LOREDANA PIETRAFESA

Una poetessa-scrittrice versatile che affronta con capacità ma anche con desiderio di sempre maggiore consapevolezza, i generi letterari nei quali si cimenta. Dalle poesie intimiste a quelle con tematiche sociali, dalle fiabe ai racconti horror e fantascientifici, dai romanzi impegnati ai noir fantastici.

Stiamo parlando di Loredana Pietrafesa donna brillante, stimata docente di musica, feconda autrice e animatrice culturale.

Nata a Pesaro, da genitori lucani, ha vissuto per molti anni a Potenza, capoluogo della regione cui si sente indissolubilmente legata. Si è poi trasferita – dopo aver sposato Donato Altomare, affermato scrittore di science fiction e del fantastico – a Molfetta, città pugliese che si affaccia sull’Adriatico, molto apprezzata dalla nostra autrice.

L’esordio nel mondo letterario è del 1989 con la raccolta di poesia dal titolo “Cortecce” (Ed. Il Salice – Potenza), cui seguono le sillogi “Argini e fondi” (Ed. La Vallisa – Bari 1991) – con prefazione del noto poeta e intellettuale Daniele Giancane -, “All’orlo di un grumo di cose” (Ed. La Vallisa – Bari 1993), “Vecni zvuci” (titolo italiano: “Suoni eterni”) (Krovovi Sveta – Beograd, 1994), “Io che sono di luna” (Ed. La Vallisa – Bari 1998), “Se esiste un cielo” (Ermes Editrice – Potenza, 2004), “Ne smeo da me volio” (titolo italiano: “Non devi amarmi”) (Apostrof, Beograd 2007), “Oltre l’ultima boa” (Besa Editrice – Nardò, Lecce 2007).

Per quanto riguarda la narrativa ha pubblicato “Al merlo che canta sull’ultima casa di Cleo” (Ermes Editrice- Potenza, 2004) – romanzo di impegno sociale e per questo dato alle stampe con l’apporto dell’Aias (Associazione italiana assistenza spastici) di Potenza -, e “La seconda moglie” (Edizioni Della Vigna – Arese, Milano 2010). Scritti di Loredana Pietrafesa sono presenti in numerose riviste e antologie, anche straniere. Da non dimenticare, infine, l’attività di critico letterario, soprattutto nella rivista “La Vallisa” di Bari. Insomma un percorso culturale di tutto rispetto che ci siamo fatti raccontare nell’intervista che segue.

DI QUALI AUTORI E LETTURE E’ APPASSIONATA E CHE IMPORTANZA HANNO AVUTO NELLA SUA FORMAZIONE? COS’ALTRO E’ STATO BASILARE PER LEI ?

Sin da piccola sono stata educata all’amore per la lettura. Ricordo che mio padre, appena terminava l’anno scolastico, tornava a casa carico di libri da farmi leggere durante l’estate. Libri di ogni genere, dal fantastico all’avventura, dalla poesia ai romanzi storici, libri che io divoravo con passione. E’ vero, forse allora era più facile, non c’erano certo i cosiddetti “linguaggi alternativi”, non esisteva facebook e neppure i cellulari, non c’era la playstation né l’iPod e neppure il digitale terrestre, tuttavia sono convinta che devo molto a mio padre e a tutti i suoi libri che colmavano e impreziosivano le mie estati. La lettura è uno strumento fondamentale per l’acquisizione di ogni sapere. Non può esserci conoscenza senza lettura. E se si inizia da piccoli, si semina in un terreno molto fertile. Voglio dire che l’ambiente familiare in cui si vive può essere determinante. Nel mio caso, oltre a questo, c’è stata poi l’importante esperienza formativa del Liceo classico potentino e del Conservatorio. Al Liceo ho conosciuto e amato i grandi classici latini e greci, ho studiato in modo approfondito la letteratura italiana, e questo ha inciso profondamente su di me, ha influito sulle mie scelte future, mi ha aiutata a crescere. Non a caso, ancora oggi, sono i classici quelli che preferisco, in modo particolare i narratori russi. Sono sempre stata convinta che le grandi opere di letteratura debbano essere necessariamente lette, e non perché ci costringono a leggerle a scuola. Penso a tutti i grandi autori che ho letto e riletto sin da quando ero solo una ragazzina, oltre a tanta saggistica di vario genere che mi ha appassionata in diverse fasi della mia crescita. Per uno scrittore, poi, la lettura è di fondamentale importanza. Si dice che, almeno in Italia, gli scrittori non leggono gli altri scrittori. Eppure soltanto leggendo altri autori si ha la dimensione della propria scrittura e la possibilità di venire a conoscenza dei percorsi e dell’evoluzione della letteratura sia a livello locale che nazionale. La lunga esperienza in Conservatorio, invece, mi ha svelato altri aspetti della perfezione e della bellezza. Io mi sono diplomata prima in pianoforte e poi in clavicembalo, riscoprendo la grandezza e il fascino della musica antica. In Conservatorio ho conosciuto il grande e meraviglioso patrimonio musicale dell’umanità, che purtroppo nella nostra società è largamente ignorato. Dico con grande rammarico che da noi l’educazione musicale è molto debole. L’ignoranza in merito ai grandi capolavori di quest’arte sublime è dilagante. 

