EDO TAGLIAVINI

Regista di grande talento della nuova generazione italiana, Edo Tagliavini sta per arrivare sul grande schermo con un film horror che farà molto parlare di sé, con niente meno che Sergio Stivaletti a curare gli effetti speciali. Vediamo di conoscerlo meglio.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È EDO TAGLIAVINI?

Ciao, è sembra imbarazzante definirsi, non si sa mai se tentare la strada “faccio il simpatico” o tenersi su linee  più ufficiali… un po’ come quando devi presentare un curriculum e non sai mai se infilarci dentro di tutto, esame di scuola media inferiore incluso, o essere sobrio… diciamo che avendo sparato questo pippone iniziale ora posso essere sobrio: nasco a Ferrara nel ‘71 e dopo un’infanzia da nerd influenzata da Goldrake e C., mi dedico alla break-dance e allo skate (vanto la vittoria di uno dei primissimi skatecontest nazionali nel ‘90), passo per la contact dance (lavorando con Monica Francia) e inizio a girare per il mondo, in solitaria, raggiungendo quelle mete che da piccolino vedevo sui libri… Isola di Pasqua. Australia, Messico, Foresta Vergine… sono congedato dal servizio militare per depressione e riesco a entrare nel ‘96 al Centro Sperimentale, dove mi diplomo in regia nel ‘99. Diciamo comunque che non sono uno di quelli che dice “…fin da piccolo il mio sogno era fare il regista…”: io volevo fare lo scienziato e inventare la macchina del tempo! Sono stati i viaggi a farmi aprire gli occhi e vedere che in Italia viviamo dentro la bambagia, che tutto quello che ci rimbalza dal mondo esterno è ovattato, filtrato, nascosto: avevo voglia di raccontare le mie esperienze da viaggiatore, sperando di poter mostrare via alternative a quella principale indicata e mostrata, senza presunzione di verità assolute, semplicemente dire: “Guarda, per arrivare in piazza del Popolo c’è via Cavour, ma ci puoi arrivare anche per questa strada piccola, o per questa serie di vie, non trovi Zara o Benetton, ma un piccolo negozio artigianale che magari ti può piacere…”, in senso figurato ovvio. Avrei voluto avere una bella voce, la musica è il modo più efficace e veloce per parlare alla gente, ma l’essere stonato mi ha portato ad altre strade: sono passato quindi al cinema, almeno, ci sto provando…

Meno male che avevo detto “Ora posso essere sobrio…”

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI?

I primissimi lavori sono del ‘95, la voglia di iniziare a giocare con le immagini, poi la fortuna di entrare al Centro Sperimentale, che mangiato da bruchetto dentro la mela come ho fatto io, mi ha dato la grande possibilità di aprirmi al confronto con le altre persone, aiutandomi a crescere a livello umano, che nel cinema credo debba essere la condizione primaria. Uscito con il cortometraggio “TAO” (un reality show dove due extracomunitari si affrontano in prove assurde e ciniche per vincere il permesso di soggiorno, un lavoro a tecnica mista 35mm e digitale, quando ancora nel ‘99 non si sapeva cosa fosse il GF), inizio a fare qualche videoclip, qualche altro cortometraggio, fra i quali “L’uomo più buono del mondo” (storia dell’uomo giudicato più buono di tutti al quale come premio viene chiusa una bomba nel polso: con otto minuti di tempo per correre dall’altra parte della città e disinnescarla, ma durante il tragitto incontra tanta gente che ha bisogno del suo aiuto e lui è l’uomo più buono del mondo… ma sta anche per saltare in aria se non si sbriga); e “No Smoking Company” (dove vinco il Globo d’Oro nel 2007). Sperimento poi in lavori come “Alchimia del Gusto” (Pasta Garofalo con Alessandro Preziosi) e “Gas Station El Coyote” (miglior corto Mystfest 2009) il blueback e l’animazione, mescolando fra loro attori live con fondali 3D o disegnati, e arrivo, dopo vari progetti rimasti nel cassetto, a questo horror low budget.

Diciamo comunque che in tutte le produzioni che ho fatto ho sempre cercato di conciliare un gusto visivo e narrativo non propriamente “classico”, infilandoci dentro a modo mio, quelle stradine alternative per arrivare a piazza del Popolo.

RECENTEMENTE TI STAI OCCUPANDO DEL TUO ULTIMO FILM INTITOLATO “DEAD LINES”. VUOI PARLARCENE?

