LE ORIGINI DELLE FIABE 02 – BIANCANEVE

C’era una volta… così iniziano tutte le fiabe che ci hanno raccontato da bambini… si parte da un antefatto, si prosegue con storie di magia e stregoneria, mostri spaventosi, principi coraggiosi, storie d’amore e di coraggio, avventure a profusione, inseguimenti e duelli e pian piano si giunge al lieto fine, che solitamente è tale per dare un po’ di respiro e di gioia dopo tanti affanni e tanto penare durante lo svolgimento della trama.

Non fa eccezione nemmeno la favola di Biancaneve (Schneewittchen, nella versione originale), che ben tutti conosciamo, scritta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm nel 1812 e pubblicata nella raccolta pubblicata nella raccolta Kinder-und Hausmärchen (Fiabe dei bambini e del focolare).

Ma non tutti sanno che la storia di “Biancaneve e i sette nani” a cui si fa generalmente riferimento è quella raccontata nella settima edizione delle fiabe dei fratelli Grimm che è invece del 1857.

La storia racconta che in una giornata d’inverno una regina, mentre è intenta a cucire vicino a una finestra, si punge un dito e, guardando le gocce di sangue cadute sul terreno innevato, esprime il desiderio di avere una figlia con i capelli scuri come l’ebano, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue; dopo qualche tempo la regina e il re hanno una bambina, che possiede proprio le caratteristiche fisiche desiderate dalla madre, alla quale danno il nome Biancaneve. Poco dopo la nascita della fanciulla, la regina muore però a seguito delle ferite riportate durante il travaglio.

Il re allora, per assicurare una figura materna alla figlia, decide di risposarsi. La seconda moglie del re è una donna bellissima e molto vanitosa che possiede uno specchio magico al quale chiede in continuazione chi sia la più bella del regno, sentendosi continuamente rispondere che è lei. A un certo punto lo specchio le dice che la ormai cresciuta Biancaneve è più bella di lei, allora la regina, arrabbiatissima e invidiosa della figliastra, incarica un cacciatore di portare la ragazza nel bosco, ucciderla e riportarle i polmoni e il fegato come prova della conclusione del suo compito. Il cacciatore tuttavia, impietosito, non ha cuore di svolgere l’incarico, allora decide di lasciare la fanciulla nel bosco e di uccidere al suo posto un cinghiale, portandone poi gli organi alla regina, convinto che Biancaneve verrà comunque sbranata da qualche belva feroce. La regina, dopo aver ricevuto il fegato e i polmoni del cinghiale, li mangia, convinta che siano quelli di Biancaneve.

Biancaneve, dopo aver vagato per un po’ nel bosco, si imbatte in una piccola casa, costruita proprio nel cuore della foresta, nella quale abitano sette nani, che per guadagnarsi da vivere lavorano in una vicina miniera. La casa è vuota e Biancaneve, affamata e stanca, entra, si nutre con parte del cibo e del vino già preparato dai nani, prendendone un poco di ogni porzione, e poi si addormenta nell’unico dei sette letti della propria misura. I nani, quando rientrano dal lavoro, dopo un primo attimo di sgomento per l’intrusione, sono felici di ospitare la dolce Biancaneve, che in cambio li accudisce aiutandoli nelle faccende domestiche. La vita scorre tranquilla fino a quando la regina cattiva, grazie allo specchio fatato, scopre che la figliastra è ancora viva e in salute. Travestitasi allora da vecchia venditrice, si presenta alla casa dei nani e cerca per due volte di uccidere Biancaneve, prima stringendole una cintura in vita fino a toglierle il respiro, poi facendole passare tra i capelli un pettine avvelenato. In entrambi i casi la giovane sviene, ma viene salvata dall’intervento dei nani, che riescono a farle riprendere i sensi, ammonendola ogni volta di non far entrare nessuno in casa in loro assenza.

A questo punto la regina, travestita da vecchia contadina e venditrice di frutta, si avvia per la terza volta verso la casa dei nani con l’obiettivo di far assaggiare a Biancaneve una mela avvelenata per metà, e per convincere Biancaneve ad accettare il frutto, taglia la mela in due e assaggia la metà che non era avvelenata. Biancaneve, al primo morso della parte avvelenata, cade in uno stato di morte apparente da cui nessuno degli sforzi compiuti dai nani riesce a risvegliarla. Gli stessi nani, convinti a questo punto che sia davvero morta, la pongono in una bara di cristallo e la sistemano sulla cima di una collina in mezzo al bosco.

