TERZO DAL SOLE – SOGNI E SPERANZE DELL’ANIMALE UOMO ALLA RICERCA DELLA VITA 17 – PARTE 01

CAPITOLO XVII: USCIRE DALLA CULLA – PARTE 01

 

La Terra è la culla dell’umanità,

ma non si può restare nella culla per sempre…

Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij

L’uomo è ancora e sempre alla ricerca della vita. Alza le braccia al cielo come un naufrago sperduto su un’isola deserta. Ha scritto sulla sabbia il classico messaggio di aiuto, sente il rumore di un aereo ma non lo vede, però sa che c’è e si sbraccia per essere trovato. In questo momento non pensa altro che al piacere dell’incontro, quando riabbraccerà i suoi simili e anche se non fossero suoi simili e si trovasse di fronte alla Gestapo, a uomini con tre gambe, pterodattili o Godzilla, purché possa prendere contatto con loro e salvarlo da questo isolamento.

Non si sofferma nemmeno a pensare che questo isolamento potrebbe essere positivo, che chi lo potrebbe salvare lo potrebbe dominare o distruggere e da parecchi secoli si è ingegnato per poter costruire un mezzo per potere andare da loro: una sorta di zattera con la quale navigare sull’oceano dell’ignoto e raggiungere altre isole, altri continenti, altri mondi. Con i suoi piccoli mezzi a disposizione, ha osservato queste nuove terre e non gli interessano più di tanto le isole vicine: sono prive di vita, non c’è nessuno ma, forse, lontano, nell’universo, qualcuno lo sta osservando con curiosità e amicizia o, forse, con bramoso interesse…

Ha costruito la sua zattera per poter andare a vedere le isole vicine, per accertarsi che non vi sia nessuno ed è tornato alla sua isola e, ora sta, costruendo un’ altra zattera ancora più complessa, più veloce e sicura per immergersi definitivamente in quel mare punteggiato di soli.

In molti considerano Wernher Von Braun il padre della Nasa, quindi tutti conoscono il suo nome collegato ai grandi progetti Mercury, Gemini e Apollo che hanno portato astronauti americani fin sulla Luna. Pochi conoscono invece il nome di Robert Goddard, che può essere considerato il vero “padre dimenticato” dell’astronautica americana. Fu lui infatti, il 19 Marzo 1926, a lanciare dal cortile della sua abitazione di Auburn nel Massachussets il primo razzo a propellente liquido della storia (alto un metro e 20, largo 15 centimetri). L’evento passò sotto il silenzio della grande stampa, e venne citato solo dal giornale locale che annotò “Il primo volo di un razzo a propellente liquido è stato fatto ieri al podere della zia Effie“.

Il primo razzo della storia, che era stato battezzato “Nell“, volò per appena mezzo secondo, alzandosi di circa 14 metri. Eppure fu proprio questo breve volo ad aprire la strada alla moderna missilistica. Questo però i contemporanei di Goddard, e soprattutto i suoi vicini di casa, non potevano saperlo. Tant’è che i suoi dirimpettai, spaventati dal rumore del razzo, chiamarono la polizia che multò il povero inventore. Nessuno si rendeva conto, all’epoca, di quanto quel piccolo esperimento avrebbe segnato la storia producendo, tra l’altro, un nuovo importante mezzo per l’avanzare della scienza astronomica. Robert Goddard, tipo lunatico e solitario, non si diede però per vinto e continuò i suoi esperimenti, sempre fra lo scetticismo generale, attirandosi anche sarcasmi e derisioni.

Nel 1929 lo stesso Goddard lanciò un secondo razzo, più grande e più potente, con strumenti meteorologici a bordo. Anche in questo caso fu seguito dall’ironia della stampa: il giornale di Worcester, la sua città natale, titolò sarcasticamente “Razzo lunare manca l’obiettivo di appena 238.799 miglia e mezzo”. Ma proprio quel secondo lancio attirò anche l’attenzione di un pioniere dell’aviazione, Charles Lindbergh, primo trasvolatore atlantico senza scalo, che convinse il filantropo Daniel Guggenheim a finanziare il costruttore del razzo con un fondo di 50mila dollari per i suoi esperimenti.

Con quella somma Goddard si trasferì nel Nuovo Messico nella cittadina di Roswell (la stessa che negli Anni Cinquanta-Sessanta diventerà il centro degli appassionati di Ufo di tutto il mondo, in seguito allo spargersi della leggenda di un disco volante precipitato in quella località e recuperato assieme al suo equipaggio alieno dall’esercito Usa). Nella sua nuova “base”, Goddard progetterà e lancerà razzi sempre più grandi e veloci, inventando anche tutte le apparecchiature e i sistemi di guida automatici, come il giroscopio e i motori di assetto, che saranno utilizzati nei decenni successivi dagli stessi vettori che porteranno l’uomo nello spazio e sulla luna.