QUANDO E COME HA INIZIATO A SCRIVERE?

La mia prima raccolta di poesie risale a quando avevo circa vent’anni, ma ho iniziato a scrivere molto prima, anche se sarebbe più corretto definire quelle pagine adolescenziali semplicemente “prove tecniche di scrittura”. Erano versi semplici, brevi racconti, pensieri, e io ero davvero giovanissima, appena tredicenne. Ricordo che scrissi la mia prima poesia esattamente quando mi accadde di non poter suonare per un lungo periodo. Tutti noi siamo un po’ figli dell’abitudine, e l’abitudine a volte è più forte della passione. Mi aggiravo per la casa come un animale in gabbia perché non potevo suonare per quel numero di ore cui ero abituata. E non riuscivo a riempire in alcun modo quel vuoto con qualcosa che non fosse musica. Fu allora che iniziai a scrivere versi, a cercare timbri, ritmi, l’anima musicale della parola, accorgendomi che solo così riuscivo a colmare quel vuoto. In ogni caso, penso che in fondo la poesia ce l’avessi dentro, e gli studi e gli incontri giusti l’hanno aiutata a venire fuori. Intendo dire che l’ambiente familiare in cui sono cresciuta  e le mie esperienze formative hanno contribuito a far esplodere una passione da sempre latente in me.

LA MAGGIOR PARTE DELLA SUA SCRITTURA E’ DEDICATA ALLA POESIA, GENERE AL QUALE HA DEDICATO OTTO RACCOLTE.  ESISTE LA POESIA DEL SENTIMENTO, DELL’IMPEGNO CIVILE E SOCIALE, QUELLA RELIGIOSA O POLITICA… COME DEFINIREBBE LA SUA?

Mi piacerebbe definirla semplicemente autentica, poiché sono convinta che la validità della poesia non può dipendere soltanto dalla novità del contenuto o da un linguaggio nuovo, ma soprattutto dalla capacità di cogliere i sentimenti nella loro universalità, cioè dalla capacità di rivelare un universo comune a ogni condizione umana, in cui tutti si possono riconoscere, identificare e ritrovare. E ciò al di là dei messaggi espressi. Quando qualcuno mi domanda se esiste una poesia “impegnata” e una “non impegnata”, io rispondo che la vera arte è sempre impegnata e che non è detto che la poesia sia vera poesia soltanto quando contiene uno scoperto messaggio sociale, ideologico, estetico o politico. Anzi, se ciò è programmato dall’autore, sarebbe solo un fatto strumentale, un’odiosa forzatura, e ci si allontanerebbe dalla natura stessa della poesia, cioè si ucciderebbe la poesia.

CI SONO POETI, ANCHE LUCANI, AI QUALI SI ISPIRA?

Non posso dire che mi ispiri a un poeta in particolare, poiché tutti i poeti, quelli veri, mi coinvolgono, mi emozionano e mi inducono  a riflettere. Cerco di confrontarmi con ogni tipo di poesia che leggo, per quanto possa essere diversa dalla mia, e cerco di trarne preziosi insegnamenti. Tuttavia, sicuramente i poeti lucani hanno lasciato in me impronte indelebili. Ad esempio, mi ha sempre affascinata la storia di Isabella Morra e del suo tragico destino. Isabella la porto nel cuore, forse perché era una donna. E tra i tanti poeti lucani, quello che più di tutti continua ad appassionarmi è Rocco Scotellaro. Per la sua vita burrascosa, per il profondo e tenero legame con il mondo contadino, per il costante impegno civile, sociale e politico di cui si fa carico la sua produzione e per l’originalità del suo linguaggio poetico frammentato e ‘singhiozzante’.

