LA SIRENA… DI GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA

La sirena è un racconto che Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1958), l’autore di Il Gattopardo, scrisse nel 1956, di ritorno da un viaggio sul litorale di Augusta, e che rimase inedito fino al 1961, quando Feltrinelli lo incluse, con il titolo Lighea, nell’antologia dell’autore intitolata semplicemente Racconti. Solo nel 1988 fu pubblicato con il titolo originale voluto dall’autore, La sirena appunto.

L’io narrante di Lighea è il palermitano Paolo Corbara, che rivoca un episodio avvenuto nel 1938, quando trapiantato a Torino lavora al quotidiano “La Stampa”. In crisi per essere stato lasciato da entrambe le sue amanti, angustiato dal tetro clima piemontese, Paolo è attratto dalla figura di un anziano avventore del caffè di via Po. Costui è il professore catanese Rosario La Ciura, stimatissimo grecista di fama mondiale. Fra i due nasce una strana amicizia, solo in parte legata alle comuni origini, anche se Tomasi affronta comunque un tema tipicamente meridionale e siciliano: la nostalgia e la mitizzazione della terra d’origine, i teneri ricordi  di giovinezza; ma Tomasi evita il luogo comune, le “sicilianità” di Paolo e Rosario vivono di memorie, accenti, particolari diversi. Paolo comincia a frequentare la casa e la sua biblioteca, e La Ciura gli racconta una sua strabiliante avventura giovanile.

Nel 1887, per prepararsi a un concorso, si rifugiò nel casolare di un amico, sulle spiagge di Augusta. E qui, ammaliato dal sole e dal mare, riceve la visita di Lighea, una sirena che si dice figlia della musa Calliope, e inizia con lei una relazione erotica e spirituale travolgente.

Tomasi di Lampedusa divide il racconto in due parti nette, divise non solo dallo scarto temporale e geografico e dal cambio di io narrante. L’autore imprime alla prima parte torinese un tono ironico, ma anche distaccato; l’atmosfera fantastica però non è esclusiva della seconda, “mitologica” parte. Nel descrivere l’ambiente torinese l’autore sa dare un tono misterioso e allusivo, tratteggia il professor La Ciura come una figura esoterica, una specie di elfo o di mago estraneo alla mondanità. Si rivede il gusto dei particolari dell’autore di Il Gattopardo nella descrizione della biblioteca dell’accademico (c’è anche H.G. Wells) e nelle sue decorazioni, come la statua di Ulisse legato all’albero della nave, anticipazione della seconda parte.

La seconda parte è un trionfo di immagini e colori. Il giovane Rosario vive la natura con entusiasmo e fascinazione, e la prosa di Tomasi racconta il mare di Augusta con una forza immaginifica potente e trascinante. Si può dire che l’autore riproduca a suo modo il sense of wonder tipico della miglior fantascienza, rappresentando la spiaggia e il mare di Augusta come “l’altro mondo”, e introducendoci non solo alle sue immagini, ma anche ai suoi suoni, ai suoi odori, ricostruiti con una grande padronanza linguistica e stilistica. E la vena fantastica di Tomasi è così affascinante che non sorprende quasi quando la sua barca viene visitata da Lighea, con il suo greco antico, i suoi denti sottili e aguzzi, la sua coda di pesce: in un ambiente del genere qualcosa di eccezionale è inevitabile. E continua così il racconto di un’estate magica e sensuale, di una passione fugace e bruciante, immersa in una natura che è complice fascinosa dei due amanti, in un mare che è tramite e fusione fra due mondi. E lo stesso Rosario resta segnato da questa avventura per tutta la vita, diventando a sua volta una creatura fatata, la cui eccentricità è segno della consapevolezza di una realtà più nascosta e profonda.

Mario Luca Moretti