Nonostante lo stesso Goddard facesse partecipe l’esercito di tutti i suoi esperimenti, non ottenne da quest’ultimo alcuna considerazione. I vertici militari americani ancora non comprendevano bene gli sviluppi che avrebbero potuto avere le invenzioni di Goddard (al contrario dell’esercito tedesco, che con Von Braun sviluppò i micidiali missili balistici V1, V2 e V3). L’unica invenzione di Robert Goddard che piacque ai militari Usa fu quella del bazooka, che lo stesso Goddard aveva perfezionato fin dal 1918.

Il mondo scientifico e quello militare americano continuarono a ignorare il povero Goddard ben oltre la sua morte, avvenuta nel 1945. Fu solo dopo lo shock dello Sputnik, il primo satellite artificiale mandato in orbita da russi nel 1957, che improvvisamente qualcuno si ricordò dello strampalato e sbeffeggiato inventore di Roswell. Solo allora il governo Usa acquistò dagli eredi di Goddard i 214 brevetti che il loro congiunto aveva studiato e registrato in tutta una vita da “inventore incompreso” e furono proprio tutti quei brevetti ad aprire agli Stati Uniti le vie dello spazio. Come atto postumo di riconoscenza a Robert Goddard, nel 1959, fu intitolato uno dei Centri Spaziali della Nasa. Ma l’atto postumo di rivalutazione di cui Goddard sarebbe stato più contento, è stato forse quello del giornale New York Times che in una cronaca degli Anni Venti lo aveva esplicitamente tacciato di ignoranza: “Ognuno sa che un razzo non può viaggiare nel vuoto, poiché non c’è nulla da cui trarre la spinta. Goddard, citava l’articolo, sembra non avere nemmeno le conoscenze di base delle scuole superiori”. Quarantanove anni dopo, nel 1969, pochi giorni prima dell’allunaggio dell’Apollo 11, lo stesso New York Times ritrattò quanto aveva scritto in precedenza su Goddard: “Gli ulteriori esperimenti e ricerche hanno confermato di risultati di Isaac Newton nel XVII secolo, dimostrando definitivamente che un razzo può muoversi nel vuoto così come nell’atmosfera. Il Times si rammarica dell’errore”.

Eppure, la storia del razzo è molto più antica di quanto si possa credere: infatti nel Museo Militare di Pechino è esposto quello che si ritiene essere il primo razzo a molti stadi del mondo. Il suo nome era “Drago di Fuoco” ed è stato ricostruito nei particolari in base alle descrizioni riportate dalla “Cronaca dell’Arneria” un’opera di due milioni di ideogrammi e che fu composta nel 1621. Il “Drago di Fuoco” era uno dei numerosi razzi che furono costruiti in Cina nel periodo della Dinastia Ming (1368-1644). Era composto da due stadi e da un tubo di bambù lungo circa un metro e mezzo che viene proiettato da due cariche di polvere nera da sparo contenute in tubi di carta e ogni carica pesava circa seicento grammi. All’interno del “Drago di Fuoco” erano collocate quattro frecce e in ognuna di esse era stato posto un piccolo razzo per cui, quando il “Drago di Fuoco” era in volo, i razzi del secondo stadio si accendevano automaticamente poiché si riusciva a stabilire un contatto con il primo stadio. In quel momento le frecce si distaccano e uscivano dalla bocca del drago.

Quest’arma geniale aveva una gittata di circa un miglio ed era usata, stando al testo citato sopra che la descriveva, sia nelle battaglie terrestri che in quelle navali.

Sempre nel museo, poi, è esposto un dispositivo per il lancio dei razzi “ad alveare” che fu usato nel 1400 nella battaglia del fiume Paikuo, nella Cina Settentrionale. Dall’aspetto è una cassa di legno contenente trentadue normalissime frecce e ognuna di esse era munita di un razzo di carta. Anticamente dieci di questi “alveari” erano montati su carri di legno e tutte le frecce potevano essere lanciate contemporaneamente. Sempre durante la Dinastia Ming fu costruita una bomba incendiaria a forma di uccello e munita di razzi.

Furono costruiti altri modelli per testarne il funzionamento reale che fu definito perfetto dopo secoli dalla loro ideazione.

La polvere da sparo, il primo “carburante” per razzi e non solo, fu inventata inizialmente per feste e scopi religiosi, ma fu ben presto utilizzata a fini bellici. La sua composizione chimica ha subìto nel tempo diverse evoluzioni, che ne hanno permesso l’impiego anche per scopi civili, per esempio nelle miniere o nelle attività di costruzione e pensare che fu inventata casualmente mentre si cercava “il filtro dell’immortalità”..

