PIEGARE LA LUCE: ISTRUZIONI PER L’USO…

Quei filamenti vetrosi che il Colonnello Corso descrisse così bene nel suo libro  sulla Retroingegneria a seguito di ciò che “accadde a Roswell” potrebbero essere le “nostre” fibre ottiche!

Il libro del Colonnello Corso su ciò che veramente accadde a Roswell il 2 Luglio del 1947…

Fibre ottiche hanno trovato applicazione nel campo delle telecomunicazioni, in medicina e in ogni circostanza in cui sia necessario trasferire a distanza informazioni di carattere “luminoso” mediante dispositivi di piccolissimo diametro e anche… dietro l’angolo.

Sì, dietro l’angolo, ovvero seguendo percorsi tortuosi, ricchi di curve, ove la luce non potrebbe passare se non ricorrendo a una miriade di specchi.

La luce ha infatti l’insana abitudine di viaggiare sempre in linea retta e non ammette di venire “curvata” se non in presenza di campi gravitazionali di enorme intensità, come dimostrerebbe – il condizionale deriva da qualche perplessità avanzata di recente… – la previsione di Albert Einstein in merito a un’eclisse di Sole osservata nel 1919.

Per avallare la sua Teoria della Relatività, Einstein aveva infatti proposto tre verifiche sperimentali: l’anomalia del moto del pianeta Mercurio, il red shift gravitazionale, cioè lo spostamento gravitazionale verso il rosso e il comportamento delle onde elettromagnetiche, in particolare della luce, in prossimità di oggetti di grande massa.

La teoria generale della “sua” Relatività prevedeva che certi fenomeni fisici dovessero “rallentare” e modificarsi dove i campi gravitazionali apparivano più intensi.

La prima conferma riguardò proprio la deflessione della radiazione luminosa, in prossimità del Sole. Secondo quanto annotò lo stesso Einstein, “…un raggio di luce deve subire un incurvamento del suo percorso allorché passa attraverso un campo gravitazionale, incurvamento simile a quello subito dal percorso di un corpo che sia proiettato attraverso un campo gravitazionale. In base a questa teoria, dovremmo attenderci che un raggio di luce che passi accanto a un corpo celeste venga deviato verso quest’ultimo”.

Nel 1919, finalmente, grazie a Sir Arthur Eddington, vennero organizzate due spedizioni: una diretta a Sobral, in Brasile, e l’altra all’isola di Principe, nel Golfo di Guinea, guidata personalmente da Eddington. Si trattava di osservare proprio un’eclissi di Sole e le misurazioni si trovarono sempre in accordo con quanto previsto dalla teoria einsteniana: lo spazio e la traiettoria dei raggi luminosi si incurvano quando “passano” vicino alla massa solare.

Terminata la breve “pausa relativistica”, torniamo a un metodo molto più semplice – si fa per dire… – per “curvare” i raggi luminosi.

Ma come fa a piegare la luce?” chiese infatti Corso al professor Kholer, uno degli scienziati incaricati delle analisi dei “reperti”, meravigliato dal fatto che, applicando una qualsiasi sorgente luminosa a una estremità di quei “filamenti vetrosi”, la “luce” fosse percepibile a distanza, anche dopo un sinuoso percorso.

Poi Corso ebbe la spiegazione di quel “mistero” che sembrava sfidare le leggi della fisica, dell’ottica.

Quando gli mostrai i resti dei filamenti che conservavo nel “Roswell File” – continua infatti Corso – egli mi fece osservare che ognuno di questi fili, all’apparenza un pezzo di materiale solido a forma di minuscolo tubo, era costituito in effetti da due strati. Guardando il suo asse longitudinale si poteva notare che il filamento era rivestito da un altro strato vitreo…”.

Ma è proprio come ancora oggi vengono realizzate le fibre ottiche!

