LE SIRENE

Come per le arpie, a cui sono state associate, esistono delle difficoltà nello stabilire l’esatta fattezza delle sirene e il numero preciso di queste creature. Alcuni autori ne citano solo una, altri dicono che siano svariate. Omero, che è il primo a parlare di loro, nell’Odissea sottintende l’esistenza di una coppia di sirene quando Circe, ormai rassegnata all’idea di dover far ripartire Odisseo e i suoi compagni, racconta al navigante che “là dal mare improvvido si appresta e il canto ascolta delle due Sirene”. Tuttavia non le descrive – perché farlo sarebbe stato superfluo dato che sin dall’età micenea tutti le conoscevano – limitandosi solo a fare riferimento al loro canto  ammaliatore (XII).

Nella tradizione figurativa e in quella letteraria generalmente le sirene sono tre (come le arpie), anche se per la quantità di materiale esistente a proposito di questi ibridi, troppo spesso le informazioni che si riescono a ricavare, risultano confuse e contraddittorie tanto che non mancano casi in cui si parla di quattro o perfino otto sirene, come riferisce Platone.

Apollonio Rodio, dopo Omero, nelle Argonautiche (IV, 891-902) racconta non solo del loro canto ma fornisce tutta una serie di informazioni che riguardano il loro aspetto.

«Erano già in vista della bella Abthemòessa,

l’isola delle melodiose Sirene, le Acheloidi,

ammaliavano con dolci canti

e uccidevano chiunque gettasse

le gomene per approdare.

Le generò l’unione con Acheloo

della leggiadra Tersicore, una delle Muse. Della gloriosa figlia di Deo

una volta erano al servizio, quando ancora era vergine

e insieme a lei cantavano: ora, invece, simili in parte ad uccelli

si mostravano, in parte a giovani vergini.

Stavano bene in vista, sempre di vedetta su un porto dal facile ormeggio,

e spesso sorprendevano molti durante il dolce ritorno

li logoravano con una lenta consunzione».

Anche per Ovidio le sirene sono esseri simili a uccelli e di fatto nessun’altra immagine è presente nell’iconografia di età classica. Solo lo sconosciuto autore del Fisiologo greco le considerò esseri acquatici con metà del corpo di forma umana e l’altra metà simile alle oche.

Esiste, però, anche una parentesi aperta da Orazio (65 a.C) che nella sua Ars Poetica racconta, seppur marginalmente, ai vv. 1-5 di un mostro con parte del corpo simile a una donna di bell’aspetto e la parte inferiore terminante in atrum piscem.

Elio Erodiano, grammatico alessandrino, figlio di Apollonio Discolo e contemporaneo all’autore del Fisiologo greco, allo stesso modo ci racconta una storia differente che restituisce per la prima volta un’immagine delle sirene più vicina a quella conosciuta dai contemporanei o comunque prossima all’elemento acquatico. In realtà già prima di lui l’autore anonimo delle Argonautiche orfiche aveva raccontato del suicidio delle sirene che si “lanciarono nell’abisso e nel frastuono del mare e trasformarono in rocce i loro corpi e la tracotante bellezza” (vv.1264-90). La vicenda, al contrario, a cui si riferisce Erodiano, narrata anche da Pausania, riporta i fatti capitati nel cosiddetto Mousèion, luogo di culto dedicato alle Muse, nel quale si svolse una gara di canto tra Muse e Sirene che si concluse con la vittoria delle prime e la sconfitta delle seconde, le quali, per la vergogna, si strapparono le ali dalle spalle e poi si gettarono in mare diventando bianche.

Sembra quasi che con il tempo la costante vicinanza di queste creature al mare, per quanto alate, avrebbe comunque finito per trasformarle in creature marine; dato che le stesse arpie già dominavano i cieli, le sirene sembravano destinate ad abbandonato l’aria per impadronirsi del regno dell’acqua.

Sarebbe opportuno a questo proposito stabilire quale dei due miti sia nato per primo così da giustificare l’inutilità di una seconda specie simile che domina il medesimo elemento. Ad ogni modo la prima volta in cui le sirene si presentano definitivamente nella loro forma più nota, ossia come donne-pesce, è proprio nel Liber Monstrorum.

Quindi bisogna aspettare il IX secolo circa perché questi esseri possano mutare in perfetti ibridi con metà del corpo di forma umana e l’altra metà ricoperta di squame.

Vediamo nel dettaglio cosa si dice di loro (I, 6):

«Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli con il canto; e dal capo fino all’ombelico hanno corpo di vergine e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi».

Faral, dedicò un lungo articolo alle problematiche sollevate dal Liber Monstrorum a proposito di questa descrizione, dicendo che l’autore dell’enciclopedia avrebbe letto di mostri marini, metà uomo e metà pesce così come erano già raffigurati nell’iconografia assiro-babilonese e come vennero parzialmente assimilate dalla cultura greco romana, solo che a differenza di quanto fecero altri autori, lui li assimilò alle sirene. Come dire che la sirena fino a quel momento era rimasta aviforme e parallelamente si credeva anche nell’esistenza di esseri metà uomo e metà pesce, un po’ come l’ibrido descritto da Orazio. Qui, però, per la prima volta questi esseri prendono il nome di sirene, verificandosi insomma la fusione del nome designante in età classica degli esseri alati con la nuova specie acquatica.

Il solo Liber Monstrorum, tuttavia, non avrebbe potuto imporre da subito questa nuova razza ibrida, e infatti, sempre Faral, ricorda come per molto tempo le sirene siano state raffigurate e descritte come donne-uccello soprattutto in virtù del loro legame con la morte e l’anima del defunto insito in molte raffigurazioni.

Giusy Tolve