L’invenzione della polvere da sparo, polvere nera a base di carbone di legna, nitrato di potassio e zolfo, è da attribuire ai Cinesi, ma la data è piuttosto incerta e oscilla tra il 10° e il 12° secolo. È certo che inizialmente il suo uso non avvenne per scopi militari, ma per feste e riti religiosi. Gli scoppi e la luce che creava servivano soprattutto per scacciare gli spiriti maligni, spaventandoli con il frastuono provocato dalle esplosioni. Il passaggio all’impiego bellico fu però abbastanza rapido. Dell’uso della polvere da sparo s’impadronirono rapidamente i Mongoli, che allora dominavano in Cina: si sa che essi la utilizzarono, intorno al 1274, nel corso della tentata invasione del Giappone. Altrettanto rapidamente, la fabbricazione e l’utilizzo della polvere da sparo passarono in Occidente, grazie soprattutto ai contatti del mondo cinese con quello arabo e di questo con quello occidentale.

Già sul finire della prima metà del 13° secolo si ha una incerta testimonianza dell’uso di armi da fuoco nella battaglia di Sajo, in Ungheria (1241), tra orde mongole ed eserciti locali. Da quella data le testimonianze si fanno sempre più ravvicinate. In Italia, armi da fuoco potrebbero essere state usate nella difesa di Forlì da parte di Guido da Montefeltro, nel 1282. Già nel 14° secolo le prime artiglierie compaiono in Italia (guerra di Romagna, 1350), ma anche in Inghilterra (assedio di Berwick, 1333) e in Francia (assedio di Cambrai, 1340, e battaglia di Crécy, 1346). Le prime testimonianze a noi note parlano di recipienti per l’esplosivo di forma simile a quella di vasi, nei quali s’inseriva polvere da sparo al di sopra della quale venivano poggiate pietre o sfere di ferro. Ben presto le artiglierie furono montate sulle navi e cambiarono radicalmente anche il modo di combattere in mare. L’abbordaggio e il combattimento corpo a corpo furono via via sostituiti dai combattimenti bordo contro bordo fino alla distruzione della nave avversaria. Durante la Prima guerra mondiale anche gli aerei furono dotati di bombe e armi da fuoco.

I primi veri razzi della storia devono considerarsi le V-1 e, soprattutto le V-2 tedesche. Il loro utilizzo e la loro messa a punto fu opera di Werner von Braun nei celebri laboratori di Penemünde e costituisce un esempio notevole di impiego propagandistico di uno strumento bellico: il primo lancio di V-1 su Londra avvenne il 15 giugno 1944, quando erano trascorsi solo 10 giorni dallo sbarco Alleato in Normandia. La notizia dell’attacco contro la capitale inglese e dell’entrata in scena di un rivoluzionario e misterioso sistema d’arma permise alla propaganda tedesca di distogliere l’attenzione dalle operazioni che si stavano svolgendo in Francia e che avevano dominato le prime pagine dei principali giornali tedeschi e della stessa Deutsche Adria Zeitung. Se il loro impatto sul corso delle operazioni militari fu assai limitato, le V-1 e le loro eredi V-2 servirono alla propaganda nazista per offrire l’illusione di una nuova offensiva tedesca in terra nemica e per suggerire, conseguentemente, che il conflitto avesse trovato un nuovo punto d’equilibrio. Mentre i generali tedeschi chiedevano che le V-1 fossero impiegate per attaccare le teste di ponte alleate in Francia, Hitler al contrario volle che esse fossero lanciate sulle città inglesi: così facendo il Führer si illudeva di indurre l’Inghilterra a ,chiedere l’armistizio, ma soprattutto sapeva di poter dare alla propaganda materiale per infondere nuove speranza e fiducia nel popolo tedesco. V-1 e V-2, non a caso definite “armi di rappresaglia”, divennero la risposta tedesca contro i bombardamenti Alleati che martoriavano le città del Reich, le «meteore di dinamite» che, seminando morte distruzione fra la popolazione civile inglese, offrivano ai tedeschi la consolazione della vendetta: «L’isola britannica è tornata fronte», scriveva la Deutsche Adria Zeitung, annunciando fiera che per Londra era iniziata una nuova stagione di dolore.

Nell’immediato dopoguerra l’A-4 ebbe una breve ma intensa storia di utilizzazione. Sia gli americani sia i russi poterono disporre di centinaia di questi missili utilizzati per far partire i rispettivi programmi missilistici, programmi che porteranno i due paesi alla corsa di conquista dello spazio. Molti missili costruiti alla fine degli anni Quaranta e prima metà degli anni Cinquanta derivano più o meno direttamente dai progetti tedeschi, come per esempio il missile Redstone. Questo missile, direttamente derivato dalla tecnologia della V-2, era un lanciatore balistico per ordigni nucleari, ma che opportunamente adattato, permise agli Stati Unitidi lanciare nel 1958 il loro primo satellite orbitale Explorer 1 e, successivamente, il loro primo astronauta in un volo suborbitale del programma Mercury. I sovietici partirono dal V-2 per sviluppare il missile R-1, in realtà una copia esatta del V-2 e nel tempo riuscirono a progettare l’R-7 “Semërka” che permise loro di portare il primo uomo nello Spazio.

(17/1 – continua)

Giovanni Mongini