THE GOLDEN STATE KILLER – DAI FURTI BIZZARRI AGLI STUPRI, DAGLI OMICIDI INSOLUTI ALLA PROVA DEL DNA

Un teatro tragico

Soprattutto ai nostri tempi, è abbastanza difficile capire se la realtà modelli tradizionalmente l’arte, offrendole il suo spunto canonico, oppure accada il contrario e sia l’arte a modellare la realtà. Un esempio di esistenza che prende spunto dalla finzione lo abbiamo esaminando la figura e i delitti del Golden State Killer, al secolo, ancor più pomposamente, Joseph James DeAngelo Jr. (1945).

“Una donna, che aveva appena 7 anni quando la madre è stata stuprata da DeAngelo, ha raccontato di aver assistito all’assalto. La madre legata, violentata e minacciata. Ha minacciato di tagliarmi un orecchio, ha detto. Lo ha paragonato al serial killer cannibale Hannibal Lecter: DeAngelo era la prova che i mostri sono reali. Avevo incontrato l’uomo nero”.

Be’, però in fondo si trattava di una bambina, almeno all’epoca.

Veniamo agli adulti, allora. Michelle McNamara, la scrittrice di true crime che si interessò maggiormente ai suoi misfatti quando l’identità del colpevole era ancora ignota, sostenne con tutta serietà che, nonostante i numerosi e gravi crimini di cui si macchiò, godette di scarsa notorietà mediatica fino a quando fu noto presso l’opinione pubblica con i nomi inefficaci (ovvero poco evocativi e terrorizzanti) di East Area Rapist (EAR) o Diamond Knot Killer oppure ancora Original Night Stalker (“Original” per distinguerlo dall’altro “Night Stalker”, Richard Ramirez!): invece Golden State Killer, soprannome giornalistico creato da lei unendo lo “stato dell’oro” (la California) con “omicida”, richiamò finalmente su di lui l’attenzione della gente, di giornali e tv. Insomma divenne un personaggio (nero) di successo e vendibile soltanto così: se non è arte del marketing questa…!

DeAngelo, da parte sua, ce la metteva proprio tutta per presentarsi in modo fortemente teatrale realizzando i peggiori incubi di ogni donna e di ogni uomo nella maniera più precisa, un po’ alla maniera di Freddy Krueger: nella notte, d’improvviso e magicamente eccolo materializzarsi nella stanza da letto delle sue vittime, il volto mascherato, una torcia elettrica in una mano e un coltello o una pistola nell’altra. Se la donna era sola, la legava e quindi si avvicinava con la maggior lentezza possibile al momento dello stupro (a volte fingeva di essersene andato, per ricomparire poi all’improvviso): in alcuni casi, però, pareva che esso fosse un rituale privo di una vera e propria necessità, da assolvere nel più breve lasso di tempo possibile, come una sorta di compito un po’ noioso che pochi minuti dopo era già finito. Talvolta preferiva andarsene in cucina a mangiare, oppure mettersi con tutto comodo a perquisire la casa alla ricerca di cose da rubare non necessariamente preziose, ma che semmai in qualche maniera avessero un legame affettivo con le sue vittime (per esempio delle monete o dei vecchi gemelli di nessun valore oppure – soprattutto – anelli e radiosveglie!). Più d’una lo sentì iperventilare o piagnucolare rivolgendosi a una figura materna nelle braccia immaginarie della quale si rifugiava dopo aver compiuto i suoi gesti criminosi o, ancora, dialogare con un complice inesistente. Forse però, e lo dimostrerebbe anche la sua lunghissima latitanza, si trattava semplicemente di messe in scena per depistare le indagini mostrandosi agli occhi delle sue vittime come uno psicopatico alla maniera di un Norman Bates.

