LU KANG

Lu Kang è un nome da tenere d’occhio: non solo perché i suoi racconti sono presenti in molte antologie pubblicate da Delos Books, ma soprattutto perché il “ragazzo” è il vincitore dell’ultima edizione del “Premio Algernon Blackwood”… quindi mica uno da poco. E allora cerchiamo di conoscere meglio questo autore emergente che, siamo sicuri, ci darà ancora molte soddisfazioni nel prossimo futuro.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È LU KANG?

Prendiamola alla lontana e romanziamola un po’: anni fa studiavo in un’università di Taipei e il nome Lu Kang mi venne dato per semplici questioni amministrative: era necessario un nome cinese per rendere più pratico il lavoro delle segreterie. Poi un giorno, durante una chiacchierata in una sala da tè, un monaco buddhista mi disse, in tono scherzoso: “In una vita precedente, tu eri un taiwanese”. E così nacque Lu Kang. Vera o no la storia della vita precedente, ciò che conta è che amo molto questo nome, me ne innamorai subito, anche per la forte attrazione che nutro per la cultura cinese. Possiamo dunque dire che Lu Kang è un’altra mia “anima”; o meglio, è la mia parte creativa, che nutro scrivendo. Più che uno pseudonimo è proprio un avatar, un alter ego. Pensa, ha anche un profilo Facebook! In realtà io, come tutti, ho una vita fatta di lavoro e quotidianità, di alti e bassi, di impegni, gioie, bollette e code alla cassa. Divento Lu Kang solo quando voglio dare libero sfogo alla mia fantasia. Ma non ho bisogno di nessuna cabina telefonica per trasformarmi, né di una “Kang Caverna” per nascondermi. La mia non è un’identità segreta e sono in molti a conoscermi. Resta il fatto che mi piace giocare su questa cosa e, se non è strettamente necessario, mi sta bene che mi si conosca solo attraverso questo appellativo. Soprattutto quando si tratta di scrittura.

COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

Comunicare attraverso la scrittura mi è sempre piaciuto, perché scrivere è un atto che permettere di esprimersi, liberare i pensieri, dare al mondo una parte di se stessi sperando di fornire un contributo – anche minimo – alla crescita culturale generale. Sembra una banalità dirlo ma scrivo da quando ero bambino. Tuttavia, è giusto ammetterlo, è solo da pochi anni che mi dedico alla narrativa e alla scrittura creativa. Grazie a mia sorella maggiore, che mi ha fatto da maestra, ho imparato a leggere e scrivere prima di andare a scuola e fino al liceo sono sempre stato uno dei pochi che non vedeva l’ora di fare il tema d’italiano (un po’ meno fisica e matematica…). Durante gli anni dell’università, la mia propensione per la parola scritta ha virato verso la composizione tecnica: scrivevo in prevalenza analisi di politica estera, per riviste e siti web specializzati. Un’attività molto bella, se vogliamo anche creativa, ma molto distante dallo scrivere racconti e inventare storie. E’ solo intorno al 2010 che ho iniziato a guardarmi intorno in cerca di corsi di scrittura e concorsi letterari, per provare una nuova strada, qualcosa che mi permettesse di scaricare sul foglio tutto quello che mi girava nella testa. Così col tempo, tra un click e l’altro, inciampai nel forum della WMI e nei post di Franco Forte. Quell’incontro virtuale fu la prima piccola grande svolta del mio percorso, anche se mi ritengo ancora, senza vergogna alcuna, un principiante della scrittura, appena all’inizio di una strada lunga, piena di soddisfazioni ma anche di sacrifici e di duro lavoro.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI, IN PARTICOLAR MODO DI QUELLE A CUI SEI PIU’ LEGATO?

Come ho detto prima, sono nel mondo della narrativa da relativamente poco tempo e ho iniziato a pubblicare racconti brevi solo da un paio di anni, tutti con Delos Books. Ho preso parte a diversi volumi della serie 365 racconti e sono presente anche nell’antologia Il Magazzino dei Mondi 2, con due lavori. Uno di questi, Silenzi, è stato selezionato per lo Speciale Science Fiction della Writers Magazine Italia n.34. È proprio Silenzi il lavoro a cui sono più legato, in primo luogo per il modo in cui l’ho concepito: stavo correndo nel parco, era sera e aveva smesso di piovere da poco. Nelle cuffiette passava il celebre brano degli Alphaville, Forever Young. In quel momento, chissà perché, mi è venuta in mente La Pietà del Michelangelo. E così è nato il racconto, che ruota proprio intorno all’immagine di una madre che, in un silenzio disperato, tiene tra le braccia il corpo esanime del figlio ventenne. Da lì ho poi creato il contorno, lo sfondo, ossia un futuro distopico con un governo invasore che impone il silenzio e una ribellione in corso. Un topos classico della sci-fi politica, forse oltremodo sfruttato, ma non importa. Ciò che mi importava era quell’immagine, che racchiudeva un sentimento indipendente dal tempo e dal luogo: l’amore di una madre per il proprio figlio. Mi piace molto lavorare sulle sensazioni e sulle emozioni dei personaggi.

