UGO POLLI & DENISE BRESCI

Chi li vede insieme, anche per una sola volta, capisce subito che si tratta di una coppia di quelle che si intende con un solo sguardo. E’ facile trovarli alle Convention del fantastico dove non si perdono nessun incontro e al contempo familiarizzano con altri autori e appassionati. Insomma, una coppia vivace e molto unita e davvero singolare per i mille interessi: si tratta di Ugo Polli e Denise Bresci, attivi narratori ed eclettici artisti. Genovese e avvocato Ugo Polli, proviene come Denise, dal liceo classico e ha tra le passioni il teatro che pratica assiduamente come attore sperimentale, il cinema, la musica e, ovviamente, la narrativa. Altrettanto ricca di interessi è la vita di Denise Bresci: ha una formazione culturale classica e una laurea in discipline scientifiche. Si interessa di cinema e teatro, ama stare in casa a suonare il pianoforte o la tromba ma anche a leggere, adora camminare in montagna. I nostri, collaborano al blog multiautore, “Della Stessa Sostanza di cui sono fatti i Totani”. Ah, dimenticavamo, i nomi Ugo Polli e Denise Bresci sono due pseudonimi! Ecco quello che ci hanno raccontato:

SIETE UNA COPPIA NELLA VITA E NELLA SCRITTURA, COSA VI UNISCE E COSA INVECE VI DIVIDE NELLE PASSIONI?

UGO: Credo che il nostro sia una specie di esperimento sociologico: stiamo assieme da quando avevamo rispettivamente 16 e 19 anni, di fatto abbiamo sviluppato un gusto comune in molti campi. Letteratura, cinema, teatro, musica: ognuno ha le sue preferenze, ma una linea comune, indubbiamente, c’è. Accade molto di rado che qualcosa entusiasmi uno e lasci indifferente l’altro: allo stesso modo se uno dei due esce dal cinema furibondo, l’altro di sicuro non si è divertito…

DENISE: Siamo una coppia nella vita e siamo anche una coppia molto anomala, perché siamo una coppia molto “antica”: conosciamo molto bene ognuno le qualità dell’altro e per questo riusciamo a lavorare congiuntamente. Ci piace molto stare insieme e costruire storie, è una delle cose che ci è capitato di fare: resta il fatto che la vera passione del Polli è il teatro, di cui io invece sono solo attenta spettatrice. Per il resto, facciamo insieme quello che fanno tutti: leggiamo, vediamo film o telefilm, ascoltiamo musica, suoniamo…il Polli anche in pubblico!

QUANDO AVETE INIZIATO A SCRIVERE INSIEME? C’E’ STATA UN’OCCASIONE PARTICOLARE?

UGO E DENISE: Dunque, qui andiamo sul difficile, in occasione di questa intervista, abbiamo cercato di ricostruire… e non è stato facile! Abbiamo iniziato a scrivere insieme per caso: il curatore di un’antologia per il quale avevamo scritto un racconto ciascuno, si tratta di Daniele Cambiaso di Nero Liguria, ci aveva invitati a scrivere per un’antologia a tema storico, in cui ogni autore avrebbe dovuto realizzare un giallo ambientato in un decennio del Novecento. Il fatto è che c’era un unico posto rimasto, gli anni ’40, e quindi abbiamo pensato di scrivere insieme, così che ognuno avesse l’occasione di contribuire. Era il novembre del 2011 quando iniziammo a pensarci, a dicembre 2011 avevamo trovato l’idea, a gennaio 2012 il testo era pronto. Il racconto era “Requiem” e uscì a giugno 2013 in NeroNovecento. Il racconto ci aveva soddisfatto, l’esperienza era stata molto piacevole e allora, quando è capitata l’occasione successiva, sempre nel 2012, decidemmo di provarci di nuovo…

QUALI SONO I GENERI LETTERARI CHE GRADITE MAGGIORMENTE, E QUALI I MOTIVI CHE VI SPINGONO A SCRIVERE DETERMINATE STORIE?