IL POETA E’ FIGLIO DEL PERIODO STORICO NEL QUALE VIVE. CREDE CHE EGLI, ANCHE INCONSAPEVOLMENTE, ABBIA LA “PRESUNZIONE” DI INTERPRETARE IL MONDO? QUAL E’ LA SUA FUNZIONE?

Ho sempre pensato che essere poeti significa farsi portavoce di messaggi interiori e riuscire a far parlare lo spirito affinché altri spiriti si destino e magari possano nascere nuovi poeti. Forse ciò è una specie di missione in questo nostro mondo dove troneggia indiscussa la demenzialità, dove la parola non ha più un senso, dove l’assenza di valori dilaga, dove spesso chi fa poesia è deriso. Non so se il compito del poeta e di ogni artista sia proprio quello di salvare questo mondo eternando la vera essenza del nostro esistere. Di una cosa però sono certa: il poeta ha la capacità di intravedere l’ ‘oltre’, cioè oltre i confini, oltre la precarietà del reale. Non a caso il linguaggio della vera poesia rimanda sempre a un ‘oltre’, suggerendo immagini e concetti che vanno al di là del significato stesso della parola. La poesia riesce a dare voce all’esistenza interiore, riesce a diventare linguaggio di un codice non solo verbale, cioè diventa comunicazione dell’incomunicabile. Molti sostengono che il poeta riesce a vedere ciò che gli altri non vedono, ovvero oltre e dentro e dietro ogni cosa. Il poeta, non si sa se per natura o per destino, non certo per presunzione, possiede questa straordinaria capacità che a volte subisce come un peso inesorabile, come una specie di maledizione. Può infatti essere molto doloroso ciò che si cela oltre e dentro e dietro ogni cosa. Ma il poeta non può non vedere, come non può evitare di rivelare agli altri ciò che vede. Perciò scrive, racconta, avverte, ammonisce. E’ in grado di creare mondi, di ricrearli, di dare forma e sostanza a pensieri, idee, sentimenti, sogni, è capace di emozionare, turbare, stravolgere, scuotere, è capace di compiere miracoli, perché la poesia è sempre un miracolo. Il poeta non potrà mai smarrire la sua anima. Quindi poesia è sinonimo di anima. E mi piace fare mio un verso di Daniele Giancane, uno dei più importanti poeti del nostro tempo: “Ormai valuto la gente dalla vicinanza o meno alla poesia”. Credo che finché vivrà un solo poeta sulla terra, l’umanità, quella autentica, non potrà mai estinguersi, perché i poeti custodiscono l’essenza del nostro essere.

COSA SI ASPETTA DALLE SUE POESIE?

Potrei rispondere a questa domanda con alcuni miei versi, credo molto espliciti: “Esiste un luogo strano,/non so se dentro al petto/oppure in fondo agli occhi,/un luogo minuscolo,/nascosto, impercorribile,/che s’apre  inviolato/a universi segreti./ Non so perché né come,/ma è lì che  porto il peso/di ogni nuova pena,/è lì che il silenzio/si tramuta in grido/e i grumi del cuore/ si sciolgono in canto./ Non so perché né come,/ma è lì che puoi toccare/il respiro di ogni cosa,/ è lì che nasce la poesia,/come brivido di fuoco,/e le parole in festa/danzano il loro sabba.”

HA MAI AVUTO RISPOSTE DAI SUOI VERSI?

La poesia nasce dopo un lungo lavoro di introspezione, di controllo e di ricerca, e termina nel momento esatto in cui la parola diviene il sentimento stesso, cioè quando esiste una piena corrispondenza dell’espressione al sentimento. E’ allora che trovo risposte alla mia necessità di fare chiarezza dentro di me e di dare un preciso significato a ciò che sento.

DOVE TROVA L’ISPIRAZIONE?