RECENTEMENTE HAI VINTO IL “PREMIO ALGERNON BLACKWOOD 2013” CON IL RACCONTO “OGNI BUON PADRE AMA LA PROPRIA FIGLIA”. CE NE VUOI PARLARE

Volentieri. Ero da tempo in cerca di un’idea forte per questo concorso, ci tenevo particolarmente e volevo mettere tutto me stesso in questa avventura, sin dall’inizio. Ho vagliato diversi progetti prima di approdare a quello definitivo, ma nessuno mi sembrava mai abbastanza convincente. Se invece del notebook avessi usato carta e penna, il pavimento di casa sarebbe stato sommerso da fogli accartocciati. Un giorno, scorrendo le notizie su internet, lessi di un fatto di cronaca terribile. Un episodio di pedofilia piuttosto crudo, culminato con la morte della bambina; riflettei sul fatto che non c’è nulla di più agghiacciante della violenza a sfondo sessuale inflitta ai minori. Da lì, l’idea di un racconto di genere horror che trattasse anche un tema sociale molto delicato. Dopodiché, ho seguito due delle regole fondamentali apprese in questi anni, grazie alla frequentazione di altri scrittori, professionisti e appassionati: primo, parla di ciò che conosci; secondo, fai ricerca. Così ho deciso di fare riferimento ai mercati notturni di Taipei (dove è ambientata una parte del racconto) chiamando in causa suoni, odori e sapori di quei luoghi; in parallelo, ho approfondito la ricerca sulle caratteristiche degli spiriti e dei fantasmi all’interno della cultura orientale. Il paranormale asiatico è molto ricco di figure ed esiste una vasta tipologia di spiriti e di creature fantastiche. In questo modo è nato il personaggio di Mei Li, che si basa sulla figura della nugui. Le nugui sono spiriti di donne decedute per morte violenta (generalmente suicidio, ma non solo), che hanno subìto abusi sessuali e che tornano per vendicarsi. Tuttavia, la vendetta di Mei Li, in questo caso, è leggermente diversa da come ce la possiamo aspettare. Mei Li fa una scelta precisa, la sua azione è ragionata e non è mossa da semplice odio impetuoso. La vendetta di Mei Li è quasi umana, machiavellica, sebbene terribile.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE?

Oltre alla trasposizione prima onirica e poi allucinatoria del mercato notturno di Shilin, e allo stato di confusione che avvolge Claudio, la parte più complicata è stata la gestione del personaggio “doppio” Sonia/Mei Li. Riuscire a mescolare all’interno di un unico individuo la fisicità di una bambina e i pensieri di uno spirito che di infantile non ha più nulla, non è stato semplice. Ho cercato di creare un equilibrio tra innocenza e malvagità, così come nell’intero racconto si mescolano candore e perversione. Un’altra sfida, con la quale peraltro spesso mi confronto, è stata fornire informazioni necessarie a creare la migliore atmosfera possibile, senza oltrepassare la linea che porta nell’infodump. Nel preparare il racconto, non potevo dare per scontati gli elementi della cultura orientale; allo stesso tempo, non dovevo infarcire i paragrafi con dettagli superflui e inutili, invadendo la storia con la mia ingombrante presenza. L’immagine della donna che mangia il chou tofu l’avrò riscritta mille volte: da un lato mi serviva per rendere più vivida e verosimile l’ambientazione asiatica, dall’altro non volevo trasformare il racconto in un trattato sulla gastronomia taiwanese.

LA STORIA E’ DI CHIARA ISPIRAZIONE HORROR ASIATICA. COME MAI QUESTA SCELTA?

Amo e studio la storia e la cultura asiatica, soprattutto quella cinese, da moltissimi anni. Credo che le religioni, le tradizioni e il folklore di quella parte del mondo siano un’inesauribile fonte d’ispirazione. Per questo racconto, così come per molti altri racconti che ho scritto e che scriverò, ho deciso di affondare le mani e la testa nella cultura orientale, mantenendo però i registri a cui siamo abituati noi occidentali e senza spingermi troppo – sotto il profilo della struttura – all’interno dei canoni letterari cinesi, che sono spesso incomprensibili e apparentemente disordinati. Il mondo asiatico è ancora tutto da scoprire e quel poco che si conosce è spesso coperto da un velo di stereotipi e frasi fatte. Il mio desiderio è quello di sollevare quel velo e farlo attraverso la scrittura.