La scelta sbagliata

Accennato a quanto accadeva alle donne, veniamo ora agli uomini: fin dalla notte dei tempi, cosa c’è fra i più angosciosi incubi di un maschio se non quello di essere incapace di difendere la propria compagna e la propria casa? Eppure eccolo lì, prono, mentre lei gli lega mani e piedi e il Golden State Killer pone grottescamente sulla sua schiena tazzine e piattini, così da sentire all’istante eventuali movimenti sospetti, tentativi di liberarsi o di fuga, per i quali l’uomo viene minacciato di morte. Molti dei matrimoni, dopo l’assalto e lo stupro, non resistettero alla prova. Le colpe, in realtà, non erano un fatto di debolezza virile, ma semplicemente di scelte sbagliate quanto agli spazi. Buona parte dei delitti, infatti, furono legati a possibilità offerte al criminale da soluzioni urbanistiche e architettoniche: per questo basta leggere le descrizioni dei luoghi e delle case che egli prendeva di mira. Il maschio aveva semplicemente sbagliato rifugio per sé e la sua compagna, insomma.

Spieghiamoci meglio. Che si trattasse della zona di Sacramento come di quella di Santa Barbara, DeAngelo sceglieva con accuratezza i quartieri fra quelli sì residenziali, ma periferici; tranquilli, anzi troppo tranquilli: a partire dalla sera, silenziosi e come disabitati, tant’è vero che in più di una occasione il Golden State Killer utilizzò addirittura una bicicletta per perpetrare i suoi delitti. Non suona un po’ ridicolo? E invece no, è perfettamente funzionale per chi non voglia far rumore ed evitare di svegliare così il vicinato.

Ricordate? La vita che prende spunto dall’arte: comparire d’improvviso e d’improvviso scomparire in un attimo, come per magia, col trucco della bici.

Adesso veniamo alle abitazioni: le casette si estendevano tutte su di un solo piano, quindi nessuno poteva sorprendere l’assalitore dall’alto, erano divise fra loro da staccionate che facevano da semplici divisori fra una proprietà e l’altra, ma non avevano certo compiti difensivi (bastava un bidone della spazzatura o qualche cassa dimenticata in giardino per saltare agevolmente da un cortile a un altro, cosa che puntualmente avrebbe fatto il Killer). Non parliamo poi delle aperture: fra porte (soprattutto quelle sul retro) e finestre c’era soltanto l’imbarazzo della scelta per riuscire a far la figura del supercattivo da horror in grado di manifestarsi dal nulla, soprattutto se le vittime venivano colte nel bel mezzo del sonno, quando non soltanto le difese fisiche, ma anche quelle psicologiche erano meno pronte a una reazione adeguata… Inoltre, per non lasciare veramente nulla al caso e avere un’idea precisa della villetta che voleva “visitare”, bastava che il GSK vi entrasse qualche giorno prima del suo assalto in assenza dei proprietari per dare un’occhiata alla sua disposizione. Il fatto è provato dalle testimonianze delle vittime: molte di esse, col senno di poi, ricordarono di aver trovato una finestra aperta che erano certissime di avere chiuso o qualche oggetto fuori posto al loro rientro a casa, magari la settimana precedente all’attacco. A quanto pare, infine, l’omicida si presentava addirittura agli open house che le agenzie immobiliari organizzavano per vendere delle abitazioni fatte e finite così da studiare tanto esse quanto i loro futuri proprietari. Probabilmente questo genere di accortezze gli derivarono dalla tipologia di attività respirata in casa, che poi, almeno per un certo periodo, divenne anche il suo lavoro.

Lavoro, famiglia e trauma

Suo padre infatti era sergente della United States Army. Lui stesso nel 1964 prestò servizio in marina, nella quale combatté per 22 mesi durante la guerra del Vietnam. Per i militari, in effetti, conoscere alla perfezione il teatro del combattimento – nel caso del GSK la casa delle vittime – è di vitale importanza allo scopo d’una pianificazione efficace dell’attacco. In seguito, si laureò in scienze della polizia col massimo dei voti; a partire dal 1971 iniziò a frequentare l’Università di Sacramento, dove conseguì una laurea in giustizia penale: gli esiti del suo ciclo di studi dimostrano che non era affatto limitato quanto a capacità intellettuali, tutt’altro. Dopo aver seguito vari corsi post-laurea e un addestramento nelle forze dell’ordine, un lungo stage concluse il suo periodo di apprendistato. Dal 1973 al 1976 lavorò come agente dell’unità di furto con scasso. In seguito prestò servizio ad Auburn dal 1976 al 1979, quando fu arrestato per aver rubato un martello e un repellente per cani! Certo non una dimostrazione di intelligenza da parte sua, ma piuttosto un sintomo dell’evidente perdita di controllo su di sé: in effetti, i delitti di DeAngelo presero il via proprio in questo periodo. Fu poi condannato a sei mesi di libertà vigilata e sollevato dal proprio incarico nell’ottobre di quell’anno.