UGO: Facciamo una premessa: vengo da studi classici, ho letto fantascienza sin dalla più tenera età e ho fatto e visto teatro per la maggior parte della mia vita. E’ un miscuglio anomalo. Leggendo, ma anche scrivendo dialoghi mi viene spontaneo chiedermi se siano credibili, se siano possibili, se caratterizzino il personaggio o lo snaturino, se siano interessanti, se siano recitabili. Leggendo più in generale ho bisogno di qualità: non certo intesa nel senso di prosa fluente ed elegante, quanto di voce del narratore, che sia Omero o Don Winslow. Dalla fantascienza ho imparato la totale libertà di espressione e di forme e qui penso a Delany, Ballard, Gibson. Attualmente non leggo tanto generi quanto autori: la voce di un autore mi interessa, apprezzo la caratterizzazione dei personaggi, lo divoro e passo oltre. Le nostre storie nascono da uno stimolo spesso esterno come la partecipazione a un’antologia o a un concorso, e da un tema prefissato: da lì iniziamo a divertirci ipotizzando trame e temi. Soprattutto, cerchiamo di individuare quello che intendiamo dire, quale deve essere l’idea di fondo, la trama viene in un secondo momento.

DENISE: Devo dire che non mi considero un lettore di genere anche se forse molti dei libri che leggo sono di genere. Provando a fare una statistica per tematica, cercando di categorizzare le mie letture, potrei dire che emerge il noir, perché alla fine, anche negli scrittori mainstream, spesso apprezzo un certo tipo di storie: penso a Ellroy e Peace, ma anche a Truman Capote, e a Faulkner con il suo gusto per le storie forti e nere. Quello che posso dire è che questo tipo di storie mi attrae perché offre l’opportunità agli autori – e anzi li costringe – a un’analisi lucida della realtà, a ritrarre in modo forte e vero le persone. Per me, noir non significa affatto storie poliziesche o criminali, non trame complicate o suggestioni marlowiane ma di contro, analisi psicologiche dei personaggi e delle loro ossessioni, anche a scapito della trama che – devo dire – mi interessa relativamente.

COME VI DIVIDETE NEL LAVORO SCRITTO E CHE MODO DI PROCEDERE AVETE QUANDO DATE VITA A UNA STORIA INSIEME?

UGO E DENISE: Parliamo molto prima di scrivere anche solo una riga. Quando l’idea e la successione degli eventi sono chiari a entrambi, una volta che le ipotesi sono state fatte e i rami secchi tagliati, ci dividiamo le scene in base alle propensioni di ciascuno e iniziamo a scrivere separatamente. Ognuno ha pieno diritto di veto, di critica e di correzione sul testo prodotto dall’altro.

QUANDO, INVECE, SCRIVETE DA SOLI LO TROVATE PIU’ SEMPLICE O PIU’ COMPLESSO?

UGO: Non c’è molta differenza: di solito succede che l’idea o il progetto interessi solo uno dei due, o che il racconto sia troppo personale per essere gestito in due. In questi casi l’altro comunque partecipa commentando, facendo editing, suggerendo.

DENISE: Scrivere da soli è piuttosto diverso: personalmente sono davvero pigra, mi ci vuole una forte motivazione per realizzare qualcosa, cioè per decidere di dare vita a un racconto. Scrivere da soli è comunque un’esperienza del tutto diversa per la parte preliminare: le valutazioni sono tutte interne e le scelte sono tutte sulle tue spalle; per la parte relativa alla scrittura invece, non vedo grandi differenze, visto che comunque, quando scriviamo insieme, ognuno costruisce le proprie parti.

AVETE PUBBLICATO VARI RACCONTI. CE NE VOLETE PARLARE?

UGO: Il mio primo racconto, “El Lobo”, edito da PerroneLab nell’antologia NeroLiguria, è una storia metropolitana di spaccio, sesso e violenza. L’ho scritto tenendo a mente una dedica di Joe Lansdale: “Per Lew Shiner: ecco un racconto che non si tira indietro”. Ho cercato di scrivere una storia che non si tirasse indietro mai: ho provato ad accelerare ogni volta che avevo la tentazione di tirare i remi in barca. Non so se sia il modo giusto di scrivere: di certo per me è il più soddisfacente.

