I MYSTERI DELL’EROS 07: L’EROS DELLA TRIMURTI NELL’ANTICA INDIA

Milleduecentocinquanta versi – o sloka – divisi in sette parti e trentasei capitoli, a loro volta suddivisi in sessantaquattro paragrafi. In questi pochi numeri è racchiuso tutto un universo di conoscenze “segrete”, di insegnamenti, di norme sulla sessualità “trascendente” derivanti dalla millenaria sapienza indiana, a noi giunti ad opera di un autore del quale, in realtà, si sa ben poco.

Si sa con certezza che si chiamava Vatsyayana.

Antico frammento del “Kama Sutra” del filosofo indiano Vatsyayana.

Visse appena dopo il I secolo della nostra Era e ciò parrebbe verosimile perché egli stesso accenna al triste episodio che segnò la sua esistenza: l’uccisione della moglie, Malayevati, mediante un’arma chiamata kartari, durante un loro amplesso, ad opera di un monarca dell’epoca che regnava a Kuntala, Satakarni Satavahana, invaghitosi della bellissima donna.

Monete dell’antica India. Il personaggio raffigurato sul recto della moneta potrebbe essere, verosimilmente, Satakarni Satavahana.

Di certo visse prima del VI secolo d.C. poiché in tale periodo, un altro saggio indù, Virahamihira, cita ampi contenuti dell’opera di Vatsyayana nell’ottavo capitolo della sua opera Brihatsanhita sulla “scienza dell’amore”.

L’opera di cui stiamo parlando è ben nota anche in Occidente come Kama Sutra.

La traduzione dal sanscrito venne alla luce intorno al 1880 per l’interessamento di uno strano viaggiatore inglese, Sir Richard Burton, al quale si deve anche la traduzione dall’arabo delle novelle di Mille e Una Notte e – last but not least, egli avrebbe detto – la scoperta delle sorgenti del Nilo.

Sir Richard Burton (1821 – 1890).

Burton collaborava con alcuni pandit alla traduzione dell’Anunga Runga, o Periodo dell’Amore e, qua e là nell’opera, trovarono molti riferimenti ad un certo Vatsya. Cercarono a Benares, a Calcutta e a Jaypur copia integrale del manoscritto originario e, dalle varie edizioni e con l’aiuto di un “Commentario” chiamato Jayamangla, si arrivò ad una definitiva versione di cui Burton si avvalse per la traduzione inglese.

“[…] Tale trattato venne composto secondo i precetti della Sacra Scrittura – ebbe a scrivere lo stesso Vatsyayana – … Una persona che conosca i veri principi di questa scienza, che rispetti i suoi Dharma, Artha e Kama… avrà sempre pieno controllo dei suoi sensi. In breve, una persona intelligente, che pratichi il Dharma, l’Artha e il Kama, senza diventare schiavo delle sue passioni, ottiene il successo in ogni sua impresa […]”

Dharma? Artha? Kama?

Quale significato dare a questi termini sanscriti visti in un’ottica “occidentale”?

In estrema sintesi, il Dharma consiste nell’acquisizione dei meriti religiosi – e i suoi precetti vennero compilati dal saggio Swayambju Manu – l’Artha mira al raggiungimento dei beni materiali – e fu codificato da Brihaspati – mentre il Kama ha come obiettivo l’amore fisico, il soddisfacimento sessuale e i suoi insegnamenti furono inizialmente dettati da Nandi, seguace di Mahadeva che li aveva esposti in mille capitoli.

Insomma la virtù, la ricchezza e il piacere.

Vorremmo – in queste poche pagine – trattare anche della virtù e della ricchezza, ma… sarà per un’altra volta!

Accontentiamoci ora di esplorare, anche se affrettatamente, l’infinito universo del piacere fisico e dell’armonia raggiungibile tra le due eterne metà del cielo quando decidono di divenire una… unità

Il che – tutto sommato – ci compensa adeguatamente dei “vuoti culturali” riguardo la virtù e la ricchezza cui accennavo e a cui dobbiamo “a malincuore” assoggettarci…

L’Eros di Brahama

Brahama, il Creatore, desiderò che fosse così e così proiettò il principio dell’Universo; da questo venne l’Energia Originale e da quello la Mente. Quindi in quel luogo sviluppò i sottile elementi e da questi molti mondi. Dalle azioni compiute dagli esseri in questi mondi fu instaurata la catena delle cause e degli effetti”.