Da ogni cosa. Uno stato d’animo, un ricordo, un suono, una parola, una persona cara, uno sguardo, una carezza,  un’esperienza reale, un sogno… E mi ispirano in modo particolare la notte e la natura.

QUANDO SENTE IL BISOGNO DI SCRIVERE?

Perché si scrive, si legge o si ascolta un libro? Forse perché offre una possibilità di difesa da una quotidianità troppo spesso asfissiante o forse perché la scrittura è un’alternativa, è introspezione, sogno, magia. Io scrivo poesia ogni volta che mi sento confusa, sola, in bilico, ogni volta che un pensiero sfuggente o una sensazione mi s’insinua dentro come un tarlo e pretende di prendere forma e consistenza attraverso le giuste parole. E’ un processo lungo, complicato e faticoso. Io sono molto lenta nello scrivere poesia, e credo che questo sia un bene. A volte mi porto un verso dentro per mesi, a volte impiego giorni e giorni solo per trovare una parola, quell’unica parola che possa indicare perfettamente ciò che intendo. Ci penso, ci ripenso, la rincorro, la catturo, la cancello… E soltanto dopo questa lunga e difficile ‘gestazione’, mi sento pronta per scrivere poesia. Per la narrativa è completamente diverso. In questo caso inseguo un’idea, preparo una tabella di marcia e di svolgimento e procedo più speditamente, perché il linguaggio della narrativa è ben diverso da quello poetico, non deve rimandare a quell’oltre di cui parlavo prima.

LEI E’ANCHE MUSICISTA. C’E’ UN COLLEGAMENTO TRA LA SUA POESIA E LA MUSICA?

Questi due linguaggi sono estremamente affini. Esiste infatti un indissolubile legame tra di essi, un rapporto quasi magico, che si può riscontrare sin nelle più antiche civiltà umane. E non mi riferisco solo alle grandi correnti culturali di ogni epoca, che hanno accomunato nei caratteri e nelle mete ogni espressione artistica, o alle tante forme poetico-musicali fiorite in ogni tempo, nelle quali il rapporto tra parola e musica è veramente simbiotico. Mi riferisco soprattutto alla musicalità del verso e all’anima musicale delle parole, cioè agli effetti timbrici, ritmici e dinamici sempre presenti nella poesia. Tutti effetti che, appartenendo al mondo dei suoni, rientrano in quel linguaggio universale che prende appunto il nome di Musica e che non ha sempre bisogno di decodificazioni, in quanto valica i limiti della necessaria conoscenza della lingua. Non dobbiamo dimenticare che ogni lettera che forma una parola è essenzialmente un suono, quindi ogni parola, prima ancora che significato, è innanzitutto suono. Del resto secondo molti studiosi la musica ha avuto un’origine comune con il linguaggio.

SI DEDICA ANCHE ALLA NARRATIVA. QUANTO E’ IMPORTANTE QUESTO TIPO DI LAVORO NELLA SUA RICERCA ESPRESSIVA?

Mi piace cimentarmi con i generi più vari, ma senza grandi pretese. Voglio dire che per me scrivere qualcosa di diverso dalla poesia è sempre una specie di “prova”, senza alcuna presunzione di creare “capolavori”. Mi diverte molto scrivere narrativa e lo faccio con uno spirito molto diverso da quello che ho quando scrivo poesia. Con più leggerezza, con meno ansia, e soprattutto senza sacrificare le notti per cercare un verso o una parola.  

IL ROMANZO “AL MERLO CHE CANTA SULL’ULTIMA CASA DI CLEO” NARRA UNA STORIA DOLOROSA, MOLTO INTIMA. CE NE VUOLE PARLARE? COSA L’HA SPINTA A SCRIVERLO?