Fibre ottiche nate “ufficialmente” molto prima del noto UFO-crash – la consueta e doverosa onestà intellettuale ci impone di raccontare tutta la loro genesi – ma che ebbero una quasi improvvisa “impennata tecnologica” un po’ dopo gli strani eventi che caratterizzarono l’anno 1947 e una località del New Mexico…

Correva l’Anno del Signore 1841…

Proprio così, dovremmo fare un salto indietro nel tempo di oltre un secolo rispetto all’incidente di Roswell e recarci a Ginevra, in un laboratorio della locale Università.

Qui, il giovane docente di fisica Daniel Colladon scoprì per puro caso che inviando un fascio di luce, con una particolare inclinazione, in un getto d’acqua che usciva da un recipiente, la radiazione luminosa “seguiva” il percorso del liquido, come se non potesse uscirne.

Colladon non lo sapeva ancora, ma stava sperimentando forse per la prima volta il fenomeno della riflessione totale della luce , caratterizzato appunto dalla presenza di due “mezzi” – l’acqua e l’aria – aventi diverso indice di rifrazione.

Sopra il fisico Daniel Colladon e sotto la sua “Fontana di luce”, uno dei primi esperimenti riusciti sulla  “riflessione totale della luce”. Ma siamo ancora ben lontani dalle fibre ottiche!

Non entriamo in particolari troppo “tecnici” e proseguiamo nell’analisi diacronica del fenomeno che – molto più tardi, poco dopo l’incidente di Roswell – portò all’invenzione delle vere fibre ottiche.

L’esperienza di Colladon fu subito ripetuta – con alcune varianti – da altri fisici, tra i quali lo svizzero Auguste dela Rive, il francese Jacques Babinet, i medici viennesi Roth e Reuss e l’americano David Smith.

Ma ne scaturirono solo semplici oggetti, in vetro, appena utili ai dentisti…

Nel 1849 il fenomeno della “riflessione totale” con l’acqua fu ripreso in ambito… teatrale, presso l’Opera di Parigi, in occasione della messa in scena del Faust di Gounod, si coniò addirittura l’espressione Colladon fountains per descrivere tali effetti luminosi e durante l’Esposizione Universale di Parigi, nel 1889, l’ingegner Bechmann lasciò veramente tutti affascinati facendo uscire raggi di luce dagli zampilli d’acqua emessi dalla bocca di alcuni delfini.

Poi… il “buio”, ed è proprio il caso di dirlo!

Infatti non se ne parlò più fino al 1950. Guarda caso, solo tre anni dopo “i noti fatti” del 1947…

Solo allora – o almeno in quegli anni – si riuscì a produrre fibre di vetro con particolari caratteristiche ottiche, anche se dobbiamo far risalire la possibilità di produrre qualcosa di simile addirittura al… XVII secolo a.C., in base ad alcuni ritrovamenti in tombe egizie. Ma evidentemente servivano a ben altri scopi!

Facciamo ancora un piccolo salto all’indietro nel tempo…

Clarence W. Hansell, un geniale sperimentatore del Radio Transmission Laboratory di Rocky Point, a Long Island, aveva presentato, nel 1925, una domanda per un brevetto intitolato Method for transferring a dial reading to a distance, consistente in un fascio di fibre di quarzo poste parallelamente una all’altra. Ma tutto rimase allo stato di puro progetto cartaceo.

Mancava evidentemente “qualcosa”. O “qualcuno”…

Passarono cinque anni e il giovane studente di medicina Heinrich Lamm, di Monaco, fece una sorta di sodalizio scientifico con un altro studente di fisica, Walter Gerlach. Riuscirono a trasmettere solo una confusa immagine della lettera “V”.

Sopra, il fisico Walter Gerlach, pioniere nello studio delle fibre ottiche e sotto un altro geniale fisico, Narinder Kapany, il quale nel 1955 ne approfondì gli studi e le “battezzò” con i nomi con cui oggi le conosciamo.

Mancava sempre “qualcosa”!

Sì, le fibre di vetro erano… nude, non erano provviste del mantello che caratterizza quelle attuali, mantello a più basso indice di rifrazione, che impedisce alla luce di uscire “di lato”, prima di essere arrivata a destinazione.