Così recita un passo del Mundaka Upanishad, riguardo Brahama, tardiva personificazione del Vedismo, inteso come quel complesso di credenze e ritualità che si sviluppò in India a seguito dell’invasione – tra il 1800 a.C e il 1600 a.C. – di popolazioni nomadi indo-iraniche.

Brahama, nato dall’Uovo Primordiale (Hiranyagarbha) insieme a Vishnu – il Conservatore – e a Shiva – il Distruttore – forma la Trimurti induista.

Ma più di Brahama è Sarasvatia ricondurci al tema principale di queste pagine…

Sarasvati, la consorte di Brahama, ha un desiderio carnale più potente della luce di dieci milioni di lune… Ella è sempre sorridente ed estremamente bella; il suo corpo è decorato da perle e gioielli”.

Brahama – l’aspetto creativo “maschile” della divinità – e Sarasvati – l’altra “metà del cielo” l’Energia Femminile, la Shakti – formano l’inseparabile Coppia Cosmica posta alla base anche della sessualità così come viene concepita in India e in particolar modo nel Tantrismo, corrente religiosa diffusasi intorno al VI secolo d.C.

Brahama, il Creatore.

Sarasvati viene spesso simboleggiata con la vina un particolare strumento musicale con sette corde la cui forma “arrotondata” ricorda in un certo senso il corpo femminile. Ed è suonando la vina che Sarasvati si manifesta esprimendo l’infinita gioia della Creazione.

La “vina”, particolare strumento musicale con sette corde la cui forma “arrotondata” vorrebbe ricordare, in un certo senso, il corpo femminile.

Durante l’atto sessuale, la coppia “umana” dovrebbe quindi identificarsi nella coppia “divina”, nella loro gioiosa radiosità, nell’incessante desiderio che anima l’evoluzione e la crescita interiore. L’uomo e la donna, in sintesi, dovrebbero “divenire” essi stessi Brahama e Sarasvati e, così facendo, evocare quasi il creativo archetipo della propria esistenza, poiché “…Brahama iniziò il processo della Creazione. Divise gli uomini dalle donne, ed essi fecero l’amore. Insieme Brahama e Sarasvati generarono tutta la razza dei mortali…”.

Sarasvati è anche “Patrona delle Sessantaquattro Arti” descritte nel Kama Sutra e considerate indispensabili per il raggiungimento del pieno equilibrio psico-fisico dell’individuo.

Peccato però che per conoscerle e padroneggiarle tutte non basterebbero dieci vite, poichè le “Sessantaquattro Arti” comprendono il cantare, il suonare strumenti musicali, lo scrivere, il disegnare, la magia, lo sport e moltissime altre “specializzazioni” incompatibili con il frenetico vivere del mondo Occidentale.

Evidentemente siamo destinati a non raggiungere mai l’agognato equilibrio che invece sembra tipico della mentalità orientale!

Il corpo: Tempio dell’Anima

Così come ogni rito, ogni tangibile manifestazione della devozione religiosa andrebbe compiuta in un adatto “luogo sacro”, così il corpo umano viene considerato il “tempio dell’anima”, tempio in cui sono presenti, secondo moltissime filosofie e concezioni “esoteriche”, tutti i mistici “elementi” – Acqua, Aria, Terra, Fuoco – che compongono appunto  l’Uomo ma anche l’Universo stesso.

E così come un “Tempio” possiede particolari “strutture” atte a particolari “riti”, così il corpo dell’Uomo (e della Donna!) possiede “fiumi”, “porte”, “giardini” ove “officiare” – secondo i dettami della filosofia espressa nel Kama Sutra – i riti dell’amore fisico.

La dottrina tantrica sostiene ad esempio l’esistenza di un grande “fiume” d’energia che scorrerebbe dalle “porte inferiori” verso la sommità del capo, attraverso la spina dorsale, attraversando i “chakras”.

Secondo ciò che comunemente viene definito Tantrismo – che dovremmo chiamare  più correttamente “shaktismo” poiché dedito al culto della Shakti, l’aspetto femminile della divinità – il Corpo umano inteso come “Tempio” possiede nove “porte”, suddivise tra la parte superiore del corpo e quella inferiore.