Questi suoi primi bizzarri crimini, come abbiamo detto, datano per l’appunto 1976, anno nel quale potrebbe essere accaduto qualcosa di associabile a un vecchio trauma. Forse questo evento o questi eventi non meglio identificati (e da noi soltanto ipotizzati, si badi bene) gli richiamarono alla memoria un ricordo orribile sul quale egli non aveva alcun potere neanche facendo appello a tutte le forme di autorità possibili di cui aveva preso le spoglie, dal militare al poliziotto: infatti, secondo voci raccolte fra i suoi parenti, verso i 9-10 anni Junior dovette assistere allo stupro della propria sorella da parte di due militari in Germania Ovest, dove all’epoca si trovava la famiglia. Senza ombra di dubbio la sua carriera di serial killer trovò alimento in un simile tremendo episodio, mai superato ma anzi riproposto sempre nelle sue aggressioni, ovviamente identificandosi nei violentatori. Potrebbe aver avuto una qualche influenza su di lui il fatto che, almeno a detta di diverse vittime, era sessualmente sottodotato (per l’appunto avvicinandosi in questo a un bambino in fase prepuberale), e ciò lo avrebbe indotto a ricreare continuamente la scena della violenza senza ricavarne mai adeguata soddisfazione psicologica, se non nei confronti degli uomini legati e inermi, che tuttavia nella scena interiore prendevano il suo posto di individuo imbelle (per ovvi motivi di età) dell’epoca. D’altro canto, come abbiamo detto, in diverse occasioni egli sembrava poco interessato allo stupro, nonostante fosse quello lo scopo principale del rischio che correva: all’apparenza un’evidente contraddizione. Infine, quando passò agli omicidi, si può ipotizzare che attraverso essi egli desiderasse cancellare stuprata e testimone per fare come se l’episodio d’infanzia al quale aveva assistito non fosse mai avvenuto. O, più in generale, come se si dovessero eliminare i rapporti intimi di coppia. D’altro canto, formulò la sua prima richiesta di matrimonio minacciando pistola in pugno la fidanzata, che ovviamente rifiutò la “proposta”; poi imparò a fingere e nel 1973 sposò un’altra donna, con la quale comprò casa ed ebbe figli; da essa divorziò nel 1991.

Telefono nero

Dopo le stranezze ancora nelle vesti di poliziotto, DeAngelo commise i primi stupri e i primi furti in quelle di civile. Per dare un’idea del numero delle sue vittime, occorrerà un riassunto neppur troppo breve. Dal giugno del 1976 al luglio del 1979, nel Nord della California aggredì 50 donne in 7 contee. La prima volta perpetrò il proprio crimine in modo un po’ grottesco, presentandosi addirittura senza pantaloni, ma purtroppo la parte ridicola termina qui. Dopo lo stupro iniziale, si scatenò su donne sole e soltanto dopo il quindicesimo assalto ebbe l’ “esigenza” che fosse presente anche un uomo perché la scena sessuale fosse esattamente quella da lui sognata. Poiché da alcuni dettagli pareva che lo stupratore conoscesse le procedure delle forze dell’ordine assai meglio di un comune cittadino, qualche vittima e gli agenti stessi cominciarono a pensare che si trattasse di un poliziotto.

Una delle più singolari abitudini del Golden State Killer furono i messaggi telefonici lasciati tanto nelle stazioni di polizia della zona quanto nelle segreterie delle sue prede (che naturalmente vennero resi noti soltanto in seguito).

18 marzo 1977: lo sceriffo della contea di Sacramento ricevette due chiamate che suonavano come scherzi in quanto consistevano semplicemente in risate, ma la terza diceva: Sono lo stupratore dell’East Side e ho già inseguito la mia prossima vittima e voi ragazzi non riuscirete a prendermi.

2 dicembre 1977: la stazione di polizia di Sacramento ricevette una telefonata in cui l’uomo all’apparecchio dichiarò di essere l’EAR e disse: Non mi prenderete mai, stupidi bastardi. Farò sesso di nuovo questa sera. State attenti. Quella stessa notte si verificò un altro stupro, come già il 18 marzo.