Nel 1951 – e siamo tornati intorno agli anni che “ci interessano” – un ingegnere danese, Holger Moller Hansen, intuì cosa potesse essere quel “qualcosa” e sperimentò sul “mantello” con l’olio di Balsamo del Canada, ma desistette subito dopo.

Ancora una volta si era vicini alla meta, ma quel quid che avrebbe fatto fare il salto di qualità alla tecnologia di questa nostra Terra ancora non era stato trovato. O “divulgato”…

Vi si avvicinò il professor Abraham van Heel, del Politecnico di Deft, in Olanda. Sperimentò infatti con un “mantello” d’Argento, ma… fallì. Era sempre il 1951…

Il governo olandese ebbe allora la brillante idea di coinvolgere i ricercatori d’oltre oceano e subito si ottennero ottimi risultati. Perché?

Brian O’Brian, dell’Università di Rochester suggerì a un allibito van Heel – allibito poiché non si rendeva conto di come avesse fatto a… non pensarci prima! – di rivestire le fibre di vetro con un materiale trasparente ma con indice di rifrazione più basso. O’Brian aveva avuto una “dritta”?

Intanto sulla scena scientifica era apparso il fisico inglese Harold Hopkins che stava sperimentando nella stessa direzione insieme a un suo giovane assistente, l’indiano Narinder Kapany, al quale dobbiamo proprio il nome di fibre ottiche dato poi a questi materiali. Era il 1955…

A questo punto rientrano in scena gli americani, rappresentati da Marvin Pollard, Basil Hirschowitz, C. Wilbur Peter e il giovane studente Lawrence Curtis.

In seguito fu proprio Curtis a produrre fibre ottiche con facilità. Era il 1957…

Il resto è storia. Ovvero le modifiche tecnologiche, le applicazioni si susseguirono con estrema velocità in tutti i settori, dalle comunicazioni mediante LASER (frutto degli stessi, probabili, “suggerimenti” derivanti dall’incidente del New Mexico?) con il fisico inglese Karbowiak e con Charles K. Kao, di Shangai per finire con i recenti esperimenti del giapponese Masataka Nakawawa (del 1993) con la trasmissione di segnali “solitonici”, caratterizzati da attenuazione praticamente nulla su grandissime distanze.

Nei cavi a fibre ottiche possono viaggiare segnali per comunicazioni a lunga distanza, con attenuazione praticamente nulla.

 

Ma anche nel campo del design ultramoderno le fibre ottiche – “cadute” o meno dall’alto dei cieli… – hanno trovato ampia applicazione.  

E Roswell?

Come si colloca quello che viene definito UFO-crash in questo contesto?

E’ difficile dirlo, poiché – come abbiamo visto – ricerche nel campo della propagazione di segnali luminosi lungo filamenti vetrosi risalgono a ben prima che a Roswell cadesse “qualcosa”. Ma ciò che ci potrebbe far correlare l’UFO-crash su cui tanto si è scritto, è il fatto che soltanto poco tempo dopo detto evento, la ricerca tecnologica ha avuto l’impennata necessaria a fare il decisivo salto di qualità.

Ancora una volta la “farina del nostro sacco” ha avuto bisogno di un più abile “mugnaio”… caduto dall’alto dei cieli?

Ridiamoci su. Ma non troppo…

Quando anche l’Archeologia trova “imbarazzanti” reperti …

Roberto Volterri

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Narrano antiche cronache…

Compilatori di sacri scritti, popoli scomparsi, maestri artisti medievali e rinascimentali hanno lasciato tracce inspiegabili nelle loro opere. Tracce che parlano di enigmatiche presenze e di strani oggetti volanti fermi nei cieli. Cosa videro gli artisti che le realizzarono e perché tali raffigurazioni? Cos’è l’oggetto discoidale dipinto alle spalle della Vergine nell’opera “Madonna e San Giovannino” conservato a Firenze? Cosa raffigurano i bassorilievi maya e olmechi? Questo libro del dottor Roberto Volterri è un vero e proprio manuale che, attraverso le tecnologie informatiche, cercherà di svelare la natura di antichi contatti… Per la prima volta in un unico libro vengono presentate tutte le opere d’arte con “anomalie ufologiche”.