NON ENTRATE IN QUELLA GROTTA!

Vita, nefandezze e orrenda morte

di Alexander “Sawney” Bean, killer antropofago

Allo spietato personaggio che ora incontreremo si è ispirato anche qualche regista per dar vita a film che, in vario modo, ne ricordano le efferate gesta. Intendo parlare di Alexander “Sawney” Bean.

Siamo nel XIV secolo e nell’East Lothian – dal gaelico Lodainn an Ear, una delle trentadue aree amministrative della Scozia – nei pressi di Edimburgo, egli nasce nel 1370 da uno scavatore di fossati e da una povera donna di casa affaccendata a portare avanti una vita di stenti. Per nulla intenzionato a seguire le oneste orme del padre, Alexander, appena può, si allontana da casa e “mette su famiglia” – diciamo benevolmente così… – con una sorta di prostituta, tale Agnes “Black” Douglas, insediandosi in una caverna del Galloway (dal gaelico Gall-Ghàidhealaibh), un’area della Scozia sud-occidentale, a Bannane Head. Poiché… non paga l’affitto, vive beatamente in questa grotta per ben venticinque anni, senza che nessuno, nelle vicinanze, se ne accorga.

Sopra, la grotta del Galloway, a Bennane Head dove “prese casa” Sawney Bean. Sotto, il cannibale davanti al suo “feudo”. 

Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra” (Genesi 9, 1) disse l’Altissimo a Noè.

Certamente l’esegesi biblica non è la quotidiana occupazione del “nostro”, ma egli prende alla lettera il suggerimento e – incesto più, incesto meno… – la grotta si popola ben presto di quattordici tra figli e figlie, oltre ad oltre una trentina di nipoti!

La vita è dura, si sa, il lavoro (onesto) è difficile da trovare, le spese aumentano…

E allora, cosa fare? ”Sawney” Bean organizza in quattro e quattr’otto proficue imboscate e notturni agguati a quegli sventurati che, ignari, si aggirano per quelle solitarie contrade. Uccisi barbaramente e depredati di tutti i loro averi, i loro corpi contribuiscono – mi si perdoni il momentaneo cinismo! – anche al vitto della numerosissima comunità.

“Sawney” Bean, quasi in trono, dirige le operazioni di smembramento dei corpi delle povere vittime derubate e uccise. 

Da buon amministratore de gruppo, quasi da “buon” padre (e nonno, forse bisnonno!) di famiglia, “Sawney” Bean provvede anche a conservare in salamoia le parti di cadaveri non consumate subito e a gettare in mare gli scarti. “Anche i poveri pesci hanno fame!” avrà di certo “cristianamente” pensato…

Più o meno queste erano le scene che, quasi quotidianamente, si potevano vedere nella grotta abitata da “Sawney” Bean e dai suoi ben poco raccomandabili familiari.

Ma, si sa, la vita è dura per tutti…

Qualcuno che abita nei dintorni, in realtà, si accorge delle sparizioni e di qualche resto umano… “di troppo”. Ma la vita estremamente ritirata del diabolico gruppo e la loro astuzia impediscono che i buoni abitanti dei vicini villaggi riescano ad individuare gli assassini. Poiché l’utile programma televisivo “Chi l’ha visto?” doveva attendere ancora qualche secolo, prima di rendersi utile in queste circostanza, poiché, forse, anche i “quotidiani” scarseggiavano da quelle parti, poiché le persone continuavano a scomparire, si scatena una sorta di “caccia alle streghe” e molti poveri innocenti lasciano per sempre la loro “valle di lacrime”.

Non tutti i delitti riescono bene (per fortuna!).

É l’autunno del 1435 e, durante l’ennesima aggressione ad una pacifica coppia che torna da una fiera in un vicino villaggio, mentre la donna soccombe alla furia di “Sawney” & Co., che così diligentemente precisa in una sua deposizione “…incominciando a succhiarle il sangue con così grande diletto che si sarebbe potuto credere fosse vino; fatto questo le avevano squarciato il ventre tirandone fuori tutte le budella…”, l’uomo riesce a difendersi a lungo, fino a che non sopraggiunge un altro gruppo di viandanti di ritorno dalla stessa fiera.

The Bean Group” fugge lestamente ma orami sono stati scoperti e la notizia della loro esistenza giunge alla regali orecchie di Giacomo I di Scozia, il quale organizza uno squadrone di centinaia di armigeri e cani inferociti, riuscendo ad individuare il covo della banda di antropofagi.

Stampa del 1573 che illustra episodi di cannibalismo forse non del tutto infrequenti in periodi di assoluta carestia. “Sawney” Bean trasformò in attività quotidiana quelle che potevano essere solo esecrande, episodiche circostanze.