9 dicembre 1977: una delle vittime del criminale ascoltò atterrita: Buon Natale, sono di nuovo io e il giorno successivo le autorità di Sacramento: Stasera colpirò sulla Watt Avenue. Come fu accertato, il soggetto che aveva effettuato questa telefonata era la stessa persona all’apparecchio il 2 dicembre.

Le chiamate, e il fatto non sarà contraddetto neppure in futuro, erano di sfida o di minaccia. Quando la violenza crebbe qualitativamente, venne annunciata con puntualità: all’inizio del 1978 il killer lasciò un nuovo messaggio nella segreteria telefonica di una donna, futura vittima, in cui sussurrò che l’avrebbe uccisa, accompagnando poi la sua dichiarazione con insulti di vario genere. Puntualmente, proprio nel 1978 si verificò il primo omicidio, in quell’unica occasione per strada, mentre una coppia stava portando a spasso il cane.

Nell’ottobre 1979 DeAngelo spostò il proprio raggio d’azione a sud della California, dove rischiò per la prima e unica volta di concludere la propria carriera anzitempo: non soltanto la coppia assalita gli sfuggì, ma venne addirittura inseguito in auto da un agente dell’FBI, vicino di casa dei due; quando i fari dell’auto lo investirono scese al volo dalla sua bici e saltò la recinzione fra due case. Stan Los, l’agente dell’FBI che aveva alle calcagna, avrebbe dovuto sparargli, perché quella fu l’unica occasione in cui le forze dell’ordine avrebbero potuto far cessare la strage: si difese dalle accuse dei colleghi affermando che tutto quello che avrebbe dovuto spingerlo a sparare era una donna che urlava e un tizio bianco (N.B.) in bici che accelerava ogni volta che lui gridava o suonava il clacson: era veramente poco per correre il rischio di uccidere un innocente (soprattutto se bianco). Non gli si può dar torto, ma purtroppo in seguito DeAngelo commise altri dieci omicidi colpendo per la prima volta nella contea di Santa Barbara. I delitti continuarono fino al 1981 (con un ultimo caso isolato nel 1986). Le vittime furono tutte ammazzate a colpi d’arma da fuoco.

Fine corsa

Come ipotizza McNamara, con la vecchiaia e l’andropausa, ma forse anche a causa delle innovazioni criminologiche ormai troppo sofisticate per potere evitare di incapparvi, il serial killer si ritirò. Probabilmente passò il tempo cullato da quelli che – solo per lui – erano rosei ricordi, rivangando gli episodi del passato ed esultando mentre conteggiava l’enorme numero di donne che aveva avuto, sia pure con la violenza, anche se era l’esatto contrario di un maschio sessualmente alfa. Questa sì che era una meravigliosa rivincita: nessuno avrebbe mai saputo la verità, ma aveva trovato la sua collocazione nel mondo, la sua identità non meno che la sua importanza. C’erano stati articoli, indagini, omicidi e sesso proibito penetrato nella coscienza collettiva – ma il mistero sarebbe rimasto tale. La gente aveva cercato di capire – ma invano: li aveva sentiti al bar intrattenersi su di lui, ciascuno con la propria teoria. Sbagliata. A riprova del suo bisogno di ricordare, tormentò telefonicamente per l’ultima volta una sua vittima addirittura il 6 gennaio del 2001: Ti ricordi quando abbiamo giocato? Quello ricercato attraverso questa estrema persecuzione di raffinata crudeltà è il godimento di un sadico che stupra con una semplice frase innocente, infantile, certo terribile e del tutto inaspettata per le orecchie della donna e quindi tanto più eccitante per il suo carnefice. Proprio vero: le parolacce non esistono, qualsiasi termine, anche il più angelico, può diventare offensivo a seconda del contesto.

Dal 1990 al 2017 lavorò come meccanico in un centro di distribuzione di supermercati a Roseville. Nel 1996 fu nuovamente arrestato per essere stato coinvolto in un incidente avvenuto in una stazione di servizio, ma l’accusa fu poi lasciata cadere. In ogni caso il suo nome non era mai comparso fra quelli che erano sospettati di essere il Golden State Killer e l’assassino ormai pensava di potersi godere una tranquilla vecchiaia, ma la tecnologia – ai nostri tempi – non dorme mai, e soprattutto sa rianalizzare vecchi reperti con metodi nuovi. A questo DeAngelo forse non pensò, o se lo fece si augurò di passarla liscia.

