia un tema inedito. Ecco a voi l’intervista.

PROFESSORE, INIZIEREI DA UNA RIFLESSIONE GENERALE: QUANTA LETTERATURA FANTASTICA, NELLE VARIE ACCEZIONI E INTERPRETAZIONI, DALLE FIABE E FAVOLE AL REALISMO MAGICO E’ PRESENTE NELLA LETTERATURA LUCANA?

E io faccio una considerazione. Qualunque forma letteraria, che sia creativa, cioè che aspiri all’arte, non può fare a meno della fantasia, condizione essenziale, insieme al sentimento, perché l’arte affiori e trionfi. Su questa considerazione si può innestare un discorso generale, particolarmente interessante per la Lucania Basilicata. Nella nostra regione, come in qualunque altra regione, ma soprattutto in quelle che, come la nostra, abbiano avuto lunghi periodi di sottosviluppo culturale, è esistita, netta, una doppia letteratura: quella dotta degli alfabetizzati, ristretta, e quella non dotta, popolare, necessariamente orale, largamente diffusa.

POTREBBE SPIEGARSI MEGLIO?

Vede. La letteratura dotta è stata patrimonio delle classi dotte, anzi di individualità dotte, necessariamente appartenenti al ceto ricco e quasi sempre blasonato. Sullo stesso terreno era il ceto ecclesiastico, anch’esso dotto e anch’esso, spesso, emanazione del ceto ricco e blasonato. Nobili ed ecclesiastici, se dotti, scrissero per tutto il Medioevo e fino al Sei-Settecento in latino. Nelle Università, fino al Settecento, si insegnava in latino. Quali erano i contenuti di una simile letteratura, togata e curiale, è facile intuire. In genere fiorivano opere che erano espressione dei due dottorati dominanti, e se non esclusivi. I laureati erano dottori utroque iure, cioè nel diritto ecclesiastico e nel diritto civile. Gli ecclesiastici si lasciavano andare soprattutto verso una letteratura religiosa, fatta di vite di Santi e trattati di teologia. Le vite dei Santi, in particolare, si riempivano di elementi straordinari, cioè fuori dell’ordinario. Comparivano miracoli, diavoli, angeli, che erano capaci di cambiare il corso dei fiumi e delle stelle… Il Medioevo e, più tardi, il barocco, per molti aspetti simile al Medioevo, ebbe molto di siffatta letteratura. Serviva ad impressionare la fantasia popolare, usando l’orrido, la paura, la morte. Penso a Padre Serafino da Salandra e al suo  “Adamo caduto”. Suggestionato da questa letteratura, ma anche fantasticando in proprio, il popolo organizzò processioni, sacre rappresentazioni, pellegrinaggi e simili, con serpenti, draghi, angeli e diavoli in lotta fra loro.

E LA LETTERATURA DOTTA, MA LAICA, COME SI PRESENTA?

Una letteratura laica, come oggi la concepiamo noi, in realtà, come dicevo, non esiste fino al Sei-Settecento. Tutto quadra anche con i tempi. Una cultura laica fino al Sei-Settecento non è esistita, tranne qualche esempio rinascimentale. In genere nei Cenacoli, nelle Accademie, quando ci furono, si riunivano laici e chierici.   Anche i laici, del resto, si chiamavano chierici. In genere anche i “laici” non mancarono di occuparsi di Santi, soprattutto se nati in famiglia. Tommaso Stigliani scrisse versi arditi; ma scrisse anche “Il Mondo nuovo”, poema dedicato alla scoperta dell’America, in cui Cristoforo Colombo è inviato da Dio, assistito dagli Angeli, ma anche avversato da diavoli e mostri. Nel primo Settecento i letterati laici si lasciarono prendere dalla mitologia classica, arcadica. I palazzi nobiliari lucani sono pieni di affreschi che rappresentato santi ieratici e miracoli, ma soprattutto ninfe e dee cacciatrici o pastorelle. Spesso la fantasia poteva sbizzarrirsi nell‘esaltare le imprese di un proprio antenato. A capo della famiglia c’è quasi sempre un cavaliere nobile e  coraggioso. Si inventavano imprese fantastiche per giustificare la propria condizione di conti, baroni e duchi, padroni di interi paesi.

COSA POSSIAMO DIRE DELLA LETTERATURA POPOLARE?

Il popolo, come è ovvio, non sapeva leggere e non sapeva scrivere. La sua è letteratura solo orale, tramandata di generazione in generazione e via via modificata nei nomi, nei luoghi, sempre con qualche particolare in più, ma lasciando intatta la struttura di base.

COME E DOVE AGISCE IL FANTASTICO POPOLARE?

Non dimentichi mai che l’economia meridionale, e quindi lucana, fu per millenni agricolo-pastorale. Tutto deve far riferimento a tale condizione. Per il popolo, soprattutto nel Sud, dove non esistevano istituti assistenziali (come ospedali, ricoveri per anziani, scuole, assistenza sociale, tranne, a volte, la Chiesa), due erano gli assilli che tormentavano e dominavano la vita della povera gente: il cibo e la salute. Dalla fame, per sublimazione, nasceva il sogno del paese della Cuccagna, in cui i fiumi versavano latte, gli alberi davano frutti spontanei, i campi germogliavano  da soli… E  si raccontava di tesori casualmente trovati o indicati dal “monachicchio”. Quanto alla salute, si cercava la protezione dei Santi. Il medico era inavvicinabile. Non c’era organo del corpo umano che non avesse il suo santo protettore: San Biagio per la gola, Santa Lucia per gli occhi, Santa Apollonia per i denti, Sant’Anna per le partorienti… Ogni ceto sociale aveva il suo protettore: i calzolai, i muratori, i carrettieri, i professori, i medici, persino gli studenti. Si invocavano Santi contro la siccità, contro i temporali, contro i terremoti, contro la peste. Ma si ricorreva anche a formule magiche e intrugli vari. Si imbastivano leggende e storie miracolose ed eventi straordinari. Contro la città assediata dai Saraceni intervenne, a Matera, Sant’Eustachio, facendo sì che tutte le pietre della Murgia apparissero  guerrieri.