Le “porte” superiori sono il naso, la bocca, gli occhi, le orecchie e – stranamente – anche la cosiddetta “fontanella” posta sulla sommità del cranio, denominata apertura di Brahama. Quelle inferiori sono l’orifizio anale e l’organo sessuale.

Tra queste “porte” fluiscono “fiumi’ di energie sottili”.

La dottrina tantrica sostiene ad esempio l’esistenza di un grande “fiume” d’energia che scorrerebbe dalle “porte inferiori” verso la sommità del capo, attraverso la spina dorsale, attraversando i chakras, e ponendo l’individuo – il Microcosmo –  in comunicazione con l’Universo intero, il Macrocosmo. A fianco di questo “fiume energetico”, sulla parte sinistra e destra del corpo umano, scorrerebbero altri due “fiumi” – uno “lunare”, a sinistra ed uno “solare”, a destra – che si attorcigliano tra loro e attorno al “fiume” principale come due serpenti e che ci ricordano immediatamente il simbolo di Mercurio, il Caduceo. Ma anche la “doppia elica” dell’Acido Desossiribonucleico, il DNA, la Vita…

Durante l’amore fisico tra l’Uomo e la Donna si compirebbe l’atto devozionale nel Tempio del Corpo, facendo fluire verso l’alto i tre “fiumi” di energia, fondendo i due aspetti dell’energia vitale e accendendo nell’essere umano la “scintilla divina” che in esso alberga.

Con la perfetta conoscenza di questi complessi meccanismi psico-fisici, l’esperienza sessuale diviene “totale”, più appagante facendo provare ai due partner un orgasmo pienamente cosciente e totale.

L’Eros di Vishnu

Visnhu, il Conservatore, regge tutte le cose ed ha la capacità di manifestarsi in molte forme differenti. Nel grande Oceano Cosmico egli si appoggia comodamente sul Serpente dell’Infinito ed è lo spirito primordiale dell’esistenza, il Signore dell’Universo”, possiamo leggere nel Vishnu Purana.

E gli fa eco il Lakshmi Tantra, “Lakshmi è la consorte di Vishnu ed è bella come dieci milioni di soli sorgenti ed è l’incarnazione della sensualità…”.

Secondo la tradizione tantrica – che ritroviamo anche nel Kama SutraVishnu è considerato il regolatore dell’erotismo poiché essendo egli anche il Signore delle Acque presiede ai sensi del gusto, della percezione del piacere sessuale, dato che  attraverso l’elemento “acquatico” (la saliva, le secrezioni sessuali, ecc.) si  assimilano i “sapori”. Qualsiasi essi siano…

Durante l’unione sessuale effettuata secondo le prescrizioni riportate nel Kama Sutra i due partner dovrebbero “divenire” Vishnu e Lakshmi “conservando” così il benessere spirituale insieme alla prosperità materiale.

“Lakshmi è la consorte di Vishnu ed è bella come dieci milioni di soli sorgenti ed è l’incarnazione della sensualità…”.

Un testo tantrico, il Prapanchsara Tantra suggerisce inoltre ai partner particolari “visualizzazioni” atte ad aumentare il sentimento erotico per mettere in circolazione l’energia vitale agendo sul ritmo respiratorio e sul battito cardiaco.

Sempre secondo le concezioni indiane dell’amore fisico, la Donna, durante il rapporto sessuale, può e deve “diventare molte donne”, assumendo il ruolo di moglie, di amante, di vergine, di “prostituta”, rivitalizzando così anche la relazione.

Il testo di cui stiamo parlando in queste pagine, il Kama Sutra, prende il nome proprio dal frutto dell’unione tra Vishnu e Lakshmi: Kama, il dio dell’Amore.

Dunque il Kama Sutra costituisce l’insieme dei suoi “Aforismi” (Sutra), la sua “melodia”, i suoi “canti d’Amore” che dovrebbero essere intonati armonicamente durante l’unione sessuale.

L’Eros di Shiva

Lassù in alto, sulla cima del Monte Meru, al centro dell’Universo, Shiva lo Yogi supremo e Shakti la sua metà femminile sessuale, guardano insieme il mondo e i suoi abitanti. Liberati dalla cose terrene attraverso l’altruistica comunione sessuale, la Coppia Cosmica si sazia della pace trascendente che segue l’Estasi”.