“Il Peso del mondo è amore” nasce da una richiesta espressa. Il tema dell’antologia, “Sognavamo Macchine Volanti”, riguardava l’immaginario degli anni ’60. Ognuno dei partecipanti, fra cui Vittorio Catani, Franco Ricciardiello e Danilo Arona, ha interpretato il tema a modo suo: noi siamo partiti chiedendoci quale fosse la cosa più rilevante, per noi, degli anni ’60. Abbiamo risposto in coro: il Vietnam. Quello di Cimino e di Coppola, di Peter Straub, di Ginsberg e di Ho Chi Minh. L’obiettivo non era raccontare il vero Vietnam: era raccontare il “nostro” Vietnam, quello allucinogeno e brutale che ci infestava dalla più tenera età. L’antologia è stata per buona parte boicottata nell’ambiente: ci è stato detto da alcuni che, senza leggerla, la ritenevano un’operazione di retroguardia, non considerando che la chiave di lettura, per noi e per altri come noi, era quella di ritenere l’immaginario degli anni ’60 il punto di partenza di esperienze che avrebbero influenzato la narrativa, di genere e non, negli anni a venire: penso alla New Wave e al Cyberpunk, ma anche a Pynchon, De Lillo e Wallace. E’ davvero difficile per noi comprendere come un dato, tutto sommato, banale come quello appena esposto non sia stato compreso da alcuni. Il racconto, tuttavia, estrapolato da quella cornice, ha vissuto e vive di vita propria: è stato pubblicato su Robot e su Next Stream: ha ricevuto pareri lusinghieri da Arielle Saiber e, nella sua versione inglese che stiamo cercando di piazzare all’estero, da C.C. Finlay, editor di F&SF. Anche “Requiem” nasce da una richiesta espressa: giallo ambientato negli anni ’40. Il meccanismo è stato simile: questa volta, però, abbiamo saccheggiato le storie dei nostri familiari per raccontare una storia di vigliaccheria, coraggio, vendetta e, ovviamente, guerra.

DENISE: Ho scritto per primo “Nessun Dubbio”, il mio romanzo breve, che per molto tempo non ho fatto leggere a nessuno. Poi ho scritto “Quando ci incontreremo di nuovo noi tre?” in NeroLiguria, pensato nell’estate 2010. Poi “La porta degli annegati”, in Sinistre Presenze e il racconto per l’antologia di fantareligione che deve ancora essere pubblicato. Poi sono venuti “Requiem” e “Il peso del mondo è amore”, tra novembre 2011 e gennaio 2012, scritti appunto con il Polli. Poi il racconto scritto per il concorso, dal titolo “La consistenza degli oggetti” che ha vinto i 700 euro lordi del secondo premio e quindi mi rende molto orgogliosa – pubblicato su “Storie Lampanti” della Lupo Editore. Dato che non ho trovato nessun altro che mi desse altrettanto denaro per così poche pagine non ho fatto più niente… Scherzo! Di recente ho scritto con il Polli un racconto per un’antologia che dovrebbe uscire quest’anno e uno da sola per un concorso in cui però credo sia troppo difficile vincere… in ogni caso sono contenta di averlo scritto. Il concorso mi è servito come pungolo. Se non vincerà niente, avrò comunque un nuovo racconto da proporre. Direi che è tutto!

COSA PENSATE DEL MOMENTO CHE VIVE ATTUALMENTE LA NARRATIVA FANTASTICA IN ITALIA?

UGO E DENISE: L’avvento di internet, la possibilità di autopubblicarsi o quasi, il crollo del mercato editoriale hanno aperto la porta, nel genere, alla pubblicazione di opere e autori di scarso livello qualitativo. Ciò avviene in particolare nella fantascienza: altrove la situazione è lievemente diversa. Quando mancano i fondamentali ossia una scrittura indirizzata a far sì che il lettore continui a voltare le pagine, la qualità dei dialoghi, un’idea di fondo che tenga, è difficilissimo farsi leggere al di fuori della cerchia ristretta dei propri amici. A questo si aggiunga che il mercato interno della fantascienza è quasi inesistente. Le prospettive per il genere non sembrano buone: ma non è detto che sia un male. Nel cinema e nella letteratura mainstream, ormai, elementi che un tempo erano di competenza di pochi “nerd” come noi e venivano tenuti rigorosamente a distanza perché di genere, ormai vengono utilizzati senza neppure accorgersi della loro provenienza e accettati tranquillamente. E’ un buon segno: “forse il ghetto è morto, ma la Città è in movimento”, parafrasando un titolo del vecchio John Shirley.

NOIR, FANTASCIENZA, HORROR, COSA PENSATE DELLA CONTAMINAZIONE TRA GENERI?