Fu così che il criminologo Paul Holes, che insieme a pochi altri continuò l’indagine sul Golden State Killer nel corso degli anni, pur essendo andato ufficialmente in pensione nel marzo 2018, rimase coinvolto in essa fino al giorno della sua cattura: ebbe il merito di identificarne le tracce genetiche su alcune vittime e la grande soddisfazione professionale di vedere i suoi sforzi coronati dal successo partecipando al suo fermo (aiutò persino a redigerne il mandato di arresto): il 24 aprile 2018, il Golden State Killer fu imprigionato e i delitti irrisolti che lo riguardavano definitivamente chiusi.

Tuttavia, poiché la democrazia è maestra nel legarsi le mani da sola, DeAngelo, a causa dello statuto di limitazione previsto dalla legge della California su casi di violenza carnale e altri crimini anteriori al 2017, non poté venire accusato di quelli che commise in quel periodo, ma quantomeno lo fu di ben 13 tentativi di rapimento. Al processo apertosi nell’aprile del 2019 i pubblici ministeri di sei diverse contee dissero che avrebbero chiesto la pena di morte.

Il 4 marzo 2020 DeAngelo accettò di dichiararsi colpevole qualora l’iniezione letale non venisse contemplata fra i possibili provvedimenti da adottare a suo carico. Ottenuto quanto desiderava, vuotò il sacco e il 29 giugno successivo rese piena confessione a proposito di 13 capi d’accusa che andavano dall’omicidio di primo grado al rapimento. Come parte del patteggiamento, ammise anche di aver commesso numerosi crimini di cui non era stato formalmente incriminato, stupri inclusi, quindi venne condannato a 12 ergastoli senza alcuna possibilità di chiedere la condizionale.

I test del DNA effettuati all’inizio del 2018 collegarono DeAngelo a otto omicidi avvenuti nelle città di Goleta, Ventura, Dana Point e Irvine; altri due assassinii vennero messi in relazione con lui. Infine si dichiarò colpevole di altre tre uccisioni avvenute due a Rancho Cordova e uno a Visalia.

Poco dopo la sentenza, la contea di Sacramento diffuse un video che mostrava la maschera nascosta di quest’uomo. Lo si vede in cella, dopo aver scansato la pena di morte, agile come un ragazzino (altro che sedia a rotelle esibita durante il processo per impietosire la giuria!): fa strani movimenti con le braccia, probabilmente di gioia per la sentenza che lo lascia a debita distanza dal braccio della morte, e butta a terra la mascherina anti Covid con la quale pulisce il pavimento togliendosela definitivamente dal volto: insomma, è impegnato in una festa solitaria e selvaggia in cui celebra la sua sopravvivenza alla faccia delle terribili colpe di cui si è macchiato! No, in lui non è rimasto proprio nulla dell’uomo zoppicante, contrito, balbettante e piagnucoloso del processo che aveva chiesto scusa ai parenti delle vittime e si era dichiarato pentito di quanto aveva fatto.

Gianfranco Galliano

[BOX LIBRO] DIECI BRUTALI DELITTI

Per chi volesse approfondire le vicende di De Angelo e le prosaiche difficoltà di fronte alle quali si trovano le forze di polizia nelle loro indagini su di un serial killer, ma anche le origini della passione per il true crime di molti detective dilettanti, che spendono ore e ore alla ricerca di improbabili indizi sfuggiti alle autorità percorrendo instancabilmente le strade della rete, è senz’altro consigliabile il bel libro di Michelle McNamara Dieci brutali omicidi: esso ricostruisce con una pazienza certosina che a tratti sfiora la maniacalità (per ammissione della stessa autrice) l’intera storia delle tragiche imprese dell’assassino. Illuminante l’ampio apparato iconografico. Poiché il testo venne redatto prima dell’arresto di DeAngelo, è il caso di notare come il libro contribuì a suo modo alla cattura del serial killer risvegliando l’attenzione dell’opinione pubblica sui delitti commessi dal Golden State Killer.