Shiva, dunque, è sicuramente  il Distruttore ma, insieme alla sua compagna Parvati-Kali (la sua shakti) e come le altre due divinità della Trimurti indiana, rivela il suo aspetto benefico nella contemporanea distruzione dell’ignoranza, della non-conoscenza (avidya), consentendo così la rigenerazione perenne della materia cosmica.

Esso viene invocato con ben 1008 nomi, tra cui Mahadeva (il grande Dio), Nataraja (il Signore della Danza), Kala (la Morte), Shankar (il Veggente) ed è di solito raffigurato dal Lingam, una pietra verticale a forma di fallo, simbolo di potenza generativa, che emerge da una sorta di recipiente simboleggiante il sesso femminile, la Yoni.

La loro unione rappresenta la creazione primordiale, l’assorbimento di ogni dualismo e il dissolvimento della fenomenica molteplicità dell’unità del Brahman, forza suprema ed unica, al di sopra di tutte le divinità.

La pratica…

Fin qui la… teoria. Ma la “pratica” come deve essere attuata dai due partner?

Come deve essere consumata l’unione sessuale secondo i precetti del Kama Sutra?

Eh no! Non è certamente questa la sede adatta per addentrarci in particolari “lezioni” e “suggerimenti” per rendere il più piacevole possibile l’assimilazione delle non semplicissime premesse teoriche di cui abbiamo appena fornito necessari (forse), brevissimi cenni.

Vi deluderò limitandomi soltanto a fornire, per concludere, un breve appunto su quello che in termini editoriali – riguardo il Kama Sutra – si definirebbe “piano generale dell’opera” e a fornire qualche curioso dettaglio sugli aspetti più caratteristici della sessualità indiana opportunamente “commentati” da singolari fotografie, opera della instancabile collaboratrice Giuliana Pedroli Piras – cugina dell’autore di queste note –, reduce da uno dei suoi tantissimi viaggi in India.

Abbiamo detto all’inizio di questo breve viaggio che il Kama Sutra è suddiviso in sette parti. Esse sono il Sadharana che tratta degli argomenti generali sul sesso; il Samprayogika, che suggerisce i vari tipi di amplesso; il Kanya Samprayutaka, che tratta dell’unione eterosessuale; il Bharyadhikarika, che fornisce suggerimenti per l’unione con la propria moglie; il Pardarika, che tratta… delle mogli altrui; il Vaisika, dedicato alle cortigiane e infine l’Aupamishadika che dà suggerimenti sull’arte del sedurre, sui “tonici”, ecc. E – poiché esistono appositi manuali… molto bene illustrati – a tutti i trentasei capitoli in cui queste sette parti del Kama Sutra sono divise o a quelli che maggiormente rispondono alle personali preferenze in tema di erotismo, per le … “esercitazioni” rimanderei i lettori de La Zona Morta agli articoli dedicati ai molteplici aspetti della sessualità nel mondo antico e passerei alle riflessioni di chi ha vissuto personalmente la particolare atmosfera di luoghi in cui l’esoterica sessualità indiana… non lascia certamente spazio alla fantasia.

Giuliana Pedroli Piras alla presentazione di uno dei suoi libri sulla cultura dell’India.

Giuliana Pedroli Piras, dopo aver girato in lungo e in largo l’India è arrivata infatti anche nella località in cui si venera uno dei simboli cardine della sessualità indiana: lo Shiva Lingam, il sacro fallo della divinità.

A Khajuraho esisteva un complesso di oltre ottanta templi – il più grande dei quali  è il Kandariya Mahadeva – che, dopo la loro scoperta, nel 1838, effettuata dal capitano dell’esercito inglese T.S. Burt, suscitarono contemporaneamente l’entusiasmo comprensibile degli archeologi e lo sdegno della puritana e “vittoriana” società dell’epoca che riteneva le varie scultura altamente licenziose e scandalose.

Oggi, perfettamente conservati e curati, ne rimangono solo ventidue.

Il Sadhu spiega la posizione: la dualità dell’essenza “divina” del Sadhu. Eliminata la sessualità mediante questa pratica che impedisce le funzioni sessuali, si raggiunge il distacco dai desideri terreni e si raggiunge il nirvana, la santità. (© Giuliana Pedroli Piras).