UGO: La contaminazione dei generi è un fatto conclamato, necessario e di certo positivo: le cose migliori che ho letto nei generi erano contaminazioni dichiarate, penso a China Mieville, Dan Simmons, lo stesso William Gibson. Lo specifico dei singoli generi è, allo stato attuale, insufficiente per essere interessante e, nella migliore delle ipotesi, puzza di stantio.

DENISE: Per me la contaminazione tra i generi è non solo auspicabile, ma necessaria. Credo anzi che si possa parlare di una narrativa strettamente di genere laddove chi scrive cerchi solo l’aderenza al genere e non intenda veramente fare letteratura; si sentono infatti spesso recitare come “regole del genere”, dogmi che conducono a opere che sono il contrario della letteratura: personaggi bidimensionali, trame stilizzate, nessuna ricerca di credibilità nell’ambientazione. Se la narrativa di genere è questa, non mi interessa.

Un modo in cui invece riesco a pensare all’appartenenza al genere in un modo per me utile è pensando a questa classificazione a livello di storie: una storia ambientata in un mondo futuro, che l’abbia scritta De Lillo, Wallace o Lethem, si può definire di fantascienza, se si vuole. Ma quello che interessa davvero è se un romanzo è un buon romanzo o no, se un racconto è un buon racconto o no: il resto non conta, quindi secondo me “contaminarsi” significa soprattutto questo, cercare di scrivere buone storie, a prescindere dal genere. Penso che questa libertà possa solo aiutare a scrivere meglio.

AVETE MAI SCRITTO MAINSTREAM, PENSATE DI FARLO NEL FUTURO?

UGO: Temo che noi si sia sempre scritto mainstream, contaminato e filtrato dalla nostra sensibilità di genere. “Requiem” è una storia di guerra partigiana, prima di essere un giallo; “Il peso del mondo”, prima di essere un racconto di fantascienza, racconta il Vietnam e l’Lsd, Ginsberg e Cimino. Crediamo che, oggi, l’elemento fantastico non possa e non debba essere prevalente: lo utilizziamo perché non possiamo farne a meno. Crediamo anche che, fortunatamente, sia passato una volta per tutte il tempo in cui era sufficiente “l’idea meravigliosa”, senza curarsi di trama, spessore dei personaggi, qualità e sensatezza dei dialoghi.

DENISE: Mi è capitato di scrivere mainstream in due racconti; in realtà sono i due racconti che ho scritto per i concorsi a cui ho partecipato e di nuovo, la cosa è forse stata causale o meglio causata dalle circostanze. Ho scritto più spesso nel genere perché in fondo ho sempre scritto on demand e nel passato le occasioni sono state prevalentemente di genere: dal noir, al giallo, alla fantascienza.

UGO, SEI UN AVVOCATO, TI E’ CAPITATO DI SCRIVERE LEGAL THRILLER? COSA PENSI DI UN AUTORE COME JOHN GRISHAM?

Amo molto il genere, sia sotto l’aspetto cinematografico che scritto. Per questo non apprezzo Grisham. Il legal thriller funziona ed è interessante quando si interroga sulla realtà, sui problemi della giustizia e sui concetti stessi di giustizia, punizione e retribuzione. Il capostipite è “La parola ai giurati”, o forse è “Edipo Re”. Ho adorato e adoro tuttora il primo Scott Turow, quello di “Presunto innocente”, “L’Onere della prova”, “La legge dei padri”. La giustizia di Turow sta nei piccoli tribunali affollati, dove gli avvocati stazionano fuori dalle aule offrendosi ai potenziali clienti per venti dollari a udienza. Ho ancora, dopo vent’anni, in mente una scena da lui descritta: un giudice piccolo di statura, noto per essere una carogna, passa vicino a un cellulare dove si trova un soggetto da lui appena condannato. Mentre passa quello lo insulta. Il giudice si avvicina al cellulare e, senza proferire parola, gli sputa in faccia attraverso le sbarre. Poi si allontana. Ci troviamo ad alcuni anni luce da Grisham, tutto affaccendato a descrivere studi legali stellari e buoni sentimenti. Ci troviamo nella realtà.

DENISE, CI VUOI PARLARE DI “NESSUN DUBBIO”, IL TUO PRIMO ROMANZO BREVE. COME E’ VENUTO FUORI, SEI SODDISFATTA?