QUALI RITIENI SIANO SECONDO TE LE DIFFERENZE NEL MODO DI VEDERE, LEGGERE E SCRIVERE L’HORROR TRA ORIENTE E OCCIDENTE?

Partiamo dalla base comune a questi due “mondi”: il sentimento della paura. Nello specifico, la paura della morte, che accompagna da sempre l’essere umano, ad ogni latitudine. Con il tempo, questa atavica paura si è evoluta in paura di ciò che c’è dopo la morte, e qui intervengono le diverse civiltà, con le loro credenze, le religioni, i rituali e le superstizioni. Così i nostri vampiri succhieranno sangue, fonte della vita, mentre quelli asiatici (che ovviamente differiscono nell’aspetto dal Dracula di Bram Stoker) assorbiranno il qi, l’energia vitale. Elementi del Cristianesimo da un lato, e del Taoismo dall’altro. In altre parole, a mio parere, la differenza dell’horror tra Oriente e Occidente dipende sostanzialmente dal retroterra culturale di chi compie l’azione di vedere, leggere o scrivere. Un retroterra che si è formato grazie alla sedimentazione millenaria di miti, credenze e religioni. Basti solo pensare a quello che c’è dopo la morte nel mondo Cristiano rispetto a quello Buddhista. Lì è possibile trovare già una marea di risposte a questa interessante domanda.

VISTO CHE SARAI PUBBLICATO SULLA PRESTIGIOSA “WRITERS MAGAZINE ITALIA” DIRETTA DA FRANCO FORTE E PUBBLICATA DA DELOS BOOKS, COME CI SENTE IN MEZZO A TANTI “MOSTRI SACRI”?

Ci si sente bene. Soprattutto se – come il sottoscritto – si è all’inizio di un percorso e con la consapevolezza di essere dei principianti e non ancora dei professionisti. La Writers Magazine Italia è una rivista di settore decisamente importante. Da lì sono passati molti scrittori, che stimo e che leggo. Alcuni hanno anche superato i confini nazionali, con le loro opere. Non conosco personalmente Franco Forte ma ho avuto la fortuna di entrare in contatto con lui tramite il forum della WMI, e devo ammettere che è stato determinante nel mio percorso di crescita e formazione. La WMI è una rivista unica, un laboratorio di scrittura in continuo aggiornamento, nonché una grande famiglia di scrittori. Spero che questo mio “ingresso” nella WMI non sia solo un fatto episodico. Naturalmente, spetta a me dimostrarlo, no?

CI SEMBRA DI CAPIRE CHE HAI SEMPRE AVUTO UNA CERTA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

La fantasia è l’ossigeno dello scrittore e il fantastico è il regno della fantasia. Fermo restando che anche i mondi immaginari devono sottostare a determinate regole e mantenere una certa coerenza, una volta che si scatena la penna non c’è limite alla creatività. Inoltre, per mezzo del fantastico è possibile toccare anche tematiche molto profonde. Con il racconto Ogni buon padre ama la propria figlia, io ho voluto parlare di pedofilia. Ma si può trattare di politica, di religione, di economia. Si pensi al romanzo breve Flatlandia di Abbott che, attraverso la creazione di un mondo geometrico e matematico, comunica con semplicità un concetto complicato come il relativismo. E poi, non dimentichiamo ciò che meglio racchiude la parola “fantastico”: la dimensione del sogno, la possibilità di andare oltre se stessi, di superare le barriere fisiche e temporali che ci circondano ogni giorno.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Nonostante il caso del racconto Silenzi, che ho menzionato prima, è raro che una mia storia nasca da una folgorazione improvvisa. Anzi, nella maggior parte dei casi, quelle idee sono le peggiori e le elimino senza rimorsi. Certo, i dettagli della vita quotidiana, positivi o negativi, possono fungere da scintilla da cui poi divampa l’incendio della creatività, ma senza una pianificazione, uno studio e soprattutto un uso ponderato di ciò che si ha nel magazzino della propria mente, l’ispirazione si riduce a un semplice fuoco di paglia. Fonte di ispirazione diventano quindi testi di autori che ho letto, film che ho visto, tematiche più o meno attuali o anche episodi storici e nozioni culturali che ho appreso nel corso della mia esperienza personale. Per il racconto Il Monaco d’Occidente, pubblicato sulla 365 Racconti di Natale, mi sono liberamente ispirato allo Xiyouji (Il Viaggio in Occidente), testo epico/religioso scritto nel XVI Secolo da Wu Cheng-en, vero e proprio caposaldo della letteratura orientale che racconta il viaggio in India di un monaco della dinastia Tang, accompagnato da una scimmia dai poteri sovrannaturali, un maiale antropomorfo e altre creature fantastiche. Qualsiasi cosa può essere fonte di ispirazione, l’importante è tenere occhi e cervello accesi, e mai e poi mai smettere di mantenere viva la memoria. Quello che impari oggi potrà esserti utile tra quattro anni.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