Un processo sommario, senza troppi preamboli o possibili (anzi, impossibili!) giustificazioni pone fine ad una serie di omicidi ben poco “rituali” ma dettati solo da totale mancanza di valori morali, di tabù, di rispetto per il prossimo.

Così tutti i membri del clan di “Sawney” Bean vengono incatenati e portati ad Edimburgo per poi essere trasferiti a Glasgow, più attrezzata per riportare al Creatore tutti quei suoi indegni “frutti”.

Agli uomini vengono mozzati genitali, mani e piedi, lasciandoli poi morire dissanguati. Donne e (purtroppo!) bambini sono costretti ad assistere alla lenta, atroce morte dei loro congiunti e poi mandati al rogo…

É l’Anno del Signore 1435.

Il minimo che potesse capitare alle donne del diabolico gruppo di individui era quella di salire su improvvisati roghi. E così avvenne…

Le “antiche cronache” del tempo narrano anche che una delle figlie del “mostro” si fosse da tempo allontanata da casa – pardon! – dalla grotta e si fosse stabilita in un vicino villaggio dove aveva piantato un albero che aveva chiamato “Hairy tree” per la caratteristica, fluente chioma. Scoperto anche il suo nascondiglio, la donna viene impiccata allo stesso albero…

Qualcuno racconta che da quelle parti, sotto un albero che assomiglia molto all’Hairy tree, quando c’è un forte vento si ode il rumore di un corpo che dondola tra le foglie.

Ma questo fa parte del folklore locale…

Sopra, ad un albero come questo, Hairy tree, venne impiccata una delle figlie di “Sawney” Bean. Sotto, il re Giacomo I di Scozia al cui intervento si deve la cattura e l’eliminazione della banda di antropofagi.

“Sawney” Bean e signora? No di certo perché mancano ancora oltre quattro secoli all’invenzione della fotografia! I due loschi individui qui raffigurati dovrebbero essere due cannibali con il risultato delle loro nefandezze.      

È tutto vero “horror” quel che si racconta?

É abbastanza probabile che anche nel caso delle truci imprese di “Sawney” Bean e famiglia qualche esagerazione ci sia stata.

Agli storici appare strano che per almeno un quarto di secolo nessuno si sia accorto dove si nascondevano gli assassini di poveri viandanti, e ciò nonostante i vari resti anatomici che sarebbero stati rinvenuti nelle spiagge circostanti la caverna dove si nascondevano i “cannibali di Galloway”.

Ma è fuor di dubbio che all’epoca non erano certo infrequenti periodi di atroce carestia e, come ben sappiamo, “homo homini lupus”!

C’è anche chi ha ipotizzato una sorta di messa in scena di carattere politico per mettere in cattiva luce gli scozzesi…

Era ovvio che una vicenda così cruento dovesse stimolare la fantasia, la creatività di qualche regista. Infatti, nel 1977, il regista americano Wes Craven girò il film “Le colline hanno gli occhi” – l’ho visto e non mi pare un capolavoro – ambientato però in un deserto del Nuovo Messico anziché in una grotta della Scozia. Libertà “poetiche”…

Sopra, il film di Wes Craven, del 1977, ispirato – con molte libertà! – alle vicende dei “cannibali di Galloway”. Sotto, una delle molte “varianti sul tema”…

Sette anni più tardi, il film di Craven viene seguito dagli inevitabili “Le Colline hanno gli Occhi II” e da analoghi remake nel 2006  e nel 2007.

Per non essere da meno, il gruppo musicale “The Real McKenzies” gli ha dedicato la canzone “Sawney Bean Clan”.

Fine della storia…

Roberto Volterri

Il disco dei The Real McKenzies ispirato alle truci vicende fin qui narrate.

Non perdetevi “Killers – Gli Apostoli del Male”, scritto da Roberto Volterri e Bruno Ferrante, Eremon Edizioni.

Nel libro incontrerete moltissimi personaggi vissuti in un passato più o meno lontano o anche viventi, ma i loro nomi sono sempre indelebilmente scritti con inchiostro rosso nelle cronache in cui l’homo homini lupus – a volte anche la femina feminae lupior! – ha fatto nascere nelle nostre menti un’angosciosa domanda: il Male possiede una sua personalità autonoma, perennemente presente nella storia dell’homo sapiens? Oppure costituisce una sorta di “seme” inseritosi ad arte nel substrato dell’animo umano solo negli individui che, liberamente, consapevolmente, decidono di coltivarlo a danno dei loro simili? Forse quando avrete letto tutto il libro troverete una plausibile risposta…