Sono felice di avere l’occasione di dire qualcosa sul mio romanzo. Come dicevo prima è stata la prima cosa che ho scritto e non credo che avrei mai avuto il coraggio di proporlo se non avessi nel frattempo pubblicato alcuni racconti. Il vero motivo per cui lo scrissi è che pensavo da tempo che avrei voluto scrivere un romanzo e mi chiesi seriamente se davvero ne sarei stata capace. Fu quindi una specie di dimostrazione di un pezzo di me a un altro pezzo di me. Tuttavia non so se oggi lo scriverei: sia perché probabilmente parlerei di altro, sia perché scrivere così tanto senza avere una prospettiva di avere anche un solo lettore – colui che dovrebbe valutare se interessa o no – forse lo considererei uno spreco di tempo. Oggi, dopo un anno quasi esatto dalla pubblicazione, posso riassumere così la situazione: un centinaio di lettori, una recensione, un ritorno economico inferiore a quello che ho avuto dal racconto “meno pagato”. La forma di e-book pensavo mi avrebbe aiutato nella diffusione: ma se è vero che così alcuni lettori hanno potuto averlo facilmente, altri hanno dovuto stamparselo dopo averlo preso in e-book. In più non è facile regalarlo agli amici e non si possono, di fatto, fare presentazioni in libreria. Avrei potuto, grazie agli amici Connettivisti, presentarlo a Bellaria l’anno scorso, ma non sono potuta andare alla Convention per impegni pregressi e quindi non c’è stata nemmeno una presentazione ufficiale nell’ambiente.

Se provo a valutarlo come romanzo credo – soprattutto grazie ai pareri che ho raccolto – che sia una buona storia, molto originale; che ci siano personaggi molto forti e un buon colpo di scena. Che ci siano piccole chicche come le poesie presenti come canzoni, i titoli dei capitoli che sono in realtà titoli di canzoni dei Bauhaus. Rivisto oggi, posso dire che penso di aver riversato in quella storia molto di quello che avevo maturato negli anni precedenti: il senso di distanza che avevo provato verso l’immaginario degli anni ‘80 e ‘90, il desiderio di ritrarre il vuoto che sentivo intorno e la solitudine e la tristezza che lo circondavano, la rabbia per l’indifferenza verso quelle che mi parevano enormità insostenibili; ma anche alcune riflessioni sull’arte come possibile via di uscita dalla disperazione esistenziale e la morte come sua unica vera soluzione. E’ un romanzo molto duro, secondo me, che fondamentalmente cerca di affrontare l’angoscia che ci prende di fronte alla sofferenza e alla nostra impossibilità di impedirla, a livello personale e generale. Tutte cose che forse non lo rendono così “vendibile”.

Concludendo, non credo che oggi lo riscriverei, non ne varrebbe la pena. Anche se dà soddisfazione sentire amici che stimi che ti dicono sinceramente che è un romanzo veramente bello, che meriterebbe di più, penso non sia sensato dedicare il tempo libero di un anno a qualcosa che sarà letto da cento persone: quindi scriverò un altro romanzo solo se avrò una qualche prospettiva concreta di pubblicazione e soprattutto di diffusione. Per questo ho iniziato a studiare come si suona la tromba!

QUALI SONO I PROGETTI NARRATIVI PER IL FUTURO?

UGO E DENISE: Stiamo per pubblicare, in un’antologia curata da un grande nome della narrativa italiana contemporanea, un racconto al quale teniamo molto, “Danzando nella Danza della Distruzione”. Si parla di guerra in Europa, di Ucraina, di Putin, di bomba atomica e, neanche a farlo apposta, del buon vecchio Greg Corso. Prima o poi finiremo anche il nostro primo romanzo a quattro mani. La riflessione e il dibattito sono finiti ed esistono anche svariati capitoli: il titolo provvisorio – ma tendenzialmente definitivo – è: “Gelide Dita Cadaveriche accarezzano il tuo collo. Io non mi volterei”!

NON CI RESTA CHE INCORAGGIARE UGO E DENISE A COMPLETARE IL LORO ROMANZO, ANCHE PERCHE’ CON UN TITOLO COSI’ “SEDUCENTE” LA CURIOSITA’ E’ DAVVERO TANTA!

Filippo Radogna