Questa esperienza narrativa è invece tutta un’altra cosa. Si tratta di una storia autobiografica che ho deciso di scrivere dopo continui ripensamenti. Ed è stato molto arduo e penoso riuscire a portarla a termine. Ho impiegato nove mesi per scriverla e più di due anni per rivederla. Avevo il timore di non riuscire a renderla credibile, cioè che potesse sembrare incredibile proprio perché era vera. Avevo paura che, leggendola, qualcuno avrebbe potuto pensare che si arriva a inventare di tutto pur di fare colpo e di commuovere la gente. Infine, dopo ben otto correzioni, è andata in stampa, e con un successo di critica e di pubblico per me davvero inaspettato. Sinceramente ancora oggi, a distanza di tanti anni, non riesco a parlarne senza turbamenti, quindi preferirei invitarvi a leggere il romanzo e a trarne le vostre personali conclusioni. Posso soltanto dire che ho deciso di scrivere questa storia perché non fosse dimenticata. E perché ho pensato a tutte le madri che hanno vissuto come me una simile esperienza, alle madri che la stanno vivendo o a quelle che, purtroppo, saranno costrette a viverla, e mi sono chiesta se questa mia storia, forse, avrebbe potuto aiutarle in qualche modo. Anche solo a non arrendersi, a non soccombere, a non impazzire.   

NEL ROMANZO BREVE “LA SECONDA MOGLIE”, INVECE, VI SONO FORTI CONNOTAZIONI DI MISTERO E DI SOPRANNATURALE. DA QUANTO TEMPO SI CIMENTA CON TALE NARRATIVA E QUANTO SI SENTE COINVOLTA IN QUESTO GENERE?

E’ un genere che mi piace molto, devo ammetterlo. Pure il cinema di questo tipo mi attrae, come anche i film di fantascienza. E ogni tanto mi cimento con racconti fantastici, gialli e horror, che ho avuto modo di pubblicare in diverse antologie nazionali e internazionali. Inoltre, forse anche “a causa” dell’influenza positiva di mio marito Donato Altomare, noto autore italiano di fantascienza e fantasy, ho scritto anche racconti di fantascienza, di cui posso parlare soltanto perché hanno avuto l’approvazione critica di mio marito. Lo dico sorridendo, ovviamente, poiché tra me e Donato non c’è alcuna competizione. Anzi, c’è un rapporto collaborativo molto costruttivo e proficuo.

E’ COMPLICATO PER DUE SCRITTORI VIVERE INSIEME?

Credo che a questa domanda non si possa dare una risposta universalmente valida. Ci sono troppe variabili. In base alla mia esperienza personale, ritengo che sia molto stimolante per due scrittori vivere insieme. Io sono sempre la prima a leggere ciò che Donato scrive, e lui è il primo a leggere ciò che scrivo io. Ci consigliamo a vicenda, ci critichiamo a volte anche duramente, ma alla fine entrambi ascoltiamo i suggerimenti dell’altro. Io sottopongo al suo severo giudizio tutti i miei racconti. Le poesie no, perché lui sostiene di non esserne all’altezza, anche se secondo me non è vero. Lui invece, prima di inviare qualunque cosa a un editore, mi chiede di farne un’accurata revisione e un’impietosa correzione. Si fida ciecamente delle mie conoscenze della lingua italiana e lo sottolinea pubblicamente in ogni occasione. Sono molto orgogliosa di lui e di ciò che scrive, e credo che anche lui lo sia di me.

MA SI SENTE PIU’ POETESSA O NARRATRICE?

Più poetessa, senza alcun dubbio. Il linguaggio della poesia è quello che in assoluto mi è più congeniale.

E’ IN USCITA UN SUO NUOVO LIBRO, QUESTA VOLTA DI RACCONTI. COSA RIGUARDANO? QUAL E’ IL FILO CONDUTTORE?

Si tratta di una raccolta di racconti di vario genere, fantasy, horror, fantascienza, ecc., dal titolo “Al di là della ferrovia” e pubblicato dall’Editrice Tabula Fati. Il filo conduttore è la donna. Sono tutti racconti incentrati appunto su figure femminili, come del resto gran parte della mia narrativa. Anche “La seconda moglie” è un giallo tutto al femminile. Più di qualcuno ha obiettato che in tutti i miei scritti descrivo i “maschietti” in modo poco gratificante, ma è così che purtroppo io vedo l’universo maschile e così lo racconto. Del resto è questo il bello di essere scrittori: non potendo cambiare il mondo, almeno me ne invento uno che mi piace davvero, e punisco coloro che restano sempre impuniti, faccio sparire chi proprio non se ne vuole andare, faccio ritornare chi non c’è più… E’ proprio questo il bello di essere scrittori!

LEI E’ ANCHE IMPEGNATA NEL GRUPPO DEI POETI “LA VALLISA” DI BARI, UN SODALIZIO MOLTO ATTIVO CHE GUARDA CON GRANDE ATTENZIONE ANCHE  ALLA CULTURA BALCANICA.