MA TORNIAMO ALLA LETTERATURA SCRITTA. LEI DICEVA CHE UNA SORTA DI SVOLTA AVVIENE TRA SEI E SETTECENTO. IN CHE SENSO E PERCHE’?

Nel Seicento sorge il pensiero scientifico di Galilei, Copernico, Newton… Nel Sud la sua diffusione viene inizialmente ostacolata dalla Chiesa, che ne ha paura. Nel Settecento, però, si diffonde il pensiero illuminista, che arriva a Napoli, nella locale Università, grazie soprattutto all’opera del nuovo re Carlo III di Borbone, proveniente da Parma. Qui studiano e arrivano, dall’intera provincia, giovani esponenti di una borghesia agraria, ma anche di un benestante ceto artigiano e commerciante, in fase di formazione. Per lo più, però, quei giovani sono figli di massari, che altro non erano se non amministratori delle ricche masserie dei grandi proprietari terrieri, duchi, baroni e conti, che preferivano la vita comoda di Napoli, se non di Parigi. Lì si indebitavano tra gioco e donne. I massari, approfittarono della situazione, per trarre grandi vantaggi economici, che permisero loro di diventare “padroni”. Poterono mandare i loro figli a studiare a Napoli. Per questi giovani, data anche la loro estrazione sociale, fu facile aprirsi alle nuove idee. Diventarono prima rivoluzionari del 1799, poi liberali e patrioti nell’arco del Risorgimento. Si sviluppò, pertanto, una letteratura nuova e moderna, che ebbe soprattutto contenuti politici. Al massimo, alcuni di quei letterati divagarono nel ricordo e nella rievocazione della Lucania greca, ricca di eroi e di mitologia. Vedi Nicola Sole.

E SI ARRIVA ALL’UNITA’ D’ITALIA: ESPLODE LA QUESTIONE MERIDIONALE…

La questione meridionale e l’emigrazione. Figuriamoci se Fortunato e Nitti avevano voglia di divagare nel fantastico. C’erano Tommaso Claps e Nicola Marini, che preferirono osservare e descrivere la vita del popolo. Il loro modo di fantasticare andava verso la rappresentazione del grottesco, sul modello di Verga e del primo D’Annunzio. Molto contavano le orride imprese dei briganti, raccolte, spesso, dalle vive testimonianze di chi fu presente. E nasceva, tutto sommato, la più autentica letteratura lucana (e meridionale), realistica o, nel secondo dopoguerra, neorealistica, in opposizione alla quale, stanchi di Levi e Scotellaro, negli ultimi decenni del secolo scorso, tra il 1970 e il 1980, si creava un filone che andava verso lo sperimentalismo e il gioco dei dadi, affatto estraneo rispetto al contesto sociale. Questo accadeva per voglia di qualificarsi antiscoltellariani e antileviani, spesso dimenticando che, fra tutti, il più magico degli scrittori è proprio Levi (e, in alcuni racconti, lo stesso Scotellaro). Su questo terreno, la nuova e ultima letteratura (non faccio nomi) si compiace di distorcere la storia di Basilicata, stravolgendola e innescando molto di inventato, ma anche di incongruo. Scombina le carte. E’ letteratura che, non andando al di là del dilettevole, è giocoforza tenda a sbalordire, presentando come verosimile l’inverosimile. E’ barocca per non essere realista e leviana o scotellariana. Ma non è fantasia. E’ gioco cerebrale, costruttivismo, che, francamente, non so a che cosa e a chi possa servire. Né so dove e quanti siano i lettori.

UN’ULTIMA DOMANDA: LEI HA INSEGNATO PER MOLTI ANNI NEI LICEI. TRA GLI AUTORI CHE SI SONO OCCUPATI ANCHE DEL GENERE FANTASTICO CI SONO ALCUNI CHE PREDILIGE E CHE RISPECCHIANO MAGGIORMENTE LA SUA VISIONE? E TRA I CLASSICI?

Tra i classici greci metterei Luciano, senza dimenticare i tragici e lo stesso Omero. Tra i latini un posto d’onore va a Ovidio e alle sue Metamorfosi. Seguono Apuleio e Petronio. Ma perché non aggiungervi il buon Virgilio? Ci metterei tanta letteratura cristiana. Tra i moderni, tiro così, a caso, citando i primi nomi che mi vengono in mente: Milton, Shakespeare, Calderon de La Barca, Cervantes, tanta letteratura orientale e orientaleggiante. Penso alle Mille e una notte. In Italia c’è Dante, la novellistica (Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile), poi Salgari, e persino Pinocchio, il suo bestiario e le sue metamorfosi, nonostante appaia libro realista. Nei nostri tempi c’è Calvino, ma soprattutto Buzzati. Però… C’è un però. Questi, appena citati, non si servirono di “miracoli”. I miracoli, più che altro, li fecero. Le pare?

SICURAMENTE. E IN PROPOSITO RACCOMANDIAMO, AGLI AMICI CHE CI SEGUONO, LE OPERE E I GRANDI NOMI APPENA INDICATI DAL PROFESSOR CASERTA, SIA CHE SI TRATTI DI UN SEMPLICE RIPASSO SIA CHE SI TRATTI DI NUOVE LETTURE!

Filippo Radogna