Mentre spiega il concetto, egli assume la posizione dell’albero (© Giuliana Pedroli Piras).

Poi si prepara alla pratica con l’estensione del pene spiegando che ciò è possibile solo dopo un lungo esercizio (© Giuliana Pedroli Piras).

Il Sadhu, dopo aver arrotolato il membro attorno al bastone, lo fa passare dietro le gambe fino all’altezza delle natiche (© Giuliana Pedroli Piras).

A rafforzare il concetto della posizione, ovvero la totale assenza di future pratiche sessuali, poi fa salire il discepolo sopra il bastone. Dimostrazione anche dell’assenza assoluta di trucchi di ogni tipo (© Giuliana Pedroli Piras).

Nell’indifferenza generale altri sadhus si riscaldano chiacchierando attorno al “dhuni”, il fuoco sacro rituale. (© Giuliana Pedroli Piras).

Il Kandariya Mahadeva (e molti altri templi indiani, Khajuraho in primis) costituisce una sorta di Kama Sutra in pietra, poiché nelle opere d’arte che abbelliscono i templi è, senza inibizioni o rèmore, illustrata la sessualità in tutte le sue espressioni, da quella “profana” della vita di tutti i giorni a quella “sacra” ed “esoterica” dell’erotismo divino.

In uno di questi templi – edificati sotto la Dinastia Chandella tra il X e il XII secolo della nostra Era – viene appunto adorato un Lingam, il simbolo fallico per eccellenza – alto due metri e mezzo e con il diametro di circa un metro.

Il Lingam di Khajuraho poggia sulla parte ad esso complementare: la Yoni, l’organo genitale femminile, costituendo insieme un perenne simbolo di continuità della Vita, della Creazione.

Il complesso, realizzato in pietra arenaria, reca numerose iscrizioni e, come simbolo di fertilità, viene giornalmente ricoperto di fiori mentre innumerevoli bastoncini di incenso “innalzano” verso il Cielo, verso le divinità del vasto Pantheon indiano, le preghiere dei fedeli.

L’elefante, animale possente mansueto e prezioso nelle innumerevoli battaglie, incute rispetto e serietà! Presso la religione induista è Ganesha, uno degli aspetti di Dio più conosciuti, figlio primogenito di Sìva e Pārvati. Qui è raffigurato, sorridente e ammiccante, al di fuori delle varie sculture, appunto per mettere in evidenza il comportamento disinvolto e licenzioso dei soldati che lui accompagna in guerra.

Nei templi indiani dove sono raffigurate scene erotiche, nulla viene lasciato alla fantasia…

I templi dell’India antica appaiono come una sorta di Kama Sutra in pietra.

A Khajuraho è possibile osservare anche scene di sesso praticato con animali, ma esse nulla hanno a che vedere con ciò che chiamiamo “paraflie” poiché sono particolari espressioni della tradizione tantrica.

Uno dei molteplici Lingam diffusissimi in India, compenetrato nella Yoni, perenne simbolo dell’unione sessuale e della di continuità della Vita, della Creazione.

In definitiva l’India è, per concludere proprio con estemporanei ma acuti “appunti di viaggio” della Pedroli Piras, un “…Paese di grandi contrasti, in cui convivono in perfetta armonia il sesso e la sua negazione… un Paese dove, insieme a stupendi templi in cui l’erotismo è trattato nelle sue forme più esplicite, esistono infiniti “tabù” legati alla sessualità… un Paese in cui uomini e donne camminano affiancati ma non tenendosi per mano o sottobraccio. Sarebbe disdicevole… un Paese in cui gli attori, nei film, non osano baciarsi ma avvicinano castamente le loro bocche… un Paese in cui donne velate da bellissimi Sari si coprono il viso, abbassano lo sguardo ma non battono ciglio incontrando sulla pubblica via un Sadhu o monaci Jain che girano completamente nudi chiedendo l’elemosina… un Paese in cui certe “nudità” sono evidentemente “un abito”…”.

Roberto Volterri

A sinistra, il libro di Giuliana Pedroli Piras alla quale dobbiamo molte delle particolari fotografie realizzate durante uno dei suoi innumerevoli viaggi in India, anche a scopi umanitari. A destra, uno dei vari libri di Roberto Volterri dedicati anche ad inconsuete tecniche di indagini archeologiche.