Sì, il gruppo dei poeti “La Vallisa”, il cui direttore, nonché vera guida spirituale di tutti noi, è Daniele Giancane, è molto attivo e si contraddistingue per la volontà di portare la poesia ovunque. Tra l’altro, la nostra rivista letteraria è la più longeva d’Italia e sta compiere trent’anni. Noi poeti de “La Vallisa” abbiamo fatto di tutto: non stop di poesia, notti bianche di letteratura, viaggi incredibili in Italia e all’estero, e abbiamo portato la poesia in luoghi impensabili, dai pub alle carceri, dalle spiagge alle fabbriche. Naturalmente per diffondere la letteratura utilizziamo anche luoghi convenzionali, come teatri, librerie, auditorium, piazze. Personalmente mi occupo di recensioni critiche, soprattutto di nuovi e giovani poeti che cerco di promuovere attraverso le pagine della rivista e presentazioni pubbliche. Mi emoziona sempre ‘scoprire’ nuovi talenti e aiutarli a emergere.

NELLA SUA CARRIERA LETTERARIA HA AVUTO ESPERIENZE ANCHE ALL’ESTERO…

Poiché sono stata tradotta in diverse lingue, ho avuto la possibilità di partecipare a molti meeting internazionali di letteratura, soprattutto nei Paesi dell’Est. In Serbia, in Kosovo, in Montenegro e in Macedonia. Sono state esperienze straordinarie, indimenticabili, quasi fiabesche, sicuramente impensabili qui in Italia. Soprattutto i viaggi in Serbia hanno avuto per me un enorme valore letterario, umano ed etico. Le giornate erano dense di appuntamenti: serate di poesia, letture pubbliche, interviste alle televisioni e ai giornali, continui incontri con le scolaresche, perché la sensibilità delle istituzioni scolastiche slave verso la cultura è  molto accentuata. E poi le magiche escursioni agli antichi monasteri ortodossi del sud, luoghi stupendi, arcani, incantatori… Tra i poeti c’era un legame intimo e meraviglioso. Ci si confidava, ci si scambiavano impressioni, libri, indirizzi, numeri telefonici.  Ogni occasione era buona per leggere un verso, per recitare una poesia, per comporre o semplicemente parlare e ascoltarsi. Persino i mass media facevano prevalentemente cultura. Pochissimi telefilm, pochissimi spettacoli in spazi marginali e, in prima serata, musica classica e poesia. Mi sembrava di sognare… Ero sbigottita e pensavo ai media italiani, straripanti di frivolezze, telenovelas demenziali, quiz e insulsi talk show che mirano all’audience a qualunque costo. Credo che dovremmo davvero rieducarci. Da noi tutto questo sarebbe fantascienza. La Serbia è un’isola felice per la poesia, e spero che non si occidentalizzerà mai. La poesia lì ha una dimensione di coralità davvero unica. Tutti leggono moltissimo, anche le persone più semplici e umili, e i poeti vengono letti con grande rispetto e partecipazione, tanto che i loro libri sono già esauriti dopo neanche un paio mesi. Al ritorno da quei viaggi mi sentivo sempre impreziosita. Avevo preso parte a un incontro di cuori, a un simposio di poeti in una terra di poeti, avevo vissuto per un po’ dove abita la vera poesia. E avevo soprattutto compreso che essere veri poeti significa vivere da poeti.

COME CONCILIA LAVORO, FAMIGLIA, PASSIONE PER LA SCRITTURA E PER LA MUSICA?

