MICHAEL BISHOP

E’ giunto quest’anno per la prima volta in Italia invitato alla 39° edizione dell’Italcon, la Convention nazionale della fantascienza e del fantastico, che si è tenuta nel comune di Bellaria-Igea Marina (Rimini) dal 23 al 26 maggio scorsi, nell’ambito della Sticcon XXVII. Così Michael Bishop, tra le penne più autorevoli della science fiction statunitense, ha approfittato dell’occasione, con la sua signora, per fare il turista nel “Bel Paese” che ha trovato, ovviamente, straordinario.

All’Italcon, nel corso di un affollato incontro con il pubblico, il famoso scrittore del Nebraska stimato per le sue opere di considerevole impegno intellettuale (per due volte è stato insignito del Premio Nebula e per quattro volte del Premio Locus) ha espresso alcuni concetti tra i quali ha sottolineato come i compiti della sua scrittura vanno anche nella direzione di far sì che le persone si comprendano e si apprezzino nonostante le differenze culturali.

Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, anche grazie alla squisita cortesia di Sabina Loizzo, valente collaboratrice della Casa editrice Elara (organizzatrice dell’Italcon), che ha tradotto la conversazione.

POSSO ANZITUTTO CHIEDERLE CHE CONOSCENZA HA DEGLI AUTORI ITALIANI E, IN PARTICOLARE, DI QUELLI CHE SI OCCUPANO DI FANTASCIENZA?

Gli scrittori italiani che conosco sono Italo Calvino e Tommaso Landolfi che ritengo dei grandi autori. Riguardo allo specifico campo della science fiction e del fantasy, mi piacerebbe molto conoscere autori italiani, in proposito proprio in questi giorni ho preso nota di alcuni nomi, purtroppo è difficile trovare testi italiani tradotti in inglese.

LEI HA STUDIATO LINGUA E LETTERATURA INGLESE, PENSAVA DI DIVENTARE UNO SCRITTORE?

Ho deciso di diventare scrittore quando ero adolescente e leggevo Jack London, Jonathan Swift. Il mio desiderio era creare le stesse emozioni che questi autori suscitavano in me leggendo i loro libri. Tutto è nato da lì.

A QUANDO RISALE, INVECE, IL PRIMO APPROCCIO CON LA SCIENCE FICTION? E CON QUALE AUTORE?

Ero molto giovane quando lessi Ray Bradbury che mi suggestionò tantissimo. Certo, leggevo la narrativa generalista che leggiamo tutti, ma Bradbury è stato colui che mi ha influenzato di più e mi ha avvicinato alla fantascienza.

DA QUANTI ANNI SVOLGE IL LAVORO DI SCRITTORE? HA AVVERTITO MAI “STANCHEZZA”?

Per me lo scrittore è colui che non abbandona mai questa attività. Io vorrei farlo per sempre!

HA PUBBLICATO IL SUO PRIMO RACCONTO SULLA RIVISTA GALAXY NEL 1970. LE E’ STATO ASSEGNATO DUE VOLTE IL PRESTIGIOSO PREMIO NEBULA: NEL 1981 CON IL RACCONTO THE QUICKENING, TRADOTTO IN ITALIANO CON IL TERMINE DISLOCAZIONE, E NEL 1982 CON IL ROMANZO INTITOLATO NO ENEMY BUT TIME, TRADOTTO CON IL TITOLO IL TEMPO E’ IL SOLO NEMICO. POI, NEGLI ANNI, HA CONTINUATO UN’INTENSA E FORTUNATA ATTIVITA’ NARRATIVA. COM’E’ CAMBIATO IL SUO MODO DI INTENDERE LA FANTASCIENZA?

Agli inizi davo maggiore risalto al genere della fantascienza. Poi, con il passare degli anni è stata la storia che scrivevo e il suo sviluppo che mi hanno interessato di più. Attualmente, non è tanto incanalare la storia in un genere prefissato che mi interessa, ma dare una coerenza e dare, magari, alla science fiction un suo sviluppo all’interno del romanzo che sto scrivendo. Pertanto, mi piace ancora il genere fantascientifico, ma, sicuramente, non è più il mio punto riferimento principale quando scrivo un romanzo.

ATTUALMENTE LA SCIENCE FICTION, NEGLI STATI UNITI, DAL PUNTO DI VISTA LETTERARIO QUALE IMPORTANZA RITIENE ABBIA?

Nella cultura contemporanea ha ancora un valore importante.  Nel corso degli anni si sono verificati dei veri e propri “cross over”, ossia degli incroci come avvenuto per Cormac McCarthy, scrittore statunitense, e Margaret Atwood, autrice canadese, che sono tra i più famosi e acclamati tra gli scrittori negli Usa. Ma ciò che forse ha più interesse in questo contesto non è tanto il genere science fiction in sé, quanto il valore che gli scrittori possono avere anche al di fuori del genere. Spesso, ciò che mi interessa è come si arriva alla scrittura fantascientifica partendo magari da altri generi. La mia idea di fantascienza non è tanto cambiata.

PROGETTI PER IL FUTURO?

Sto iniziando a pensare a libri per ragazzi.

COLGO L’OCCASIONE PER PORLE UNA DOMANDA SUL SUO COLLEGA E CONNAZIONALE, STEPHEN KING. LA WEBZINE PER LA QUALE LA STO INTERVISTANDO PRENDE IL NOME DA UN SUO ROMANZO DAL TITOLO LA ZONA MORTA, IL TITOLO ORIGINALE E’ THE DEAD ZONE, PUBBLICATO NEL 1979. ANCHE QUI IN ITALIA STEPHEN KING E’ CONSIDERATO UN BIG, LO SCRITTORE DEL FANTASTICO PER ANTONOMASIA. QUAL E’ IL SUO PENSIERO SULL’AUTORE, E COSA PENSA DEL SUO SUCCESSO “PLANETARIO”?

E’ uno scrittore che ha più valore di quanto gliene sia riconosciuto. Scrive romanzi molto lunghi e spesso diventano quasi ingestibili, ma a differenza di altri autori del suo genere, che scrivono vendendo l’anima, il suo è un lavoro genuino originato da una reale passione. Quindi, pur non essendo il mio autore preferito, di sicuro merita tutto il mio rispetto.

Filippo Radogna