Per molto tempo Biancaneve resta vegliata dai nani, finché un giorno viene notata da un principe che passa di lì a cavallo. Il principe, colpito dalla bellezza della fanciulla, vorrebbe portarla nel suo castello per poterla ammirare e onorare per tutti i giorni della sua vita. Dopo molte insistenze i nani, impietositi dai sentimenti del giovane, acconsentono alla sua richiesta. A un certo punto però uno dei servitori del principe, arrivati per trasportare la bara al castello, inciampa in una radice sporgente e fa cadere la bara giù per il fianco della collina. Durante la caduta, dalla bocca di Biancaneve esce il boccone di mela avvelenato e così la ragazza si risveglia. Biancaneve s’innamora subito del principe e vengono organizzate le nozze, a cui viene invitata anche la Regina cattiva. Questa, che non conosceva il nome della sposa ma era stata avvertita dallo specchio magico che era più bella di lei, rimane impietrita riconoscendo la sua figliastra.

Nel frattempo erano state fatte arroventare sulle braci due scarpe di ferro, che la malvagia matrigna di Biancaneve viene costretta ad indossare. A causa del dolore procuratole dalle calzature incandescenti, la Regina cattiva è costretta a ballare finché non cade a terra morta.

In un’altra versione il finale è diverso: la malvagia matrigna, giunta al castello per il matrimonio, rimane stupita. Riavutasi dalla sorpresa, tenta di fuggire, ma i presenti chiedono al re di punirla. Così, vestita di cenci e dimenticata, vive a lungo in un carcere oscuro. Solo Biancaneve si reca spesso a darle conforto, poiché i buoni non conoscono l’odio.

La versione finale, dopo vari rimaneggiamenti, è stata poi risistemata anche dalla Walt Disney per il celebre film a cartoni animati, edulcorando alcune parti e cambiandone anche il finale, con la strega cattiva che precipita da un dirupo inseguita dai sette nani e il fatidico bacio del principe azzurro che risveglia Biancaneve dal suo “sonno eterno”.

A quanto pare, non tutta la storia fu però parto della fantasia dei fratelli Grimm, che sembra si siano ispirati invece a un fatto reale.

E allora ricominciamo.

C’era una volta… una baronessa tedesca, bellissima, che viveva con il padre e una matrigna cattiva: è questa la storia di Maria Sophia von Erthal, che però non ha un lieto fine, ma potrebbe davvero aver ispirato la fiaba di Biancaneve. Infatti il museo della diocesi di Bamberga, in Baviera, ovvero nella parte sud della Germania, ha annunciato di aver ritrovato la lapide della baronessa vissuta nel ‘700, che da qualche tempo a questa parte è esposta al pubblico. “Non possiamo provarlo con certezza, ma ci sono molti indizi che Sophia sia stata il modello di Biancaneve”, ha detto il direttore del museo, Holger Kempkens, intervistato dalla Bbc. “C’è una base storica, con aggiunta di elementi di fantasia”.

Vediamo ora la storia di questa “Biancaneve”.

Maria Sophia von Erthal nacque in un castello a Lohr am Main, a circa cento km da Bamberga, figlia di un potente nobile locale che possedeva una fabbrica di specchi, proprio come quello “delle mie brame”. La ragazza aveva perso la madre da giovane e il padre aveva sposato Claudia Elisabeth von Reichenstein, nobildonna che aveva sempre preferito i suoi figli di primo letto, costringendo Maria Sophia ad allontanarsi dal castello.

Il direttore del museo ha sottolineato che i fratelli Grimm vissero per molto tempo ad Hanau, a soli 50 km dal castello di Lohr am Main. La storia della sfortunata baronessa era ben nota nell’Ottocento, perciò secondo Kempkens è ben plausibile che abbia costituito “il nucleo della storia di Biancaneve”.

Le analogie tra la fiaba e la vita della baronessa erano già state evidenziate fra l’altro dallo storico Karlheinz Bartels. In particolare, la figura dei sette nani sarebbe ispirata dai lavoratori delle miniere della zona: nei cunicoli infatti potevano entrare persone molto piccole, spesso bambini. Inoltre i boschi intorno al castello venivano evitati per le scorrerie dei banditi e per gli animali selvatici: un luogo inquietante, come quello in cui fugge Biancaneve per scappare al cacciatore. La baronessa però alla fine non fu salvata da nessun principe azzurro: diventò invece cieca da giovane e morì in convento, ormai ultrasettantenne nel 1796.

La sua lapide era stata conservata in una chiesa di Bamberga e poi trasferita in un ospedale costruito dal fratello. Al momento della ristrutturazione, negli anni Settanta, era stata conservata da una famiglia che l’ha poi donata al museo. Come ha ricordato il curatore, era inusuale che le donne avessero una propria pietra tombale con un’incisione. Quella della baronessa von Erthal recita: “Nobile eroina cristiana, qui giace dopo la vittoria del destino, pronta per essere trasfigurata nella resurrezione”.

Ma alla fine… nessun bacio l’ha risvegliata dal sonno eterno!

Davide Longoni