Questa sì che è una bella domanda! Premesso che non ho alcuna intenzione di fare sterili polemiche femministe, dovremmo però ammettere una buona volta che per un uomo è tutto diverso. L’uomo può tranquillamente fare lo scrittore e avere una famiglia. La donna, invece, ha troppe responsabilità dal punto di vista familiare, e spesso viene messa di fronte a una difficile scelta: o fa l’artista e vive sola o fa la moglie e la madre e rinuncia al “di più”. Sì, al di più, perché essere un’artista può diventare una colpa per una donna, se ciò sottrae tempo e attenzioni a ciò che “per natura”, come purtroppo ancora affermano troppi uomini, appartiene all’essere donna: e cioè la casa, i figli e la famiglia. Sono infatti soprattutto gli uomini a colpevolizzare le donne che si dedicano ad ‘altro’, se trascurano ciò che invece spetta loro “per natura”. Già un lavoro troppo impegnativo, che magari costringe la donna a stare fuori casa per molto tempo, non è adatto a una donna. Figuriamoci l’arte! E poiché oggi sono davvero poche le artiste non lavoratrici, immaginate che colpa potrebbe diventare per una donna madre, moglie e lavoratrice dedicarsi anche al cosiddetto “di più”. Non illudiamoci: sembra che oggi siano cambiate tante cose, ma in realtà non è così, ve lo assicuro. Se una donna non vuole rinunciare all’arte, ma non vuole neppure rinunciare a una vita affettiva, è costretta a sacrificare le sue notti, su questo non si discute. Quindi, tornando a noi, io riesco a conciliare lavoro, famiglia, scrittura e musica solo sacrificando le mie notti, gli unici spazi che posso riservare soltanto a me stessa, le uniche e benedette occasioni di raccoglimento creativo. E nonostante viva con un uomo aperto, solidale e collaborativo in tutto, un uomo che mi aiuta e mi sostiene sempre. Purtroppo è così. Non a caso il mio pianoforte e la mia poesia sono diventati acerrimi nemici, direi quasi rivali. Si contendono il mio tempo ogni giorno, naturalmente il mio tempo “libero”da ciò che devo fare prima di tutto, facendomi sprofondare nel rimorso più cupo quando sono costretta ad abbandonare per un po’ ora l’uno, ora l’altra. Ho sempre tentato di dividermi equamente tra scrittura e musica, ma davvero ho messo a repentaglio la mia salute. Di conseguenza, sono costretta a rinunciare di volta in volta o alla musica o alla poesia, con tanti sensi di colpa. Perché la poesia va cercata sempre e bisogna prendersi cura di lei ogni giorno, proprio come si fa con un bambino, altrimenti ti sfugge e la perdi, e non si può immaginare con quanta rapidità la ruggine invada le mani di un pianista che anche per poco non si eserciti. Spesso mi hanno chiesto se prima o poi avrei fatto una scelta: o suonare o scrivere. E io ho sempre risposto che non potrei mai scegliere se bere o mangiare. Non credo che potrei vivere senza la musica o senza la poesia. Non sarei più me stessa. Perciò cerco di fare poesia quando suono e di fare musica quando scrivo.

QUANTO DI LUCANIA E QUANTO DI PUGLIA C’E’ NEI SUOI LAVORI? COSA RAPPRESENTANO PER LEI QUESTE DUE REGIONI?

Pur essendo nata nelle Marche, io sono lucana DOC a tutti gli effetti, cioè figlia di autentici lucani figli di autentici lucani, e ne sono orgogliosa. In realtà mio padre ha lavorato a Pesaro per qualche anno, e soltanto per questo sono nata lì. Non c’è dubbio, la mia terra c’è in tutto ciò che scrivo. La sua natura imprevedibile e selvaggia e i suoi aspri paesaggi, soprattutto, ma anche gli affetti e i tanti ricordi che ho lasciato lì quando mi sono trasferita in Puglia. Non mi sento pugliese, credo che non lo sarò mai. Non ho più la sindrome dell’emigrante, questo è sicuro, ma a chi mi chiede di dove sono rispondo sempre che sono lucana e mai che sono pugliese. Tuttavia, in questi anni, devo ammettere che anche la Puglia, piano piano, ha arricchito la mia poesia. Parlo del mare che mi si apre davanti ogni mattina quando esco di casa, parlo del suo profumo e del suo colore nelle giornate tempestose dell’inverno, parlo delle sconfinate distese di ulivi che chiazzano le campagne, parlo del sole e dei gabbiani nei cieli dell’estate… E parlo della mia casa, scrigno di pietra e di tufo immerso in una città tutta bianca. Non so, ma può darsi che un giorno non lontano i tratti di queste due splendide regioni si uniscano, si amalgamino e si compenetrino in ogni mio verso. Per il momento mi limito a ringraziare queste terre per le innumerevoli emozioni che continuano a donarmi con tanta generosità.

Filippo Radogna