Deve ancora uscire, sono in questo momento in fase di montaggio… anche il titolo è cambiato, si chiamerà “Bloodlines”, anche se io preferivo fosse scritto un titolo italiano: ma l’horror ha un mercato e certe esigenze, diamo fiducia al marketing produttivo… comunque, si tratta di un progetto non mio al quale ero stato chiamato inizialmente come regia tecnica. Prendendo in mano i primi draft di sceneggiatura, nei quali avevo trovato delle idee di soggetto molto divertenti (il soggetto è del produttore e attore principale Virgilio Olivari), ho rimesso mano alla storia avvicinandola di più a una mia visione del film, cosa capita dai produttori che hanno deciso di lasciarmi in mano il progetto… sorrido perché penso di aver fatto una cosa un po’ lontana dalla loro idea di regia iniziale. Spero il film finito li faccia tornare tranquilli come lo sono io adesso mentre riguardo al materiale…

COME È NATA L’IDEA DI PARTIRE DAL RITORNO AI LUOGHI D’ORIGINE PER GIUNGERE POI VERSO TRAGUARDI PIÙ INQUIETANTI?

Come dicevo, ho cercato di mettere dentro il film horror (che quindi non vada a deludere le aspettative dei fan di genere), sottotesti e letture anche serie, quali la ricerca dell’identità, dell’appartenenza, e necessariamente bisogna partire dal luogo di origine. E’ come un frutto, la polpa, buona o cattiva che sia, è cresciuta attorno al seme.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI?

Trovare i loro nomi… scherzi a parte, non sempre in fase creativa si è tutti concordi sulla strada da far prendere a un personaggio e io volevo che la protagonista avesse nel suo essere un qualcosa che uscisse dai canoni del film horror, che non fosse semplicemente personaggio sul quale cade addosso la storia, ma che grazie alla storia acquisisse la sua identità, nel bene o nel male. Per fortuna i miei referenti di produzione (Mario Calamita e Taiyo Yamanuchi) sono stati capaci di cogliere questa intenzione, appoggiandola.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Il fantastico mi permette, facendo un esempio, di realizzare un quadro verde, utilizzando e mostrando il giallo e il blu… non mi piace parlare del verde, usando il verde. Voglio che la gente abbia un’emozione visiva forte, non quotidiana nei miei film, non didascalica, e più che il fantastico, il surreale permette di parlare di cose serie raggirando la noiosità e pesantezza di questi argomenti. Mi vengono in mente, per esempio, i Monty Python o il duo francese Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet… il mondo rappresentato ti stupisce (grande privilegio del cinema), ti fa vivere storie non quotidiane, ma allo stesso tempo ti racconta il quotidiano, il reale… in questo modo diverti (e ti diverti) senza essere banale.

Ovvio che questa non è una peculiarità solo del genere fantastico/surreale; ogni film di altro genere, quando fatto bene, fa divertire e raccontare: ma faccio il regista non perché me lo ha detto il dottore, ma perché mi piace e dei 360 gradi del cinema, mi diverte di più raccontare storie in questo modo.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Sono tante le possibilità… quello che importa è la fame e la sete di conoscenza, il cercare di rimanere sempre rapportato col mondo che ti circonda, che sia quello della notizia curiosa letta sul giornale, del libro dello scrittore preferito (anche se io leggo veramente poco, mia pecca… è che i libri che compro mi si suicidano per la disperazione…), delle esperienze piccole o estreme, dei viaggi… paradossalmente appunto, è dal quotidiano che si prende ispirazione per il fantastico: la finzione del cinema è la forza del senso di realtà che ci trasmette, proprio perché alla base di quella finzione c’è sempre la realtà… il massimo della finzione per il massimo della realtà…

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Come dicevo prima, leggo veramente poco: l’ultimo libro che ho preso in mano dopo tre anni che mi era stato regalato (ecco perché dicevo che si suicidano per la disperazione) è il magnifico diario di lavorazione di “Fitzcarldo” di Herzog, il regista che rappresenta il mio essere più di chiunque altro… un libro che mi sta facendo da ponte con le stesse mie esperienze di viaggio durante il mio anno passato fra Messico, Belize e Guatemala.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM, CHE CI DICI?

Che per questi invece sono un cannibale, guardo tutto e di tutto. Ovviamente ci sono film che preferisco guardare in certi stati d’animo più che altri e questi sono quei film con dentro una solidità narrativa potente, non banale, come un buon pezzo rock con dentro una struttura articolata che non si perde in virtuosismi inutili (al proposito consiglio di ascoltare i Pazi Mine, rappresentano il senso di quello che sto dicendo). Comunque nel mio olimpo filmico al primo posto, ahimè banalmente ma non ci posso fare nulla, siede “Blade runner”, seguono “Fitzcaraldo” e “Apocalypse now” e lascio un posto a “Fight Club” e, visivamente stupendo, a “300”.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Progetti tanti, forse il più assurdo e spiazzante, l’idea di un Porno Musical, una specie di “Rocky Horror Picture Show”, uno di quelli che si facevano a off off Broadway negli anni ‘70…

Come sogno nel cassetto, che spero di aprire presto non appena la mia bimba Lumi diventa un pochino più grande e io mi stabilizzo un pochino meglio economicamente, la risalita del Rio delle Amazzoni, in modo da aver nuovo materiale dal quale prendere ispirazione per i prossimi film.

IN BOCCA AL LUPO PER TUTTO ALLORA… INTANTO ASPETTIAMO L’USCITA DI “BLOODLINES”!

Davide Longoni