E’ difficile dirlo, sono sincero. Non ho uno scrittore preferito, tale da farmi riempire una libreria con la sua opera omnia. Al contrario, mi trovo spesso a balzare da un autore all’altro, cercando di assorbire quello che più si adatta a me in quel preciso momento. Per lungo tempo mi sono dedicato alla letteratura orientale, leggendo romanzi, novelle e saggi, da Cao Xueqin a Banana Yoshimoto, passando per Yu Hua, Mo Yan e Qiu Xiaolong. Una letteratura, quella orientale, che non smetterò mai di leggere, sia per i registri che utilizza e le tematiche che sfrutta, sia per l’uso che posso farne come fonte di ispirazione e di studio. Naturalmente, data la mia passione per il fantasy, non posso non citare autori come Tolkien, Jordan e Martin. Il primo per aver spalancato le porte di un genere letterario che amo; il secondo per la capacità di strutturare un mondo tridimensionale, un lavoro che si nota sin dalle prime pagine; il terzo per l’indiscussa abilità nel tenere il lettore con il fiato sospeso e per saper scavare nell’animo di ogni singolo personaggio. Colgo però questa occasione per fare un mea culpa. Fino a non molto tempo fa, facevo parte di quella schiera di lettori che – per la narrativa di genere – tendeva soprattutto all’esterofilia. In questi ultimi anni ho invece scoperto che esiste una vasta produzione di livello di autori nostrani. Dario Tonani, con il suo Mondo 9, ne è una prova, ma potrei citarne a decine. La Delos Books, con la collana Bus Stop, sta portando alla ribalta numerosi scrittori italiani appartenenti ai generi più diversi, dallo steampunk al fantasy, dal giallo al romance. Credo sia opportuno sostenere la nostra letteratura, se vogliamo leggere storie sempre migliori.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ TI PIACCIONO, CHE CI DICI?

Mi piacciono molto i film storici o quelli che al termine lasciano lo spettatore con una marea di riflessioni in testa (anche se la mia ragazza mi ha suggerito di non fare troppo l’intellettuale e di dire che vado matto per Don Camillo, per gli Spaghetti Western e per le pellicole di Bud Spencer e Terence Hill). Naturalmente, anche in questo caso, la dimensione fantastica la fa da padrona. Le saghe di Star Wars, il Signore degli Anelli, le Cronache di Narnia, sono tutti film che mi tengono incollato allo schermo. Mi piacciono molto le pellicole di Tim Burton, Baz Luhrmann e i fratelli Wachowski. Questi ultimi, con Matrix e Cloud Atlas mi hanno letteralmente sconquassato il cervello. Soprattutto il secondo film, in assoluto il migliore che ho visto negli ultimi anni, mi ha fatto riflettere una settimana intera. Nei film dei fratelli Wachowski ci sono molti elementi delle filosofie orientali; forse è per quello che mi piacciono molto.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Nell’armadio, vorrai dire. Ho così tanti sogni che potrei riempire un negozio Ikea. Limitandoci al mondo della scrittura, e sparandola decisamente grossa, mi piacerebbe essere l’autore di una saga fantasy così travolgente da vedere orde di fan vestiti come i miei personaggi alle fiere del fumetto. Significherebbe aver fatto centro nel cuore delle persone ed essere entrati in sintonia con loro. Vorrebbe dire aver toccato l’anima dei lettori. Ecco, il mio sogno è proprio quello: toccare l’anima di chi legge i miei lavori e creare personaggi vivi, indipendenti e profondamente umani. Per il momento, però, lasciamo da parte i sogni di gloria e pensiamo ai progetti: sto preparando racconti per alcuni concorsi che vi saranno quest’anno, tra cui spero di inserire anche la quarta edizione dell’Algernon Blackwood. In parallelo, sto tirando giù delle linee guida per una storia fantasy di più ampio respiro, naturalmente con forti connotazioni asiatiche, che spero di delineare con maggiori dettagli entro la fine del 2014. Poi si vedrà, se son rose…

… FIORIRANNO, FIORIRANNO… NE SIAMO CERTI! INTANTO RESTIAMO IN STAND BY.

Davide Longoni