FORESTE DI MORTE

NPE Edizioni sforna un nuovo volume della collana dedicata a Sergio Tisselli: si tratta di FORESTE DI MORTE (64 pagine; 16,90 euro) scritto da Giovanni Brizzi e Giovanni Marchi, una storia tra reale e fantastico che racconta un tragico evento storico dei tempi della Roma Antica, che rivive ai giorni nostri nei suggestivi acquerelli di Tisselli.

Vediamo l’accaduto.

Con la sconfitta dei Taurini, Annibale ottiene l’appoggio delle tribù celtiche. Così, dopo il trionfo nelle battaglie del Trasimeno e di Canne, invita Ducario a coinvolgerle attivamente nelle loro imprese belliche. Gli insubri accolgono il cavaliere, loro consanguineo, come un eroe e insieme tendono il famoso e cruento agguato ai Romani: quello della Silva Litana.

Sullo sfondo della sacra foresta, si consumerà una delle disfatte più sanguinose subite dall’esercito romano. A determinarla, l’intervento dei misteriosi “alberi combattenti” che si abbatteranno inesorabilmente sui soldati.

Dalla prefazione di Giovanni Brizzi e Giovanni Marchi si legge: «L’agguato ha indotto alcuni studiosi a scomodare, per l’episodio, il ricorso alla saga degli “alberi combattenti”. Tipico del mondo celtico, questo motivo leggendario trova la sua prima espressione nel poema gallese “Cad Goddeu” (“La battaglia degli alberi”), attribuito al bardo Taliesin che, vissuto nel corso del VI secolo, lo scrisse in lingua gaelica.

Lo si ritrova poi nella leggenda scozzese di Macbeth cui attinge Shakespeare che, nell’omonima tragedia, razionalizza così l’apparente avanzare della foresta di Birnam verso il castello di Dunsinane.

L’elemento narrativo sarà ripreso infine ne “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien, laddove è descritto l’attacco degli Ent, un passo che ha ancor oggi un forte potere evocativo.

[...] Protagonista, nell’immaginario popolare, della magia druidica che aveva dato vita agli invincibili guerrieri-albero, Ducario fu costretto a spiegare ai suoi come ciò fosse solo fantasia.

A far perdere i Romani era stata, in realtà, la loro stessa superbia, la sacrilega volontà di sfidare quello che essi stessi avrebbero definito il genius loci (“genio del luogo”, NdR) della foresta, reso visibile agli occhi del console sotto forma di mostruoso arcimboldo; mentre l’armata intera, rassegnata e cieca, si consegna, vittima predestinata, alla più grande delle vittorie galliche dopo l’Allia».

A cura della redazione